Direttrice di LESS, esperta di problemi ambientali

In questi ultimi tempi, si sono moltiplicati i rapporti contenenti stime sul numero di posti di lavoro che potrebbero essere creati grazie a investimenti nella “green economy”: trasformare i nostri sistemi energetici, isolare le nostre case, installare caricabatterie per i veicoli elettrici e tutto ciò che serve per passare a un’economia a zero emissioni di carbonio. Queste attività sono, per lo più, il risultato di uno sforzo di lobbying per “ricostruire meglio”, per cercare di garantire che i pacchetti di ripresa economica dopo la pandemia COVID-19 siano orientati alla gestione dell’emergenza climatica. È da diversi anni che Green House si sta occupando di questi aspetti, concentrandosi dapprima su alcune aree specifiche del Regno Unito e poi producendo stime per tutto il Regno Unito, oltre che per Irlanda e Ungheria. Il nostro report del 2018, redatto in collaborazione con la Green European Foundation, Unlocking the Job Potential of Zero Carbon, ha stimato che, nel Regno Unito, il numero medio di nuovi posti di lavoro in un anno durante una fase di transizione fino al 2030 sarebbe di poco inferiore al milione, scendendo a circa settecentomila nel lungo termine. In Irlanda e Ungheria abbiamo stimato che potrebbero essere creati decine di migliaia di posti di lavoro.

Il nostro modello si basa su una visione di dove vogliamo essere: l’energia rinnovabile che installeremo, il numero di case che disporranno di impianti ad alta efficienza energetica, come ci sposteremo e quanti rifiuti ricicleremo. A questo si aggiungono i dati sulla manodopera necessaria per ogni pala eolica, per rinnovare le nostre abitazioni o i chilometri percorsi dai nostri autobus, per determinare il lavoro totale che servirebbe e quindi il numero di posti di lavoro che si andrebbero a creare. Laddove siamo riusciti a trovare dei dati, abbiamo poi sottratto i posti di lavoro che sarebbero persi in quanto legati ad attività dipendenti dai combustibili fossili, come le centrali elettriche a carbone o la manutenzione di veicoli con motore a combustione interna. Poiché il nostro modello si basa su dati relativi alla popolazione, al terreno e agli edifici, mostra dove si troveranno questi posti di lavoro: non concentrati nelle grandi città, ma un po’ sparpagliati in tutto il paese.

Ma quali sono le conoscenze necessarie affinché questi posti di lavoro diventino realtà? La prima, suggerisco, è la conoscenza dei cambiamenti climatici e delle misure da adottare per ridurre le nostre emissioni di gas serra. Questo è necessario, direi, ma non sufficiente per motivare le persone a intraprendere le azioni necessarie per cambiare il modo di viaggiare, isolare la propria casa o installare una pompa di calore. Infatti, questi cambiamenti devono poter essere anche ragionevolmente facili da realizzare e poco costosi. Spesso, la comunicazione su tali argomenti, in particolare l’efficienza energetica domestica, si concentra sul denaro che può essere risparmiato, per esempio sulle bollette dell’energia elettrica. Ma è improbabile che tali risparmi siano così elevati da far superare le barriere dell’inerzia e delle varie seccature. D’altro canto, fare in modo che questi risparmi bastino, di per sé, a motivare le persone sarebbe probabilmente impossibile dal punto di vista politico, soprattutto perché sarebbero le fasce meno abbienti a esserne colpite più duramente.

Tali conoscenze sono anche fondamentali per motivare le persone a intraprendere delle carriere volte ad affrontare la crisi climatica. La maggior parte dei rapporti che citano il numero di posti di lavoro “verdi” ipotizza che il problema sia come creare posti di lavoro, il che è comprensibile nell’attuale situazione in cui milioni di persone rischiano di rimanere presto disoccupate. Tuttavia, un report del National Grid pubblicato nel gennaio 2020 e quindi prima della pandemia, inquadra le 400.000 persone che dovranno essere reclutate nel settore dell’energia nei prossimi 30 anni come una sfida considerevole. Questo è senza dubbio influenzato dal fatto che la National Grid è una delle organizzazioni che dovranno trovare questa forza lavoro. Tuttavia, in esso si afferma che:

«La buona notizia è che le persone sono sempre più motivate dall’avere un lavoro con una finalità, e il settore dell’energia ha una chiara mission al centro. Oltre tre quarti degli adulti del Regno Unito (78%) vogliono dare il proprio contributo al raggiungimento dell’obiettivo delle zero emissioni nel Regno Unito e più della metà (57%) vuole lavorare per un’organizzazione che ci aiuti a farlo. Sfruttare questa potente motivazione è la chiave per costruire una forza lavoro diversificata ed efficace per una Net Zero Energy Workforce[1], una forza lavoro a zero emissioni».

La sfida per trovare la forza lavoro necessaria per la transizione è evidenziata anche da Parity Projects, specialisti in impianti ad alta efficienza energetica. Nel gennaio 2020, parlando dei 200mila operatori commerciali in più necessari per rinnovare il parco immobiliare nel Regno Unito, hanno dichiarato:

«I nostri partner di progetto hanno difficoltà a reclutare buoni appaltatori per i progetti attualmente in corso. I più bravi sono impegnati e già prenotati anche per i prossimi mesi. Quelli meno bravi sono disponibili, ma i nostri partner non li utilizzerebbero».

Questo ci porta al secondo tipo di conoscenze su cui voglio soffermarmi: la conoscenza tacita e pratica dei mestieri manuali. Costruire una casa a zero emissioni non è solo una questione di progettazione adeguata, ma anche di abile costruzione. Il livello di isolamento previsto da uno standard di costruzione Passivhaus è una sfida non da poco. Gli architetti devono fare un lavoro di progettazione molto più dettagliato di quanto fanno di solito per evitare, per esempio, ponti termici attorno alle finestre, ma i costruttori devono poi seguire questi progetti e non continuare a fare quello che hanno sempre fatto: devono “disimparare” per poter imparare di nuovo. La necessità di una formazione di buona qualità nel settore dell’edilizia nel Regno Unito è dimostrata dai problemi legati all’isolamento di solai e di intercapedini murarie mal realizzati. Un esperto di energia domestica di mia conoscenza mi ha riferito che i lavori di scarsa qualità sono particolarmente comuni soprattutto nei progetti finanziati da sovvenzioni. Nel Regno Unito, il finanziamento di tali programmi ha senza dubbio contribuito ad estendere questo problema, con gli installatori che non hanno una sufficiente continuità di lavoro per formare adeguatamente le loro maestranze. Il recente progetta Green Homes Grant da 3 miliardi di sterline ne è la prova: è stato introdotto con poco preavviso e dura solo sei mesi. Può essere una buona idea per dare un impulso economico sul breve termine, ma è un disastro dal punto di vista della qualità del lavoro, poiché non c’è tempo per formare le persone che lo realizzeranno. La formazione di competenze pratiche deve andare di pari passo con la trasmissione di stimoli al mercato per tali competenze, ma questo richiede tempo, finanziamenti e un flusso di lavoro costante.

[1] “Building the Net Zero Energy Workforce” è il titolo del report di National Grid.

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