Di seguito, un estratto dall’ebook, Paesaggi d’acqua. Milano e dintorni, a cura di Bianca Dendena, pubblicato da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
L’ampiamente adottata definizione di oro blu in riferimento all’acqua evidenzia come una risorsa basilare e prioritaria, bene comune dell’umanità, rappresenti, in maniera sempre più evidente e marcata, un interesse economico tale da essere paragonato a un bene di consumo e di mercato. Interrogarsi circa le implicazioni sociali e le responsabilità collettive connesse all’accesso e all’uso dell’acqua è materia di speculazioni tutt’altro che recenti, come dimostra la riflessione articolata da Gian Domenico Romagnosi che, già nel 1829, pose in luce alcuni aspetti sociali della sua governance in ambito rurale.
L’acqua, in quanto bene senza forma non suscettibile di proprietà esclusiva come altre cose materiali, è stata a lungo considerata, in termini di diritto, una risorsa illimitata soggetta al massimo sfruttamento. Tuttavia è diventata, in anni recenti, un tema di dibattito e di rivendicazione di rilievo globale da parte di movimenti e associazioni di diversa natura che ne hanno proposto varie formulazioni normative.
Ampiamente diffusa è, a questo proposito, l’idea dell’acqua come “bene comune universale”, che, in virtù di tale definizione, non può essere oggetto di un diritto patrimoniale da parte di soggetti privati votati al suo impiego commerciale con finalità di profitto. Secondo tale interpretazione, l’acqua è un dono della natura e può, quindi, essere oggetto solo di un “diritto naturale” del quale sono titolari tutti i membri dell’umanità. Questa interpretazione, che si inquadra in una sorta di giusnaturalismo idrologico, si caratterizza, spesso, per particolarismi spiritual-religiosi di grande suggestione permeati di una forte ideologia globalistica ed ecologica.
A latere di questa visione del diritto all’acqua che la inquadra quale bene che la natura ha messo a disposizione di tutti, si delinea una posizione che ne propone una caratterizzazione di tipo sociale. Tale possibile interpretazione mutua l’approccio analitico che è stato applicato, in altra sede, al diritto alla vita. Il paradigma del diritto alla vita quale fu teorizzato alle origini della civiltà giuridica moderna – come “diritto a non essere ucciso” e cioè come immunità o “libertà negativa” – ha subito profonde modifiche nel tempo fino ad assumere l’accezione di “diritto alla sussistenza”. In quest’ottica, contrariamente all’ideologia liberale classica per la quale la sopravvivenza è un fenomeno naturale, affidato al rapporto dell’uomo con la natura, oggi sopravvivere non è più considerato un fatto naturale, bensì un fatto sociale, affidato alle possibilità di lavoro, di consumo e di sussistenza offerte, mediate, amplificate dall’integrazione sociale. Pertanto, trasponendo tale riflessione al diritto all’acqua come diritto alla sopravvivenza, questo diventa un diritto alla solidarietà sociale, analogamente al diritto alla salute, all’istruzione, alla casa, e lo colloca entro le questioni di cui deve occuparsi la collettività politica. Si tratta di un “nuovo” diritto sociale, perché nuovo è il bisogno ad esso sottostante, generato dalla crescente scarsità del bene necessario nella congiuntura attuale di una popolazione mondiale che cresce, diversifica ed incrementa i suoi bisogni alla luce di un clima che cambia ed esercita sulle risorse idriche una pressione senza precedenti.
[…] presso molte comunità sociali il diritto all’acqua assurge a tutti gli effetti a diritto d’identità di un gruppo che va ben oltre la condizione della sua mera sopravvivenza. La negazione del diritto all’acqua, così come ad altre risorse, e l’erosione della governance sociale su quelle che ne garantiscono non solo il sussistere, ma anche l’espletamento di una serie di funzioni sociali e culturali, ledono l’identità culturale di un gruppo, di una collettività: di una comunanza. Se l’identità collettiva non viene più elaborata e sostanziata attraverso l’esperienza socializzata della coltivazione dei campi, della modulazione del territorio, dello sfruttamento sostenibile di questo attraverso l’integrazione delle attività produttive con quelle artigianali, della trasmissione degli usi e dei miti, così come di quelle arti e quei mestieri propri di una civiltà in un dato luogo in un dato spazio, la cultura di un popolo si riduce a un contenitore vuoto in cui gli individui rivendicano singole esigenze puramente economiche, espresse in termini di necessità di usufrutto e consumo. Se, invece, il rapporto sociale con l’acqua e con le risorse a essa strettamente associate, prima fra tutte il cibo, è rispettato, valorizzato e protetto nelle sue forme descrittive della comunanza, il diritto all’acqua assume l’importante valenza simbolica di diritto comunitario e non semplicemente dei singoli membri del gruppo la cui rilevanza, quindi, si esprime nel momento in cui esercitano i propri diritti scambievoli. Questo connubio tra la risorsa acqua, territorio, sviluppo – sia esso economico, infrastrutturale o culturale –, paesaggio, qualità dell’ambiente, costumi sociali e alimentari e valori etico-religiosi ha profonde radici storiche … […] un legame, quello tra acqua e civiltà, che è continuato nel corso dei secoli e ha reso le città che sull’acqua vantavano una posizione di privilegio – accesso, controllo, dominio – punti di snodo economico e culturale che ne hanno decretato lo splendore e l’affermazione nel panorama storico e sociale di diverse epoche: è questo il caso, per esempio, di Venezia, Amburgo, Amsterdam, San Pietroburgo e Milano, quest’ultima naturalmente dotata di una ricchezza d’acqua unica nello scenario europeo, le cui ingegnose modalità di sfruttamento ne hanno determinato lo sviluppo basato su una fiorente economia rurale, prima, e industriale, poi, che ha destato meraviglia per secoli.
Di questa meraviglia, oggi, siamo chiamati a custodire la memoria e a fare tesoro attraverso una lettura attenta delle testimonianze storiche e l’interpretazione dei paesaggi agrari e urbani, storicamente e intimamente connessi gli uni agli altri, così come all’ecosistema entro il quale la comunanza di cui siamo parte esercita il diritto alla sua unicità.