La fine dell’età dell’oro. La guerra e la “grande trasformazione” economico-finanziaria
“Quando nei primi giorni di agosto il telegrafo portava da un capo all’altro del mondo la notizia che la grande conflagrazione era scoppiata, i mercati finanziari apparvero completamente disorientati e i governi degli Stati guerreggianti e neutrali dovettero ricorrere a provvedimenti di eccezionale gravità che mai prima di allora era stato necessario invocare”.
(La Guerra e l’Economia mondiale, in L’illustrazione italiana, 6 dicembre 1914)
Così “L’Illustrazione Italiana” poneva, nel dicembre del 1914, il problema dell’impatto della guerra sull’assetto economico-finanziario, aprendo uno squarcio su di un tema che rispetto ad altri aveva rischiato di passare in secondo piano all’interno della più vasta questione delle trasformazioni indotte dal conflitto.
Eppure, le settimane a cavallo tra il luglio e l’agosto del 1914 avevano segnato, anche da un punto di vista economico-finanziario, la “fine di un’epoca”. Quell’epoca che, praticamente a partire dalla restaurazione post-napoleonica, aveva visto il consolidarsi di una relativa stabilità internazionale fondata sul gold standard, ovvero sulla convertibilità delle principali monete in oro, da cui discendeva un indiretto sistema di cambi fissi anche tra le diverse monete. Il gold standard, o sistema aureo, era riuscito di fatto ad allineare i prezzi internazionali attraverso un sistema che si basava sul dominio incontrastato della sterlina e andava a completare quel quadro della lunga “pax britannica” che aveva permesso una crescente integrazione dell’economia mondiale in un quadro di stabilità monetaria e finanziaria.
Quegli stessi meccanismi che ne avevano permesso il funzionamento e il consolidamento, furono tuttavia alla base del rapido crollo del sistema. Il 28 luglio, il “martedì nero” della borsa londinese (evocatore e anticipatore di altri “giorni neri” del mercato internazionale), segnò l’apertura di una crisi che si sarebbe consumata in appena due giorni, fino al “giovedì nero” che vide la chiusura contemporanea della borsa inglese e di quella newyorkese. La successiva decisione, da parte della Gran Bretagna, di abbandonare la ultradecennale convertibilità della sterlina in oro segnava la morte di Londra come centro del mercato mondiale e insieme la fine dell’“età dell’oro” del sistema monetario internazionale.
La crisi che si apriva, e che sarebbe culminata con la Grande Depressione del 1929, creò di fatto una frattura a cui si cercherà di porre rimedio solo con gli accordi di Bretton Woods del 1944. Ci sarebbero volute insomma due guerre mondiali e la più grave crisi finanziaria internazionale mai sperimentata fino ad allora per spingere la comunità internazionale a ricercare anche, e anzi proprio, sul piano finanziario quella stabilità che la guerra apertasi nel 1914 aveva distrutto mostrando subito al mondo il suo effetto devastante.
Quella che avrebbe potuto essere una crisi “locale”, anche se di portata storica, proprio a causa dei meccanismi di interrelazione finanziaria creatisi nei decenni precedenti, uniti all’effetto domino moltiplicatore prodotto dalla guerra, si trasformò in una crisi epocale senza ritorno. (Cfr. La Guerra e l’Economia mondiale, in “L’illustrazione italiana”, 6 dicembre 1914).
Come scrisse Riccardo Bachi nella sua L’Italia economica nell’anno 1914, si era assistito in un istante alla “scomparsa dell’economia internazionale”: quel “meccanismo meraviglioso e delicatissimo […] e connesso mediante molteplici e minuti congegni coi sistemi delle singole economie nazionali” era in realtà forgiato per la pace e, come tale, “al primo rumore delle armi” era andato in frantumi. (R. Bachi, L’Italia economica nel 1914, Torino, 1915).
La tempesta finanziaria che sconvolse l’Europa nell’agosto del 1914 investì ben presto tutti i paesi, anche quelli che, come l’Italia, erano per il momento rimasti neutrali tenendosi quindi al di fuori della contesa bellica.
Il dicembre del 1914 rappresenta in tal senso un momento emblematico. Con R. Decreto del 16 dicembre il governo decideva di emettere un prestito nazionale del valore di un miliardo di lire con titolo di 97 lire al 4.50 per cento, emesso anche in piccoli tagli, per dare un “carattere popolare” al prestito ed incoraggiare anche i piccolo risparmiatori, rimborsabile entro 25 anni dall’emissione a partire dal 1925. (Cfr. Il prestito nazionale italiano, in “L’illustrazione italiana”, 3 gennaio 1915).
Il prestito, che sarebbe poi stato ricordato come il “primo prestito di guerra”, emesso allo scopo di finanziare le accresciute spese militari per Esercito e Marina, precipitò improvvisamente il paese, proprio alla vigilia di Natale, in pieno clima di mobilitazione.
La decisione del governo, riconosciuta dagli osservatori coevi come “l’avvenimento finanziario più importante” del 1914 per l’Italia, ebbe l’impatto traumatico di mettere per la prima volta gli italiani di fronte alla realtà di vivere ormai in un paese in guerra.
Eleonora Belloni