Introduzione
Nel quarto appuntamento di “Cose di sinistra” rivisitiamo uno degli episodi più noti in tema di riforma della sanità pubblica, in Italia come nel mondo: la riforma Basaglia del 1978. Nella lettura dello storico John Foot, appare evidente come i motivi che ispirarono la riforma fossero in larga parte ideali, non determinati cioè da interessi materiali immediati. Franco Basaglia, proponendo l’abolizione dei manicomi, prefigurava anche l’abolizione del suo lavoro, che era quello di direttore di ospedali psichiatrici. Per capire quindi come sviluppò la riforma, ci sembra imprescindibile ritornare sulle idee di Basaglia, raccolte in uno dei testi scritti dallo stesso Basaglia con Franca Ongaro, sua moglie: “L’ideologia della diversità”, tratto da “La maggioranza deviante” (1971). In questo testo, Basaglia e Ongaro mettono in luce come la realtà del sistema psichiatrico trovi legittimità in una concezione normativa di “sanità mentale”, che ha implicazioni dirette sul trattamento dei pazienti, strappati dal corpo sociale ed isolati come “devianti”.
Concezioni analoghe a quelle affrontate da Basaglia oggi si insinuano in molti ambiti della vita pubblica, non soltanto nel settore della sanità. Basti pensare al dibattito sulle cure mediche agli immigrati irregolari o persino ai migranti regolari.
Categorie analoghe a quelle della “devianza” dell’ambiente psichiatrico pre-Basaglia, si fanno largo nel dibattito pubblico, istituendo, o suggerendo la creazione di nuovi strumenti di esclusione. Analogamente con quanto succedeva nel sistema manicomiale di cui ci parla Basaglia, questi nuovi strumenti hanno il fine di mantenere una separazione artificiosa tra una popolazione rispondente ai criteri normativi che definiscono la normalità e una popolazione “altra”, alienata rispetto al corpo sociale.
In questo senso, le pratiche di Basaglia di cui ci parla John Foot mantengono ancora oggi un’incredibile carica eversiva: abbattere i muri, fisici e concettuali, che dividono i “normali” dagli “altri” è il primo passo verso una società che ha come obiettivo di accogliere al suo interno quanti più individui possibili, accettando la diversità come fatto normale e dando ai diversi piena cittadinanza sociale.
Aprire i manicomi. Appunti su un percorso di sanità inclusiva – di John Foot
Franco Basaglia è stato, dal 1961 al 1968, direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, presso il confine con la Slovenia, allora parte della Iugoslavia. Già a partire dal 1968, Basaglia avrebbe creato qualcosa di unico al mondo – un ospedale psichiatrico che, simultaneamente, era stato inaugurato e messo sottosopra. Con una straordinaria frequenza, nuovi visitatori attraversavano i cancelli spalancati dell’istituto. Lo spettacolo che si apriva ai loro occhi era stupefacente.
. Muri e recinzioni erano stati abbattuti, spesso dagli stessi pazienti – e tutti i reparti erano liberamente accessibili. I pazienti erano liberi di spostarsi a loro piacimento.
Prima di Basaglia, l’ospedale psichiatrico di Gorizia era come molti altri in Italia – e nel resto del mondo. Mostrava l’architettura e tutto l’armamentario di contenzione che si era accumulato negli anni – gabbie per pazienti indisciplinati, camicie di forza, dispositivi portatili per l’elettroshock, depositi per oggetti personali che erano destinati, in molti casi, a non essere mai più ritirati.
Sotto ogni punto di vista – politico, sociale, culturale, morale, umano persino – queste erano persone dimenticate dal resto del mondo – i morti viventi. E c’erano 100.000 di loro, solamente in Italia. Queste persone erano completamente in balìa degli eventi – senza la possibilità di controllare né le loro vite, né il loro percorso di cura. Ma in che modo un posto del genere avrebbe potuto essere riformato? Non esisteva un piano preciso, nessun punto fermo eccetto il desiderio di cambiare questo stato di cose. La prima azione di Basaglia come direttore fu un’azione di resistenza. Stando ad un suo collega, “durante il suo primo giorno a Gorizia come direttore, quando l’infermiera caposala gli passò la lista dei pazienti che avevano passato la notte legati, disse ‘non la firmo’”. Basaglia era ben consapevole della natura repressiva della psichiatria. Come scrisse ne “L’ideologia della diversità”, nel 1971, “lo psichiatra, nell’espletamento del suo mandato professionale, è contemporaneamente medico e tutore dell’ordine”.
Già dal 1968, l’esperienza di Gorizia stava iniziando ad avere un impatto nazionale ed internazionale. Gorizia si nutriva, e contemporaneamente alimentava, dei movimenti studenteschi che quell’anno stavano prendendo piede in Italia e nel mondo. Questo manicomio trasfigurato si trovava pienamente a suo agio nel panorama intellettuale del 1968. Le istituzioni italiane avevano un disperato bisogno di essere riformate – le scuole, l’esercito, la Chiesa, le prigioni, le università. Dottori, soldati, prigionieri, preti, professori e studenti cominciarono tutti a “ribaltare” le loro istituzioni di riferimento, invocando riforme e cambiamenti tangibili. Gorizia rappresentava l’esempio concreto di un posto che era già stato trasformato, da un piccolo gruppo di uomini e donne dediti in questo senso.
