Partecipanti
Laura Iacovone (Università degli Studi di Milano), Elena Jachia (Fondazione Cariplo), Giovanni Teneggi (Confcooperative), Gianluca Ruggieri (Università dell’Insubria), Edoardo Croci (Green Bocconi), Luca Calafati (Università degli Studi di Milano), Sara Capuzzo (èNostra), Simone Molteni (LifeGate), Roberto Nocerino (SharingCities), Samantha Caccamo (Social Business Earth), Marina Trentin (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli), Anna Pettinaroli (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli)
1. Pandemia e nuovi scenari
Lo scenario aperto dalla pandemia ha reso necessaria una riflessione sul ruolo dell’intervento pubblico e dei vari attori sociali nell’affrontare le attuali emergenze economiche e sociali.
La crisi del 2008, con gli effetti che ne sono derivati, aveva già messo in luce la presenza di tutta una serie di elementi di insostenibilità che rendevano urgente una riforma dell’attuale sistema economico-sociale. La pandemia in un certo senso rilancia questa necessità e costituisce un pretesto per impostare e approfondire una riflessione sulle “alternative” e sulla definizione di una nuova agenda politica che sia progressista.
Si tratta una discussione improrogabile in quanto la crisi attuale rischia di produrre effetti negativi sul clima e sull’ambiente; il pericolo è infatti che governi e imprese accantonino le politiche di investimento già programmate per dedicarsi a questioni considerate come “più urgenti” da affrontare nel breve periodo. Tali investimenti non solo rischiano di perdere la priorità acquisita all’interno delle varie agende, ma potrebbero anche risultare come poco convenienti da un punto di vista economico. A ciò si aggiunge il fatto che, a causa dell’epidemia, molte delle più importanti conferenze sul clima verranno posticipate, con il rischio di posticiparne di conseguenza anche gli obiettivi. Oltre a ciò, la pandemia ci mostra quanto, in un mondo globalizzato e interconnesso, la crisi attuale sia strettamente connessa all’emergenza ecologica e si impone come doveroso aspettarsi che questa sia solo la prima di altre crisi (sanitarie, economiche o umanitarie) dovute al cambiamento climatico e alle sue conseguenze.
1.1 Alternative: leggere la crisi come opportunità
Se da un lato la crisi può essere vista come freno ad un modello di sviluppo che sia equo e sostenibile, dall’altro può essere colta come l’occasione per rimettere in discussione il sistema presente e costruire un nuovo patto sociale.
Questo momento di crisi può essere colto come un’opportunità per mettere in atto trasformazioni economiche e sociali a lungo termine.
Se, come afferma il professor Croci, il Covid ha avuto un impatto negativo su tutti gli SDGs, e si è imposto come una sorta di acceleratore di fenomeni che esistevano già, è vero anche che il momento può essere colto come occasione per mettere in atto profonde trasformazioni economiche e sociali. Il momento di crisi può in questo senso essere colto come opportunità per modificare in breve tempo le coordinate di riferimento del sistema economico attuale, generando importanti cambiamenti. Tentando un’estrema sintesi, dal punto di vista della transizione, i principali effetti positivi generati dalla pandemia sono stati:
- La riscoperta dell’autoproduzione e delle filiere corte
- La nascita di nuove dinamiche di comunità e condivisione
- La riscoperta di un nuovo rapporto con la dimensione territoriale
- Il propagarsi di iniziative di solidarietà
- La presa di coscienza dell’insostenibilità dell’attuale modello economico e sociale
- L’emergere di nuove agevolazioni e opportunità (es. Superbonus 110%)
- L’apertura verso modelli di produzione e consumo alternativi
1.2 Le economie trasformative
L’ultimo punto è senza dubbio uno dei più interessanti: la necessità di investire su modelli di produzione e consumo che siano sostenibili; una possibilità è dunque offerta dalle economie trasformative, forme economiche innovative che spingono alla trasformazione della società, talvolta anche partendo dal basso, coniugando coesione sociale e basso impatto ambientale.
