Recentemente, in una riflessione sulla qualità democratica e lo stato della partecipazione pubblica nell’emergenza pandemica COVID-19, ho richiamato l’attenzione sull’opportunità che fin qui nel nostro Paese è mancata e che si potrebbe invece cogliere, di considerare la capacità della partecipazione strutturata in pratiche deliberative di creare una cornice per rappresentare storie traumatiche, operando uno slittamento della percezione dei problemi dalla sfera del vissuto individuale a quella della elaborazione collettiva, in una socializzazione dell’esperienza del dolore, della sofferenza. Rappresentare le fragilità, facendone un aspetto di forza e di coraggio. Al centro di questo ragionamento c’è la consapevolezza delle implicazioni profonde del piano emozionale e della dimensione dell’affettività nella costruzione dei problemi pubblici, in particolare quando siamo a fronte di questioni complesse e potenzialmente conflittuali, che hanno un elevato contenuto tecnico e scientifico e grosse implicazioni politiche e sociali, umane.
Come studiosa della materia sono venuta in contatto con il tema attraverso due percorsi, che non sono direttamente connessi all’emergenza COVID-19.
Il primo è l’incontro con un saggio di John Forester, che avevo letto quando era stato pubblicato su di un numero della rivista «Critica della razionalità urbanistica» di oltre un ventennio fa, con un titolo dritto all’oggetto: Deliberazione politica, pragmatismo critico e storie traumatiche: ovvero non lasciare il dolore fuori della porta (CRU, 1995, N. 4). Mi è sembrato un testo di grande attualità, che pone in altri termini l’esigenza di ripensare il nesso tra razionalità strumentale e razionalità dei valori nelle scelte collettive, da rileggere per gli apprendimenti più che mai utili che può innescare, in questa fase cruciale.
Il secondo è un po’ più complicato perchè intreccia due elementi, uno a carattere generale e uno più specifico. Da un lato, la constatazione dell’efficacia che i processi partecipativi hanno, di disegnare setting interattivi che possono far avvicinare in modo inclusivo quanto creativo mondi e soggetti appartenenti a diversi domini (per esempio: scienza, politica, cittadinanza), lavorando tra i confini; il presupposto è che l’interazione più che la separazione tra saperi esperti, ordinari, sapere locale, porti a un policymaking maggiormente produttivo, oltre che plurale. Dall’altro, la focalizzazione di una potenzialità concreta di adottare uno strumento di deliberazione politica che è il Dibattito Pubblico, una procedura prevista anche in Italia dal nuovo Codice degli Appalti nel 2016, con obbligatorietà fin qui per le grandi opere pubbliche infrastrutturali e di architettura, divenuta attuativa dalla pubblicazione del relativo Regolamento nel 2018. Merita attenzione l’innovazione apportata dalla procedura di Dibattito Pubblico come tecnologia partecipativa, che è quella di organizzare la strutturazione e rappresentazione di un confronto trasparente tra esperti di diverso orientamento, tra esperti e cittadini, tra istituzioni e cittadini, e tra cittadini organizzati in gruppi di discussione. Il confronto non avviene limitatamente a variabili tecniche e politiche, economiche (che in genere sono i portati della cultura dei principali attori decisionali); la valutazione mette in gioco la sostenibilità sociale degli interventi. È per altro fondamentale il lavoro di mediatori professionali e la terzietà degli operatori di facilitazione e progettazione partecipata. Per riprendere il punto sollevato nel richiamo a Forester, le decisioni e le realizzazioni di grandi opere possono avere risvolti traumatici ed essere vissuti come fatti che lasciano un segno forte nei territori e nelle comunità; possono essere anche ferite che non si rimarginano (per la durezza dei conflitti che suscitano, il malessere che producono, la rottura di relazioni di fiducia, la trasformazione irreversibile di luoghi, la scoperta di aspetti dell’agire istituzionale e di persone che non si immaginavano, etc.). Spesso succede che questo disagio non venga socializzato, per il lato più emotivo, mentre si concentrano gli sforzi nella protesta o nello sforzo di adattamento alla nuova situazione o si cerca una strategia di exit; a prevalere è infatti il pregiudizio che in uno scontro la parte che mette in luce il dolore, la sofferenza, si indebolisce al cospetto del più forte, aumentandone il potere.
Il tipo di confronto interattivo che può sviluppare un percorso di Dibattito Pubblico, nel setting approntato dagli esperti di mediazione dei conflitti e di facilitazione e che è volto a costruire condivisione tra i partecipanti, costituisce l’opportunità per la rappresentazione e narrazione di aspetti problematici che ineriscono la sfera affettiva ed emotiva. L’esito può essere una diversa consapevolezza, tra i partecipanti, della posta in gioco, che include la sofferenza, il subìto che si scopre in comune, ciò che di traumatico è accaduto che si era tenuto in sottotraccia per difesa o per condizionamenti dettati dall’esposizione pubblica. Questa capacità del Dibattito Pubblico di creare una cornice per storie traumatiche, individuali e collettive, è un aspetto di politicità che andrebbe maggiormente esplorato e valorizzato in quel che si riconnette a un filone della democrazia deliberativa, e alla comprensione del carattere di evento della partecipazione pubblica. I risvolti di una emergenza sanitaria globale qual è quella che stiamo vivendo, per il tipo di problemi sollevati, richiede una concettualizzazione che possa intersecare domini diversi (tra scienza, politica, società, produzione economica) e non tenere il dolore fuori dalla porta; in questo, la costruzione deliberativa del Dibattito Pubblico riadattato per assumere a tema i contesti in questione potrebbe costituire un canale per produrre la rappresentanza e rappresentazione che cerchiamo.
Nota al margine, esempi a favore e contro l’adozione di forme di partecipazione per trattare temi cruciali dell’agenda pubblica. Il recente decreto semplificazioni del governo Italiano ha previsto la deroga al Dibattito Pubblico fino al 2023, adducendo che l’emergenza COVID 19 genera la necessità di velocizzare le procedure di realizzazione delle grandi opere, per cui la partecipazione può saltare. Mentre in Francia, patria del Debat public e di tutta una strumentazione dell’azione di governo che include le forme della prossimità e della deliberazione pubblica, anche nel periodo di lock down si è dato seguito alla “Convention citoyenne pur le climat”. L’assemblea nazionale dei cittadini, voluta dal Presidente Emmanuel Macron e coadiuvata da un comitato esperto di governance, ha consegnato in luglio il rapporto finale con 149 proposte che sono adesso al vaglio del Parlamento. Lì, si è aperto un altro tema:
quando la partecipazione dei cittadini, promossa dalla politica, produce idee e soluzioni che non sono così compatibili con il programma politico e la stessa maggioranza al potere.
Foto di Katrin Baumann © Katrin Baumann Photographe 2020