Nel Marzo 1968, la casa editrice Einaudi di Torino pubblicava una collettanea. Si trattava di un resoconto di ciò che Basaglia definitiva “la realtà di una istituzione in trasformazione” e conteneva le voci dei pazienti, così come un dettagliato resoconto dei dibattiti. Forma e contenuto dell’opera erano strettamente intrecciati con gli eventi del 1968. “L’istituzione negata: rapporto da un ospedale psichiatrico” fu un caso editoriale. Spariva dagli scaffali delle librerie, per comparire in quelli di ogni sessantottino in erba. Fu tradotto in francese, tedesco, spagnolo e portoghese. Iniziarono a presentarsi studenti per vedere l’istituto a Gorizia – seguiti da giornalisti, fotografi e politici. Nel 1968, il ministro della sanità, il socialista Luigi Mariotti, approvò una riforma che ammorbidiva la natura repressiva del sistema manicomiale. Nell’annunciare la riforma, il ministro tracciava il parallelo tra i manicomi e i “campi di concentramento tedeschi, gironi dell’inferno danteschi”. Già a partire dal 1968, Gorizia influenzava la legge e la politica pubblica nazionale.
Da Gorizia, i “basagliani” si disseminarono in tutta Italia – prendendo il controllo di servizi ed ospedali psichiatrici ad Arezzo, Venezia, Ferrara, Pordenone, Udine. Movimenti paralleli avevano già preso controllo a Perugia e nei pressi di Napoli. In alcuni posti, Basaglia veniva superato a sinistra da appartenenti al movimento antipsichiatrico, che negava l’esistenza stessa della malattia mentale.
A inizio anni ’70, Basaglia si spostò verso una città più grande e un manicomio più ampio, a Trieste, un’altra città-feticcio della guerra fredda. Una volta a Trieste, Basaglia trovò un manicomio ancora legato alle vecchie pratiche. Anche grazie ad un sostegno politico incondizionato, Basaglia riuscì a muoversi in modo straordinariamente rapido. Tutto quanto sembrava molto più semplice ora, e il manicomio di Trieste spalancò le sue porte alla città, mentre la città si fece incontro al manicomio.
Negli anni ‘70, Trieste sarebbe diventata una calamita per psichiatri radicali. Fu in questa città che i nuovi servizi per la sanità mentale furono creati. La strategia di liberazione messa in atto da Basaglia diveniva sempre più appariscente. I pazienti venivano fatti salire a bordo di voli charter che sorvolavano Venezia. L’ospedale psichiatrico di Trieste, nel contempo, divenne un luogo di pellegrinaggio per psichiatri e volontari. Nel 1977, Basaglia tenne una conferenza stampa dove annunciava che, a tutti gli effetti, il manicomio non stava più funzionando come ospedale psichiatrico. In tutta Italia, riformatori e politici iniziarono a fare pressione per cambiare le leggi arretrate che ancora regolavano l’ambito della salute mentale.
Nel 1978, la battaglia iniziata a Gorizia 17 anni prima raggiunse finalmente il Parlamento italiano. La cosiddetta Legge Basaglia – conosciuta anche, e più correttamente, come legge 180 — fu approvata in soli 20 giorni. Eccezion fatta per il piccolo partito neo-fascista, le forze parlamentari erano tutte a favore della legge. La Basaglia imponeva la chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici, sancendo inoltre l’impossibilità di costruirne di nuovi. Il sistema manicomiale era giunto al capolinea. I pazienti psichiatrici riebbero indietro i loro diritti umani e civili (entro certi limiti). Erano ora pazienti come qualsiasi altro paziente, non più considerati una “specie” a sè.
La legge Basaglia era giusto l’inizio, e non la fine di un percorso. Nei vent’anni successivi, una serie di servizi alternativi venne creata in ogni parte d’Italia – centri diurni, reparti d’emergenza, centri di riabilitazione, cooperative. Col tempo, la maggior parte dei 100.000 pazienti riuscì a ritornare alla loro vita normale. Questo processo fu però difficile, complicato e controverso. Nel 1980, ad appena 56 anni, Basaglia morì di tumore al cervello. Non ebbe mai la possibilità di implementare la legge che portava il suo nome. L’Italia, oggi, non ha manicomi. Non è certamente un paradiso, ma il sistema manicomiale è stato abolito e non per ragioni di costo, ma per ragioni morali e politiche.
I manicomi italiani furono chiusi da persone che lavoravano all’interno di quel sistema. Nell’invocarne la chiusura, queste persone abolivano i loro stessi lavori – per sempre. Nessuno, oggi, è direttore di un ospedale psichiatrico in Italia. Quel movimento agì contro i suoi stessi interessi – in un modo che era l’esatto contrario del clientelismo, del patrocinio, del nepotismo. Era, esso stesso, negazione di sé.
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L’ideologia della diversità, brano tratto da “La maggioranza deviante”, Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro
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