Economie trasformative: il motore del cambiamento?
Ma come definire queste economie? Si tratta di un concetto introdotto nell’ambito del World Social Forum per creare una narrativa comune per una grande varietà di progetti di economia alternativa (femminista, ecologica, sociale etc) che andavano diffondendosi soprattutto dopo la crisi del 2008. Come illustra Luca Calafati, il decennio 2010-2020, ha messo in discussione il modello di sviluppo utilizzando concetti come quello di “crescita verde” e di “crescita inclusiva”. In estrema sintesi, si tratta di un insieme aperto e in divenire di pratiche e idee economiche che ridefiniscono il “problema economico” in termini di:
- redistribuzione sociale della ricchezza generata dall’attività produttiva
- neutralità e rigenerazione degli ecosistemi naturali
- ripensamento profondo del mainstream economico degli anni ’80 e ‘90
In Europa, il modello di riferimento per le economie trasformative è la città di Barcellona, che a partire dal 2015 ha messo in atto importanti politiche innovative come, ad esempio, l’espropriazione del patrimonio edilizio di alcuni grandi gruppi di speculatori immobiliari che sono stati convertiti in case popolari, il piano per la promozione dell’imprenditoria sociale e solidale nei quartieri, la decarbonizzazione del sistema energetico e il contrasto alla povertà energetica.
In generale si tratta di iniziative economiche che pongono le radici su tre concetti di base:
- il focus non su indicatori monetari di ricchezza (PIL) ma piuttosto sull’accesso effettivo di tutti a beni e servizi fondamentali di qualità: casa, sanità, cibo, energia, istruzione e mobilità
- il riconoscimento della finitezza materiale del pianeta e l’abbandono dell’obiettivo della crescita economica incondizionata
- l’approccio della cosiddetta “diversità organizzativa”, che non prevede un’opposizione generica stato vs. mercato, ma che consiste nel riconoscimento dell’esistenza di diversi tipi di mercato (sociale, predatorio, coordinato), di impresa pubblica (burocratica, imprenditoriale, locale, nazionale), e di impresa privata (cooperativa, radicata, low-profit, all-profit). Tale approccio vede il sistema economico come un fenomeno complesso in cui ognuno dei vari modelli organizzativi può essere efficace in alcune aree economiche ma non in altre.
In quest’ottica i concetti di economia, società e ambiente, non possono più essere interpretati come entità separate ma richiedono al contrario una visione sistemica che li consideri strettamente interconnessi tra loro. Come afferma Giovanni Teneggi, può essere trasformativa solo l’impresa che mette in primo luogo in discussione la propria forma, aprendosi a nuove sfide e interpretazioni.
1.3 èNostra
Sara Capuzzo illustra il caso studio di èNostra, di cui è presidente, che rappresenta il primo caso di cooperativa energetica in Italia che produce e fornisce energia sostenibile, etica, 100% rinnovabile, attraverso un modello di partecipazione e condivisione; si tratte dunque di un promotore e garante di un nuovo modello di relazione tra i protagonisti di una transizione energetica che deve essere:
- democratica, accessibile, equa e solidale
- promossa dal basso e centrata sui territori
- orientata ad una produzione diffusa, alla condivisione e all’autoconsumo istantaneo
- indirizzata ad incrementare la quota di rinnovabili nel mix energetico
èNostra contribuisce alla crescita e alla diffusione di comunità energetiche rinnovabili, soggetti giuridici basati sulla partecipazione aperta e volontaria, controllato da azionisti o membri situati nelle vicinanze degli impianti rinnovabili detenuti dalla comunità. Azionisti e membri sono persone fisiche, PMI, enti o autorità locali a condizione che, per le imprese private, la partecipazione alla CER (Comunità Energetica Rinnovabile) non costituisca l’attività commerciale e industriale principale. Obiettivo principale della CER è di fornire benefici ambientali, economici e sociali piuttosto che profitti finanziari.
