Guerra totale, laboratorio di modernità, porta di ingresso (tragica e sanguinosa) alla “Grande Trasformazione”. La Prima guerra mondiale, come illustrerà il percorso “Informazione e propaganda”, più di ogni altro conflitto precedente metterà in gioco l’intenzione di conquistare i cuori e le menti delle varie fasce della popolazione, dei soldati come dei civili (nonché delle donne e dei più giovani, prima esclusi da questo tipo di “preoccupazioni”). E, nel suo carattere di mobilitazione totale, porterà al confezionamento e al perfezionamento di tecniche di persuasione, modalità di manipolazione, saperi collegati a quella che veniva chiamata la psicologia delle folle e all’applicazione su larghissima scala delle metodologie di vario genere già impiegate nella pubblicità commerciale.
I governi e gli stati maggiori si posero il tema di convincere quelle che, nelle liberaldemocrazie, erano già diventate da qualche tempo, opinioni pubbliche, e di forgiare, nei regimi autocratici, le volontà del “popolo”. E la Grande Trasformazione darà origine così alla nascita a pieno titolo delle scienze della comunicazione, e sperimenterà le avvisaglie e le anticipazioni di quello che, in altra epoca, verrà definito lo spin doctoring. Al contempo, la propaganda verrà (debolmente e inadeguatamente) contrastata dalla “contro-informazione” di forze politiche, organizzazioni sindacali e soggetti associativi legati al movimento operaio, di cui sempre questo percorso intende dare conto.
Articolo di Approfondimento
Grande guerra e grande schermo – da ViaRomagnosi n.3
Se si considera la memoria, tanto letteraria come visuale o filmica, la Prima guerra mondiale marca varie differenze. Fino all’attentato di Sarajevo (e poi per un breve tempo dopo Versailles) per illustrare la guerra e i suoi esiti si erano sostanzialmente filmate le élites, le parate e le paci; sui fronti della Grande guerra comincia invece ad essere filmata la carne da cannone, una marea umana fatta di masse in movimento ed in conflitto. La guerra che queste masse combattono non è la loro guerra, ma sono loro che la rendono fisicamente filmabile.
E’ soprattutto su un secondo aspetto che vale la pena insistere Se dal punto di vista delle immagini, la guerra è stata quasi sempre filmata come una guerra di posizione, di fronte e di trincea, dal punto di vista del racconto e dell’interpretazione è invece stata narrata come un’estrema conseguenza della rivalità franco-tedesca.
Tale rivalità è stata spesso illustrata dal cinema attraverso il contrappunto tra stili di vita di retrovia ugualmente urbani, postribolari e decadenti, ma presentati sullo schermo come tra loro incompatibili Debosciata e perversa nelle rispettive capitali, sentite come molto più contemporanee non solo di Mosca e di Istambul, ma anche di Ginevra e di Vienna, la rivalità tra francesi e prussiani tende ad assumere una connotazione fratricida lungo il Reno. Proprio per questo, viene spesso percepita e rappresentata evocando scenari biblici e religiosi, legati da un lato a Sodoma e Gomorra e dall’altro a Caino e Abele. I titoli che ai tempi del muto e nei primi anni del sonoro lasciano trasparire il sottotesto sacrificale e religioso sono davvero molti. Per esempio: Il Belgio martire, di Charles Tuteler, 1919; I quattro cavalieri dell’Apocalisse, di Rex Ingram, 1921; Hell’s Angels di Howard Huges (“aiutato” da Edmund Goulding e James Whale), 1930, Journey’s End, dello stesso James Whale, uscito nel 1930 e propagandato come “all-talking movie”, Hell on Hearth, di Victor Trivas, 1931, e Les croix de bois di Raymond Bernard, 1932, con il suo remake americano The Road to Glory, di Howard Hawks, 1936. Anche grazie al protagonismo della Croce Rossa, all’impatto dei sacrari e dei cimiteri di guerra ed al fatto che molte decorazioni al valore, al merito e alla memoria avevano forma di croce, il simbolo cristiano del sacrificio supremo diventa sul grande schermo la principale chiave, anche psicologica, per interpretare in termini umanitari il collasso della coscienza europea e occidentale, di cui la Grande guerra viene considerata prodotto ed espressione.
Il “fronte occidentale”, col suo proliferare di croci di ferro, di croci di legno bianche e nere e di ambulanze della Croce Rossa, è stato, almeno al cinema, il fronte per eccellenza, monopolizzando l’attenzione di circa metà delle produzioni internazionali (quasi 100 film su un corpus di riferimento di circa 200) e contribuendo a rendere periferiche le produzioni italiane (come è ovvio dedicate in maggioranza al fronte delle Alpi orientali e al mare Adriatico).
Proprio grazie al cinema, l’espressione “fronte occidentale” ha tra l’altro conosciuto una significativa deriva prospettica e semantica, passando nel dopoguerra da specchio del punto di vista militare della Prussia e degli imperi centrali, costretti a combattere su più fronti (uno dei quali occidentale), a riflesso civile di una prospettiva esterna e neutralizzata, atlantica e statunitense, sull’Europa e le sue vicende.
Marco Cipolloni
Professore di Storia Contemporanea presso l’Università di Modena e Reggio Emilia