“Che Storia!” è organizzare un Festival che ha l’ambizione di essere “una storia tutta da vivere” nel bel mezzo di una pandemia da coronavirus?
A dispetto del senso di impotenza, è la storia a insegnarci che, nei momenti più difficili, si può e si deve contare sulle reti di comunità, sui percorsi di solidarietà, sugli esempi virtuosi di quanti provano a gettare il cuore oltre l’ostacolo, a immaginare scenari evolutivi o criteri di sviluppo, a mutare le crisi in occasioni di rilancio, o almeno in una piattaforma su cui costruire di nuovo, ma senza commettere i soliti errori. Mettendo talvolta in gioco il proprio corpo, la propria vita, la propria libertà. Olga Misik, Marc Bloch, Mario Mieli, Giovanni Gentile, Angela Davis: persone che non hanno nascosto la testa, ieri, o che non la stanno nascondendo, oggi; individui che si sono “sporcati le mani” con le vicende che riguardano tutti. Ecco perché Che Storia! è una “storia in scena”: ritratti di personaggi che hanno preso in carico il proprio presente, hanno dato battaglia a limiti e impossibilità, hanno aperto nuovi immaginari. Spettacoli per fare insieme un’esperienza inedita con i grandi avvenimenti del vecchio e del nuovo secolo, laboratori di letture e creatività per bambine e bambini.
Se guardiamo a Milano – metropoli profondamente scossa dalla crisi che stiamo vivendo – molto di quanto oggi auspichiamo per il suo futuro si può scorgere in soluzioni che ci offre il passato. È la città che ha saputo trasformare i capannoni abbandonati dalle industrie – trasferite altrove nel mondo – in sedi di imprese sociali, in luoghi di assistenza, di ricreazione, di socialità, in laboratori che producono contenuti diversi.
Veduta delle tre torri del quartiere Citylife, realizzato sullo spazio dell’area ex Fiera di Milano.
Nella città di Milano, è sempre la storia a mostrarcelo, nel corso delle due guerre mondiali (laddove la prima fu poi funestata dall’arrivo dell’altra grande pandemia – esattamente 100 anni prima di questa – legata all’influenza chiamata “spagnola”), si seppe accompagnare la popolazione rilanciando un’idea di mutua assistenza, di intervento a sostegno delle fasce più esposte, di progettualità capaci di mediare l’iniziativa dall’alto con quella dal basso. La storia è un antidoto alla disperazione che il contemporaneo rischia, talvolta, di imporre.
Lo sguardo curioso rivolto al passato, insomma, ci mostra l’importanza di stare con coraggio nel proprio “tempo presente”. Nella convinzione che la storia “siamo noi”, come qualcuno ha cantato, che la storia appartiene a tutti e che tutti appartengono alla storia. Perché ognuno è un pezzetto di fonte e tutti dobbiamo ambire a conoscere le fonti che fanno la “grande storia”, a osservarle con gli strumenti adeguati, con la consapevolezza che ognuno di noi porta con sé esperienze – anche minute – che però sono un tassello di un’epopea più ampia.
La storia, insomma, è ora il momento di scriverla insieme, giù dalle cattedre, nella co-autorialità fra tutti coloro che la disciplina la padroneggiano, e quanti hanno invece il desiderio e la necessità di mettere il proprio frammento di vissuto al servizio degli altri. Gli uni e gli altri mossi dalle domande che agitano il presente, domande che guardano al passato alla ricerca dei tentativi di risposta che altri hanno già dato, talvolta con successo, talvolta fallendo, ma sempre lasciando un patrimonio di esperienza che non deve andare disperso, perché ci aiuta a diradare le nebbie di oggi, a non cedere alla rassegnazione, a non isolarci gli uni dagli altri. Ecco perché Che storia! è una “storia da scoprire”: indagini pubbliche nelle fonti, visite guidate in archivio, percorsi espositivi e installazioni audio-video per scoprire tutto ciò che ci mette in contatto con la storia.
I fondi archivistici della Fondazione spaziano dagli archivi di persone e famiglie agli archivi di enti, istituzioni e imprese, dalle raccolte documentarie ai manifesti e affiches.
A non isolarci gli uni dagli altri. Le “passeggiate”, gli itinerari storici e di contenuto che animeranno mattine e pomeriggi del Festival, rappresentano da una parte una modalità “sicura” di partecipazione a un evento culturale; dall’altra, però, servono proprio a rinsaldare il nesso ineludibile fra le persone e i luoghi che abitano, in cui vivono, in cui si incontrano, si innamorano, confliggono. Un nesso interrotto con violenza proprio dal covid-19, dal lockdown, che una volta di più ci ha fatto capire quanto le città, i territori siano fatti dalle persone che li vivono e li attraversano. Che ci ha fatto capire come l’evoluzione delle persone sia allo stesso tempo la trasformazione dei luoghi. Come i luoghi accompagnino le persone nel corso del loro mutare, o del loro spostarsi. I luoghi della trasformazione dunque, i luoghi della socialità che permettono alle comunità di ricostruirsi – magari lontano dalla casa in cui sono nati – o di ritrovarsi: le piazze, i bar, i parchi e i quartieri, i luoghi di culto, i luoghi della partecipazione politica. I luoghi delle controculture che, irriverenti al potere, spargono con intelligenza il seme del dubbio, lo affidano alle generazioni presenti e soprattutto a quelle future, quasi un monito a non cedere mai al conformismo. Ecco perché Che Storia! è una “storia all’aperto”: percorsi erranti per studenti e cittadini che vogliano riappropriarsi della città e conoscerne le vicende che le hanno attraversate.
Questo è, la storia. Un modo divertente di apprendere. Una disciplina dalle molte possibilità, dai molti linguaggi, dalle molte voci. L’evenienza, allo stesso tempo, di un gioco. La storia è testimonianza della meraviglia del mondo, della scoperta di protagonisti e ambientazioni nuove. La storia è la dimostrazione che ci vuole coraggio, e che è fondamentale non perdersi, non separarsi, non lasciare mai da solo nessuno. La storia è il più grande argine contro la deriva sociale. Contro la deriva dell’uomo. La storia ci racconta che l’umanità è capace di illuminare anche la notte più nera.