LAD - Laboratorio di Architettura e Design

I luoghi non sono tutti uguali, hanno densità diverse. Ci sono luoghi dove le storie dei popoli si infiammano improvvisamente, lasciando al suolo segni indelebili. Piazzale Loreto è uno di quei luoghi.

Il 28 settembre scorso il prof. Andrea Pinotti ha scritto per Fondazione Feltrinelli un interessante articolo sul futuro di Piazzale Loreto, sollevando alcune questioni centrali del lungo discorso su ciò che lega l’architettura alla memoria, e commentando peraltro il nostro progetto di riqualificazione della piazza, nonché quello dello studio Citterio Wiel and Partners.

Il professore ha notato giustamente come nessuno dei due progetti ipotizzi un ricollocamento della stele in pietra realizzata da Giannino Castiglioni, commemorativa della strage fascista perpetrata (dietro ordine delle SS) nei confronti di quindici partigiani, il 10 agosto del 1944. In particolare Pinotti ci rimprovera di menzionare solo en passant gli eventi luttuosi legati a Piazzale Loreto, chiedendoci: “alla damnatio memoriae urbanistica si affiancherà forse una damnatio memoriae storica?”.

È giusto dare una risposta a questa domanda.

Abbiamo voluto trattare solo en passant i fatti storici perché, come ha giustamente notato Paolo Mieli in un recente saggio, a volte il ricordo del passato si intreccia “in modo eccessivo con il presente”, creando “un aggrovigliamento tra passato e presente che ci intossica e ci impedisce di porre dei punti fermi che consentano, all’occorrenza, di voltare pagina”. Ebbene, a Piazzale Loreto occorre voltare pagina ma questo non significa dimenticare, non significa che alla damnatio memoriae urbanistica debba affiancarsi una damnatio memoriae storica.

Riqualificare, ricostruire una piazza, è un atto di rifondazione che non può prescindere dalla consapevolezza dei fatti che sono accaduti in quella piazza, a maggior ragione se sono così tragici. Ha quindi ragione il prof. Pinotti: è giusto che il memoriale di Castiglioni trovi una sua collocazione nel progetto del nuovo Piazzale Loreto, qualunque esso sia. Ma, affinché la storia venga raccontata tutta, nella nuova sistemazione si deve trovare anche lo spazio per raccontare l’esposizione dei cadaveri di Mussolini, della Petacci e di altri diciotto gerarchi fascisti, con relativo vilipendio delle salme da parte della folla, che fu definito “macelleria messicana” da Ferruccio Parri, come ha ricordato Marcello Flores proprio sul sito della Fondazione Feltrinelli.

Pinotti ha giustamente scritto che i monumenti devono essere “ribaditi”; Gianni Rodari disse “completati”, riferendosi ai mosaici del Foro Italico. È giusto. Se nel rifondare quel luogo, omettessimo di raccontare anche i fatti del 28 aprile 1945, sarebbe come volerli in qualche modo (e senza speranza) rimuovere. È proprio la rimozione che ha provocato e provoca nella città il disamore verso la piazza, al quale abbiamo fatto riferimento nel nostro progetto e che il professore ha voluto citare. Quel disamore è ciò che in fondo ha determinato lo stato attuale di quel luogo: possiamo dire che è un non luogo, come ha fatto Pinotti, o possiamo dire semplicemente che è brutto, come abbiamo fatto noi, il risultato non cambia ed è sotto gli occhi di tutti.

C’è poi una seconda questione, più generale, che il professore affronta nel suo articolo e sulla quale vale la pena di spendere alcune parole: un’architettura può essere un monumento?

C’è un famoso disegno di Robert Venturi che rappresenta un edificio ordinario, sul cui tetto un gigantesco cartellone reca le parole: “I am a monument”. Non tutti gli edifici sono monumenti, ma alcuni lo sono anche senza essere necessariamente dei memoriali; questo accade quando, attraverso la loro forma architettonica, esercitano anche la funzione contenuta nell’etimologia stessa della parola monumento: ricordare e, soprattutto, ammonire. Il Sovraparco ha la forma di una cupola con grande oculo centrale, ma è ribaltata, come fosse appesa, e contiene un giardino. In questo risiede il significato del progetto, il senso di come abbiamo pensato di voltare pagina. In un gradevole scambio di opinioni, successivo al suo articolo, il prof. Pinotti ci ha suggerito un’ulteriore strada portando, come esempio il disegno di Banksy del monumento di Colston a Bristol, e facendo riferimento a quelle che Walter Benjamin ha chiamato “immagini dialettiche”, “capaci di rispettare e conservare la tensione e le contraddizioni dellastoria”. Affinché avvenga quella dialettica, l’arduo compito di chi ridisegnerà la piazza sarà creare una relazione spaziale e simbolica tra le memorie.

Comunque vadano le cose, la ricollocazione del monumento di Castiglioni e lo spazio per ricordare e raccontare i fatti successivi, riguarderanno un progetto che non è il nostro, non è il Sovraparco perchè, pur avendolo disegnato, noi non abbiamo partecipato a Reinventing Cities, il bando indetto poco prima dell’esplosione della pandemia e oggi approdato alla fase finale.

Reinventing Cities è un project financing, ovvero una modalità operativa in cui il pubblico delega a soggetti privati lo sviluppo di determinate aree o edifici, concedendoli per decenni dietro corresponsione di un canone. Nessuno degli sviluppatori immobiliari che abbiamo interrogato ha trovato i numeri dell’operazione economicamente vantaggiosi. Ciò non ci ha stupito: il Sovraparco, al netto delle gallerie commerciali e dei mezzanini della metropolitana, è sostanzialmente una piazza e un parco pubblico, che male si integra con i criteri dello sviluppo immobiliare privato.

Proprio qui sta il monito sul futuro di Piazzale Loreto: è il pubblico, non il privato, che può e deve chiudere quel conto aperto con la Storia.

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