Non solo storia – Calendario Civile \ #18marzo 1871
Quando si pensa a uno dei volti noti della Comune di Parigi, difficile che non venga in mente quello di Louise Michel. La vierge rouge – come venne soprannominata – è infatti una delle protagoniste più conosciute, se non “La protagonista” di quella rivoluzione. La sua notorietà, tuttavia, non dipende dal ruolo svolto durante quei 72 giorni, né da quello precedente.
All’epoca dei fatti ha quarant’anni e da decenni fa la maestra in istituiti privati parigini promuovendo progetti di riforma pedagogica verso la laicità e l’universalizzazione dell’istruzione. Politicamente, non risulta attiva in gruppi specifici ma gravita nell’eterogeneo ambito repubblicano, vicina al blanquismo: frequenta tra gli altri Marie Ferré ed è legata sentimentalmente al fratello di quest’ultima Théophile, noto sodale di Auguste Blanqui. Coltiva la passione per la letteratura, aspira a diventare poetessa ed è in relazione epistolare con Victor Hugo.
Nei mesi che precedono la Comune, diventa membro del Comité de Vigilance di Montmartre, uno dei vari organismi di autogoverno popolare che sorgono negli arrondissement parigini. Contribuisce poi alla fatidica insurrezione del 18 marzo sempre a Montmartre, quando l’esercito mandato a requisire i cannoni custoditi dalla Guardia Nazionale ammutina fraternizzando con il popolo in rivolta. Quindi, partecipa a diversi club politici, per sua stessa ammissione preferendo quelli frequentati da soli uomini poiché più radicali. Si arruola come soldatessa e soccorritrice nel 61° battaglione della Guardia Nazionale e prende le armi in diversi scontri armati. Infine, durante la semaine sanglante viene arrestata, processata e condannata alla colonia penale della Nuova Caledonia.
La sua fu certamente una partecipazione attiva, non diversa però da quella di molte altre donne che in quei mesi si unirono alla rivoluzione.
La sua notorietà è legata a qualcos’altro, a ciò che accade durante il processo e al fatto che i resoconti pubblicati sulla Gazette des Tribunaux furono enfatizzati dai maggiori periodici conservatori dell’epoca. Mentre altre compagne e compagni avevano cercato di evitare condanne peggiori, Louise Michel si era presentata a lutto, tutta vestita di nero, e a testa alta aveva affrontato i giudici, assumendosi la completa responsabilità dei terribili reati che le venivano imputati. Di fronte alla condanna alla deportazione aveva chiesto per sé la condanna a morte, ovvero la stessa sorte a cui erano andati incontro migliaia di comunardi (compreso il suo compagno Ferré).
La pubblicistica conservatrice si servirà di questi resoconti per dare un volto al mito anticomunardo delle pétroleuse che si era diffuso nelle settimane precedenti.
Si trattava di figure perlopiù leggendarie che condensavano le peggiori ansie misogine: donne caratterizzate da un’assenza radicale di femminilità, per questo disumane, ridotte a bestie feroci che si aggiravano per Parigi appiccando incendi con il petrolio (da qui il termine). Contemporaneamente, su questo mito s’innesterà anche un suo mito più personale, quello della vierge rouge: un po’ pétroleuse, un po’ santa martire (vergine) della rivoluzione.
Rientrata in Francia dopo una decina d’anni di colonia penale, fu lei stessa a cavalcare questi miti in un senso a lei congeniale. Nelle sue memorie, la violenza distruttrice della pétroleuse diventa l’elemento fondamentale di un attivismo rivoluzionario che mira alla distruzione palingenetica della società; mentre la verginità della vierge rouge è da un lato il necessario corredo di un purismo politico integrale, dall’altro l’aspetto privato della distruzione: un negarsi, senza possibili alternative, all’unico ruolo di moglie e madre che la società prescriveva alle donne.
Negli anni successivi, questa sovraesposizione mitica di Louise Michel contribuì a celare la complessa realtà della partecipazione femminile alla Comune. In particolare, troppa attenzione viene rivolta alla violenza, interpretata come un segno tangibile di una più ampia rivendicazione di cittadinanza, con il rischio di rimanere vittime del mito anticomunardo penetrato anche nelle fonti ufficiali e nelle carte processuali.
Ciò invita ad allargare lo sguardo alla più ampia partecipazione femminile alla Comune, e a riflettere su quanto la Comune possa essere considerata un punto di svolta per il movimento femminista. Molti elementi indicano al contrario una continuità col passato, a partire dal fatto che le elezioni del 26 marzo si svolsero a suffragio universale maschile: non risultano rivendicazioni – che molto probabilmente sarebbero state ignorate – di un allargamento del diritto di voto alle donne.
Dal punto di vista più propriamente sociale, spicca il ruolo dell’Union des femmes pour la défense de Paris et les soins aux blessés, strettamente legata all’Internazionale e ai lavori della Commissione Lavoro della Comune stessa. L’Union des femmes promosse parità di salari e l’istituzione di cooperative di lavoro femminili, anche se non attaccherà l’idea che il lavoro delle donne non dovesse fare concorrenza a quello degli uomini. Verrà riconosciuta una pensione alle vedove non sposate e per il mantenimento dei loro figli illegittimi che per molti rappresenta un colpo sferrato alla società patriarcale così delineata nel Codice napoleonico e al disprezzo con cui i borghesi guardavano alle classi popolari, giudicando in termini morali una precarietà delle relazioni che era invece frutto di circostanze sociali.
In generale, le rivendicazioni delle comunarde, pur auspicando la parità dei diritti civili, non mettono in discussione la condizione della donna nella sfera privata, nella famiglia, riconfermandone in sostanza i ruoli di mogli e madri.
La loro partecipazione alla rivoluzione, benché numerosa, è molto simile nelle modalità a quella più tradizionale che vedeva le donne nella posizione di cantinière e ambulancière.
Se alcune, come Louise Michel, vestirono l’uniforme partecipando agli scontri armati, molte di più animarono i club femminili come quello tra i più frequentati della Chiesa di (Saint) Lambert de Vaugirard. Tra queste meriterebbero ben altra attenzione André Léo, Elisabeth Dmitrieff, Paule Mink, Anne Jaclard, Victoire Tinayre, Ambroise Lyaz e Nathalie Lemel, che rimangono ancora perlopiù sconosciute.