Non solo storia – Calendario Civile \ #2giugno 1946
Tratto dal volume Le Madri della Costituzione, Il Sole24 Ore-Domenica, Milano, p. 224, in edicola con Il Sole 24 Ore € 12,90 dal 1° al 30 giugno, in libreria € 14,90, ebook € 9,99. ©IlSole24Ore.
(…) Nel 1928 (Adele e il marito Domenico Ciufoli, ndr) si trasferiscono a Marsiglia, quindi a Parigi; lei di lì a poco matura la convinzione di voler partecipare pienamente alla lotta antifascista e nel 1931 si iscrive al Partito Comunista d’Italia: sarà uno dei “fenicotteri”, coloro che viaggiano sotto falso nome per portare in Italia informazioni e materiale di propaganda. Un ruolo pericolosissimo, quello del “corriere”, per il quale spesso si privilegiano le donne perché meno riconoscibili. Nel novembre del ‘33, però, mentre si trova a Roma Adele Bei viene identificata e arrestata. Non dice una parola sui compagni e la loro organizzazione, nonostante botte, insulti, minacce e cinque mesi in una cella di isolamento.
Di fronte al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che cerca di fare leva sul senso di colpa del suo essere madre, ribatte sprezzante: “Non preoccupatevi della mia famiglia, qualcuno provvederà; pensate piuttosto ai milioni di bambini che soffrono la fame in Italia. Appunto perché sono madre, sento il dovere di lavorare per l’avvenire di queste creature; per questo mi trovo di fronte a voi”. Parole coraggiose e pesanti come la scure della pena che si abbatte su di lei: è condannata a 18 anni di reclusione nel carcere di Perugia, dove il suo esempio di intransigenza e dirittura morale conquista le altre detenute. Sono anni in cui studia e legge, di tutto: dai classici russi a testi di economia politica e storia, fino a Le vite di Plutarco. Nel frattempo i figli Angela e Ferrero erano andati a vivere in Unione Sovietica, nel convitto di Ivanovo (a 300 chilometri da Mosca), dove si trovavano anche i figli delle coppie Longo-Noce, Togliatti-Montagnana e quelli di molti dirigenti comunisti stranieri. Il marito, che si muove tra Mosca e Parigi, alla fine del 1939 viene arrestato e poi, nel 1944, internato a Buchenwald: farà ritorno in Italia dopo la Liberazione nelle condizioni che possiamo immaginare.
Per Adele, dopo sette anni in carcere, nel giugno del ’41 è disposto il confino a Ventotene, dove ritrova la prima linea del partito (Terracini, Secchia, Mario Scoccimarro e altri) e Giuseppe Di Vittorio, con cui instaura un buon rapporto tanto che, una volta eletto segretario della Cgil, sarà lui a indicarla alla Consulta nazionale. Gli anni di segregazione nell’isola non sono facili per la mancanza di cibo – dimagrisce dieci chili – e per le condizioni generali: vivono e dormono in camerate con 25 letti, l’igiene è approssimativa, l’acqua scarseggia. Con la caduta di Mussolini, anche i prigionieri di Ventotene sono liberi, “al canto dell’Internazionale” sbarcano a Formia, da dove Adele raggiunge Roma: è il 18 agosto 1943. Contatta le brigate partigiane del Lazio e riprende la sua battaglia, se possibile con ancora maggior intensità.
E’ tra le protagoniste della Resistenza romana: organizza e coordina l’azione dei Gruppi di difesa delle donne (Gdd) reclutando e motivando tante militanti di ogni ceto e orientamento nell’azione quotidiana contro i nazisti (alla fine del conflitto le verranno attribuiti il grado di capitano e la croce di guerra al valor militare). Centro logistico è la casa della partigiana Carla Capponi: lì si tengono le riunioni, si definiscono le strategie, si decidono gli interventi, si individuano altre compagne da coinvolgere nella lotta. Pian piano nascono diverse sedi clandestine nei vari quartieri, il movimento cresce. Nell’aprile del ’44 scatta il drammatico assalto ai forni, con l’assassinio di Caterina Martinelli, uccisa da un tedesco con sua figlia in braccio e una pagnotta ancora in mano. Finalmente, il 4 giugno, gli Alleati arrivano in una Roma che è l’ombra di se stessa.
Adele Bei non perde un minuto. C’è da ricostruire, e capire come trasfondere i valori della Resistenza nello Stato che verrà. C’è il lavoro, che per lei è la priorità, e ci sono le donne che non possono certo tornare alla condizione preesistente sotto il regime fascista. E’ questo il doppio binario di riferimento, per la comunista marchigiana. Nell’autunno del ’44 partecipa alla fondazione dell’Unione donne italiane (Udi), nel cui primo congresso sarà nominata dirigente. Nel ’45 entra a far parte della Consulta, unica fra le 13 rappresentanti a essere indicata da un organismo non politico. Nella stessa assemblea consultiva siede il marito Domenico Ciufoli, rientrato da Buchenwald, ma non è – e non sarà – l’unione ritrovata dopo anni di lotta e sofferenze. Il grande dolore della morte del figlio Ferrero, tornato in Italia con la sorella dall’Unione sovietica, li allontana e divide la famiglia, già provata dalle pesanti vicissitudini.
Candidata alla Costituente dal Pci, viene eletta nel collegio di Ancona-Pesaro-Macerata-Ascoli Piceno con 7.549 voti. Le è quindi conferito l’incarico di segretaria della Terza Commissione per l’esame dei disegni di legge. La voce di Adele Bei si farà sentire nel corso del biennio, sia cofirmando emendamenti proposti dalle colleghe, sia nella seduta del 18 febbraio 1947: nell’ambito della discussione sulle dichiarazioni del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, prende la parola contro la soppressione del ministero dell’assistenza post-bellica, sostenendo che l’emergenza non si è certo esaurita e sottolineando quanto di buono e utile era stato fatto sino a quel momento: sul fronte delle colonie estive, delle cooperative per il lavoro di reduci e partigiani, delle scuole professionali, delle mense popolari. “Vogliamo assistere il popolo – osserva con fermezza Bei – perché vogliamo riportare la serenità nella famiglia, e la serenità non si porta solo a parole, si porta con l’assistenza fattiva”.