L’immagine dell’Italia industriale che coltiviamo oggi è quella di un Paese di piccole e medie imprese e di distretti industriali. Se è vero che dal distretto emerge in diversi casi una media impresa fortemente dinamica, vera e propria “multinazionale tascabile” in grado di dominare nicchie globali, occorre sottolineare come i settori nei quali distretti e medie imprese operano non siano quelli sui quali si gioca la partita per la supremazia mondiale del XXI secolo. Per elettronica, chimica fine, biotecnologie, nuovi materiali, telecomunicazioni, trasporto aereo, robotica è necessaria la grande impresa. L’Italia è relegata in seconda fila.

C’è stato un momento nella storia italiana contemporanea in cui sembrava possibile raggiungere o competere su questi settori che delineano il presente. E’ accaduto tra anni ’50 e anni ’60.

Le scelte che allora furono intraprese, ma soprattutto le strade che furono interrotte e le figure imprenditoriali che attente a quelle trasformazioni, furono contrastate con successo, purtroppo, dalla politica, sono all’origine non solo della crisi, ma dell’approdo mancato dell’Italia all’economia mondiale, una frontiera raggiunta da un Paese lontano ma per molti versi paragonabile al nostro, il Giappone.

Mario Pirani, nel 1991 pubblica un saggio, denso e breve, che qui riproponiamo.

L’odierna debolezza del nostro apparato industriale, questa la riflessione di Mario Pirani, ha radici lontane: con la fine prematura delle esperienze di Enrico Mattei nel settore petrolifero, di Felice Ippolito nel nucleare, e di Roberto Olivetti nell’elettronica, l’industria del nostro paese vide svanire alcune opportunità strategiche di sviluppo, che avrebbero potuto qualificare la crescita italiana ponendo le premesse per un destino di tipo “giapponese”.

Tre appuntamenti mancati dell’industria italiana è un saggio che indica con acume i problemi strutturali della debolezza dell’Italia industriale e anticipa con chiarezza molte questioni che ancora oggi sono sul tavolo della discussione pubblica. L’Annale della Fondazione mette a tema quelle questioni e propone di riconsiderare le cause della nostra crisi presente.

 

 

 

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Leggi l’Annale della Fondazione: “L’approdo Mancato. Economia, politica e società in Italia dopo il miracolo economico

L’approdo mancato è un concetto che Mario Pirani propone nel 1991 in un testo pubblicato sulla rivista “Il Mulino”. Tre le occasioni mancate su cui Pirani invitava a riflettere – l’elettronica, il nucleare, la distribuzione petrolifera – sostenendo che se avessimo colto queste opportunità saremmo pervenuti a un approdo giapponese.

Franco Amatori riprende questa suggestione e proponendo di intendere, con questa espressione, approdo alla frontiera dell’economia mondiale

Era un fatto scontato che l’Italia, giunta alla fine del secolo scorso al quinto posto nel mondo per ricchezza prodotta annualmente, dovesse arretrare, così com’era inevitabile che subisse i rigori della crisi scoppiata negli Stati Uniti nel settembre del 2008.

L’avvento della globalizzazione e l’ascesa dei cosiddetti Brics, in particolare della Cina, fanno sì che l’Italia non possa mantenere le sue posizioni. Allo stesso tempo, l’enorme massa dei titoli tossici non poteva non avere effetti sull’economia già gravata da un debito pubblico fra i più alti del mondo. Tuttavia, questi veri e propri uragani sarebbero stati affrontati in modo ben diverso se l’apparato economico e, in particolare, industriale italiano fosse stato di maggiore consistenza; se il paese avesse potuto avvalersi di una grande industria chimica, elettronica, automobilistica; se avesse avuto una più vasta diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione; se fosse stato più autonomo dal punto di vista energetico.

La storia la si comprende se si studiano “come sono realmente andate” le cose. E tuttavia la questione rimane: Che cosa sarebbe accaduto se lo snodo del post miracolo (fine anni Sessanta, anni Settanta) avesse avuto un esito diverso?

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