Lo studio sul potenziale dei cosiddetti “cittadini energetici” mostra come, entro il 2050, 264 milioni di persone in Europa potranno essere in grado di produrre l’elettricità di cui hanno bisogno.
2. Gli individui come attivatori dei processi di transizione
È necessario sottolineare una questione: come afferma Simone Molteni, ogni dibattito su come trasformare l’economia per renderla più giusta dal punto di vista sociale e ambientale è sicuramente interessante ma nella messa in pratica è solo uno l’ingrediente fondamentale. Questo ingrediente è costituito dalle persone, e dal coraggio, dalla forza di cambiare che anima queste persone. Ogni anno LifeGate propone un Osservatorio sugli Stili di Vita Sostenibili che, nell’ultimo anno ha mostrato che il 72% degli italiani si dichiara appassionato o interessato alla sostenibilità. Si tratta di un dato di fondamentale importanza che mostra come il concetto di sostenibilità, da concetto di nicchia che era, sia oramai diventato un fenomeno mainstream; bisogna a questo punto capire come orientare verso la sostenibilità, verso una transizione equa e sostenibile, cittadini e aziende che già si sentono predisposte a modificare scelte e abitudini di comportamento e consumo.
2.1 Partire dai comportamenti
A questo scopo, fondamentale è il contributo di Laura Iacovone che suggerisce di partire dallo studio dei comportamenti degli individui, anche in qualità di consumatori, per facilitare il processo di transizione. Partendo da uno studio dei comportamenti individuali è infatti possibile, ad esempio, analizzare il rapporto tra atteggiamenti e comportamenti a favore dell’ambiente, della sosteniblità: si tratta in questo senso di cogliere se esista una correlazione tra essi, come suggerisce la teoria del comportamento pianificato di Ajzen (1985)[1], o se al contrario non sussista, come sostiene l’approccio script-based (Garling e Axhausen, 2003)[2] secondo il quale i comportamenti sono determinati dall’abitudine.
L’approccio script-based sui comportamenti individuali può aiutare nella disposizione di politiche urbane volte alla sostenibilità.
Secondo la prima di tali teorie le scelte compiute dagli individui sono il risultato dell’intenzione che si ha nel volersi impegnare in quel comportamento specifico; l’intenzione è a sua volta dipendente dagli atteggiamenti verso il comportamento, dalle norme soggettive collegate al comportamento e dal controllo percepito sullo stesso. Secondo l’approccio script-based i comportamenti, e dunque anche quelli pro-ambientali, sono sostanzialmente condizionati da script (schemi) comportamentali abitudinari. Cogliere questa correlazione può aiutare tanto nella strutturazione di strategie di marketing, quanto nella disposizione di politiche urbane volte ad incoraggiare stili di vita e scelte sostenibili: un’analisi di questo tipo potrebbe infatti guidare il decisore politico nell’individuazione delle politiche migliori da adottare per produrre determinate conseguenze.
Sono infatti molteplici le strategie utilizzate a livello di politiche urbane per promuovere cambiamenti nei comportamenti. Le più frequenti sono sicuramente le strategie informative, che hanno l’obiettivo di aumentare la conoscenza e la consapevolezza degli individui (ad esempio attraverso campagne di sensibilizzazione) e le strategie strutturali, che si pongono invece l’obiettivo di modificare le circostanze in cui vengono messi in atto i processi decisionali (ad esempio attraverso l’attribuzione di premi e sanzioni).
Roberto Nocerino racconta di come anche nel progetto Sharing Cities, di cui è project manager per il Comune di Milano, abbiano lavorato su due aspetti di behavioural change: da un lato attraverso la piattaforma SharingMi, una piattaforma digitale che premia comunità e cittadini per le azioni positive per il benessere della città, dall’altro attraverso la riqualificazione energetica di edifici privati multi-proprietà. Fondamentale in questo senso è il tema della partecipazione, che in questo progetto si attua attraverso attività di co-design, che rende i cittadini maggiormente consapevoli e coinvolti anche nella causa del progetto.