di Erica Grossi
per il percorso narrativo Cittadini del mondo
Il 18 aprile 1946 l’Assemblea della Società delle Nazioni, istituita a Versailles nel giugno 1919, decreta lo scioglimento formale del Patto/Covenantcostitutivo del 10 gennaio 1920. Questa sequenza di date ben descrive la lunga parabola di elaborazione del concetto giuridico di «sicurezza collettiva», e della sua formalizzazione nella realtà politica internazionale. Se, infatti, è solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale che si realizza quel sistema collegiale internazionale tutt’ora attivo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e il relativo Consiglio per la Sicurezza – responsabile «del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale» (ART.24) –, è però con la prima guerra che emerge la necessità di istituzionalizzare lo «struggle to enforce peace». Con questa espressione, dalla quale emerge il dettato americano nelle relazioni europee fin dal 1916 e poi con l’ingresso in guerra degli USA nel ’17, si esprime l’intenzione diffusa da parte di diverse leghe e enti nazionali sparsi nel mondo di risolvere il conflitto in corso in modo da garantire il mantenimento di una pace duratura. È, però, in questo momento di crisi totale delle relazioni diplomatiche, che i processi internazionali per il rafforzamento e il mantenimento della pace mondiale si legano con pratiche – sanzioni, misure provvisorie e/o definitive – di legittimazione proprio dell’uso della forza militare internazionale contro Stati o governi-canaglia – come si usa definirli oggi. Anche se, fin dalla firma degli accordi, l’impressione più diffusa è che, senza la delega della potenza militare e la totale riduzione degli armamenti da parte di tutti gli Stati contraenti il Patto, ogni struggle resti vano. Definito subito l’«equivoco fondamentale», l’«ingenuità» garantista o il «pregiudizio criminale», il fatto che i maggiori firmatari – la Francia di Clemenceau e la Gran Bretagna di Lloyd George, soprattutto – si siano rifiutati, cioè, di delegare parte del diritto sovrano all’istituzione di un organo super partes di controllo e mantenimento della pace sottoscritta, diventa materia di dibattito e scontro tra i movimenti politici degli Stati stessi. Esattamente nei mesi in cui entrano in vigore gli articoli del trattato e la Società della Nazioni si riunisce nel segno della cooperazione internazionale, a Monaco viene fondando il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi – tra gli iscritti Adolf Hilter – proprio in nome dell’«abolizione dei trattati di Versailles e Saint-Germain» (ART.2), segno che il vento di guerra non ha smesso di soffiare sull’Europa. Se è vero, dunque, che la storia del vecchio continente è un campo di battaglie successive, la continuità della lunga guerra civile europea (1914-1945) dimostra l’illusione teorica e il rischio pratico di questa «equivoca» strategia globale per la «sicurezza collettiva», sia verso la minaccia di guerre internema a carattere mondiale, sia contro quella del conflitto atomico, un sequeldurato tutto il lungo inverno post-moderno della Guerra Fredda (1945-1991).
Erica Grossi
Ricercatrice del progetto “La Grande Trasformazione 1914-1918”