Cittadini Reattivi

Per la rassegna Chi fa inchiesta oggi


Come nell’uso socialista dell’inchiesta operaia proposto da Raniero Panzieri, il metodo del giornalismo civico è quello di mettersi “al fianco delle lotte”, ponendosi le giuste domande davanti alle ingiustizie e ai soprusi. Senza dimenticare, però, gli elementi indispensabili per il buon giornalismo, come l’accuratezza, l’indipendenza, l’imparzialità, il rispetto della legalità e la tutela delle fonti (anche anonime).

Usare gli strumenti del giornalismo investigativo ma anche il metodo scientifico. Chiedere alle comunità che vivono sui siti più inquinati d’Italia di partecipare e documentare cosa succede sul loro territorio. Sollecitare le istituzioni alla trasparenza e ad aprire i dati che monitorano lo stato dell’ambiente e la salute dei cittadini. Il tutto utilizzando in modo innovativo un portale web e i Social Network e utilizzando il Freedom Information Act.

È questo il metodo “Cittadini Reattivi” e sono passati otto anni da quando ha debuttato online. Quello che era stato identificato da Fondazione Ahref nel 2013 come progetto di inchiesta multimediale ad alto impatto civico e sociale, con un sito di crowdmapping che invitava i cittadini a documentare i luoghi inquinati, ma anche le buone pratiche nei loro territori, nel frattempo è diventata anche un’associazione che si batte per il diritto di sapere a livello europeo e internazionale.

Un’inchiesta on the road che non si è ancora arrestata e che è partita dall’analisi di un problema enorme e tutt’ora irrisolto: il prezzo umano e ambientale dell’inquinamento. L’Italia è un Paese da bonificare. In tutti i sensi. Per ognuno dei 7.918 comuni d’Italia esistono mediamente due aree, i cui terreni o le falde acquifere sono fortemente contaminate dal nostro passato e presente industriale, o dalla cattiva gestione dei rifiuti.

Almeno 6 milioni di cittadini risiedono proprio nei siti che dovrebbero essere bonificati, inquinati da sostanze cancerogene e tossiche. Come amianto, diossine, idrocarburi, metalli pesanti, pesticidi, PFAS, policlorobifenili. Situazione descritta ampiamente nelle relazioni della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo di rifiuti, che ha indagato sui ritardi nell’attuazione degli interventi di bonifica e i profili di illegalità e che è possibile ritrovare nell’analisi sull’ultimo rapporto Ecomafia 2020, a cura dell’osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente (edito da Edizione Ambiente).

Ma chi sono i “Cittadini Reattivi”? È dall’ascolto e dal confronto con una e più generazioni di attivisti, cittadini, medici, uomini e donne delle istituzioni – fino alla generazione Fridays For Future – che è scaturito il lavoro di inchiesta e di indagine realizzato in giro per l’Italia. Sono loro, gli ex-operai, le madri, i sindacalisti, i comitati, le associazioni che hanno iniziato a fare i conti – ben prima dell’opinione pubblica – con le ricadute ambientali e sanitarie legate ad un modello di sviluppo insostenibile. Che per troppo tempo ha ignorato totalmente l’ecosistema e ha sfruttato ogni risorsa naturale a proprio piacimento.

Sono loro che ancora oggi, tra la pandemia da Covid-19 e l’ormai evidente e necessaria transizione ecologica, ci ricordano come anche la società italiana non abbia ancora fatto davvero i conti con il passato e il presente industriale che ha lasciato e rilascia tuttora: basti pensare alla sola Ilva di Taranto, un pesante carico di veleni e ingiustizia sociale.

Eppure, come diversi saggi descrivono (tra gli ultimi segnaliamo, oltre il rapporto Ecomafia 2020, Primavera Ecologica, mon amour di Marino Ruzzenenti e Pierpaolo Poggio, Edizioni Jaca Book), il nostro Paese vanta una storia epica di movimenti civili che va documentata, raccontata, sostenuta, con urgenza. Una storia che andava documentata e che chi scrive ha cercato di riprodurre in inchieste nazionali, spesso auto-finanziate e pubblicate anche sui media nazionali.

Fino alla prima campagna di crowdfunding nel 2017 che ha permesso all’associazione di produrre dal basso due delle prime “Storie Resilienti” nei documentari-inchiesta “La rivincita di Casale Monferrato” e “Io non faccio finta di niente”. Narrazioni che restituiscono almeno parzialmente la voce a quel “popolo inquinato” che ancora oggi lotta da nord a sud, da Casale Monferrato a Brescia, dalla Terra dei Fuochi a Taranto.



Eppure, se i risultati raggiunti e l’audience ottenuta rendono indiscutibile la necessità sociale dell’inchiesta, meno lo è il suo riconoscimento nel panorama editoriale italiano, che appare sordo al diritto di sapere e all’approfondimento. Un problema che va anch’esso affrontato. Tanto è vero che il sostegno economico a questa modalità di fare informazione in modo totalmente indipendente, fino a oggi, ha potuto contare quasi esclusivamente sul sostegno delle stesse comunità ferite.

Ma anche, fortunatamente, di istituzioni e associazioni europee come l’European Journalism Centre e il Digital Whistleblower Fund che ne hanno riconosciuto la valenza. Organismi che hanno a cuore l’indipendenza dell’informazione anche nel nostro Paese. E questa è la nostra speranza.



Per saperne di più:

Giornalismo civico e giornalismo partecipativo: cosa sono e perchè – Rivista Micron

Quando l’inchiesta nasce dal basso – Premio Roberto Morrione

Cittadini Reattivi: the project and the association – Medium

Intervista ribelle – Extinctionrebellion.it

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