Pubblichiamo qui un estratto di Massimiliano Mazzanti contenuto nel libro a cura di Lorenza Maria Sganzetta, Verso una cultura della sostenibilità. Comunicazione e circolarità per un modello replicabile, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, testo in via di pubblicazione.
Nel dicembre 2015 la Commissione europea ha lanciato il suo piano d’azione per l’economia circolare (EC) con l’obiettivo di sbloccare il potenziale di crescita e occupazione delle economie e rafforzare la competitività dell’Unione Europea, attraverso nuove opportunità commerciali e mezzi innovativi di produzione e consumo mirate ad affrontare la scarsità di risorse e la volatilità dei prezzi dei materiali (EMF, 2015, EC, 2015). In relazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, l’economia circolare è coerente con il raggiungimento degli obiettivi 7, 8, 9, 12, 13[1]dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite (SDGs).
L’economia circolare, che estende l’ambito di waste management a nuovi profili di innovazione e a nuovi mercati ispirati al concetto esteso di waste prevention, si colloca all’interno della più ampia area delle innovazioni ed investimenti ‘sostenibili’ e ‘responsabili’ che cercano di coniugare competitività, redditività e sostenibilità (economica, ambientale, sociale, culturale) soprattutto attraverso l’adozione di innovazioni verdi, nuove conoscenze e pratiche formative.
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In economia e management dell’ambiente è nota la tesi di Porter, secondo cui esisterebbe un legame tra la qualità e l’efficacia delle politiche ambientali e la produttività aziendale; risultato che si realizza se le imprese adottano innovazioni ambientali o se attribuiscono un prezzo più elevato alle risorse. La transizione verso l’economia circolare è strettamente connessa al disegno delle politiche ambientali, e ai mutamenti demografici, socioeconomici e strutturali del cambiamento dei comportamenti dei consumatori e delle imprese.
In sintesi, i concetti di investimenti responsabili e responsabilità sociale d’impresa enfatizzano il ruolo della condivisione di valori e strategie tra gli attori: produttori, consumatori, territori locali e globali. La massimizzazione del profitto, pur essendo un obiettivo di capitale importanza, è oggi orientata in uno scenario di medio-lungo periodo che consenta la rappresentazione dei vari elementi valoriali interni ed esterni all’impresa, che, insieme, generano capitale sociale e relazionale.
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Per quanto riguarda l’occupazione generata da attività di economia circolare, il trend europeo è positivo e, in base ai dati disponibili, i 3.788 milioni di occupati del 2012 sono aumentati 4 milioni nel 2016, con un incremento percentuale del 1,73%. I paesi con quota maggiore del 2% sono Estonia, Spagna, Croazia, Italia (2,05%), Lettonia e Lituania, con valori sopra il 2,5%, Polonia e Slovenia. Germania e Francia si collocano invece su valori di 1,5%. La strategia europea di economia circolare può fungere da fattore di crescita e convergenza per molti paesi ‘nuovi entranti’ dell’est Europa, attraverso investimenti in nuove tecnologie sostenibili. L’Italia, secondo l’indicatore macroeconomico Resource Productivity (l’indicatore PIL/flusso di materiali), si colloca al terzo posto nella graduatoria europea, dietro solo a Irlanda e Spagna. Il dato è segnale di buone pratiche innovative adottate dalle imprese, in un contesto economico in cui l’innovazione ambientale è supportata da un tessuto industriale diversificato e con diverse specializzazioni settoriali.
Ai fini dell’applicazione alle scienze sociali, un’efficace definizione di economia circolare è quella fornita dalla Commissione Europea (2015):
“where the value of products, materials and resources is maintained in the economy for as long as possible, and the generation of waste is minimized”
Un’altra definizione è quella fornita da De Jesus e Mendonça che parla dei modelli di circular economy come
“new or improved socio-technical solutions that preserve resources, mitigate environmental degradation and/or allow recovery of value from substances already in use in the economy”
Questi modelli sono orientati alle attività di riciclo e recupero dei materiali, e attivano processi integrati di produzione e consumo mirati alla ‘prevenzione’, che considerano un design innovativo di prodotti riutilizzabili e riciclabili. Si tratta di filiere integrate di riuso e recupero materiali tra imprese e consumatori, caratterizzate da processi normativi che riducono l’obsolescenza ‘programmata’ dei prodotti high-tech.
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La trasformazione del food waste in input per altri cicli energetico-produttivi rappresenta una potenziale soluzione per la creazione di un ciclo produttivo efficiente e sostenibile. Emerge anche l’esigenza di valutare caso per caso i vantaggi di diverse opzioni alternative. Le caratteristiche del territorio e le preferenze sociali dal basso, grazie a strumenti di democrazia partecipativa, possono indirizzare le traiettorie di riuso e recupero.
Un esempio proveniente dal contesto emiliano delle PMI (piccole-medie imprese) è rappresentato dalla hybrid cup dell’azienda Flo, azienda produttrice di stoviglie, piatti, bicchieri monouso, ovvero una tazzina riciclabile per bevande calde da macchinetta. L’impresa dichiara che, sostituendo bicchieri tradizionali con la tazzina hybrid, annualmente sono stati risparmiate 1000 tonnellate di emissioni di CO2 e 400 tonnellate di petrolio. Il bicchiere 165SC hybrid dichiara un impatto di emissioni di CO2 minore del 40% rispetto a quella tradizionale, inferiore al bicchiere di carta[2].
Per quanto riguarda le grandi imprese, la strategia di sostenibilità di Barilla mira, entro il 2020, al 100% di acquisti di fornitura ‘responsabili’, all’identificazione di sistemi di coltivazione efficienti, alla collaborazione con produttori locali, all’utilizzazione di oli vegetali certificati e di uova che provengano da filiere certificate per il benessere animale, all’utilizzo di filiere controllate del cacao e di altri prodotti. All’interno di questa strategia, assumono un ruolo rilevante l’analisi del ciclo di vita e la dichiarazione ambientale di prodotto, volte alla programmazione responsabile di cicli produttivi circolari.
Nella grande distribuzione, il tema della sostenibilità ambientale e dell’economia circolare riscontra un interesse crescente e genera un impatto macroeconomico di grande rilevanza, grazie alla portata degli strumenti finanziari di questo settore. Per esempio, COOP Lombardia, nel suo Bilancio Sociale 2018, illustra obiettivi quali ‘la progressiva riduzione della plastica in tutti i prodotti Coop (in assoluto e attraverso l’uso di materiale riciclato), l’eliminazione di microplastiche aggiunte in cosmetici e detergenti, la riprogettazione degli imballaggi affinché siano riciclabili, compostabili o riutilizzabili, riaffermando la storica policy delle 3R: risparmio, riutilizzo, riciclo’[3]. Grazie all’innovativo progetto ‘dall’olio all’olio’ per il recupero degli oli esausti, attraverso campagne di sensibilizzazione di soci e clienti, l’olio recuperato nei punti vendita viene poi nobilitato, passando da rifiuto a risorsa sotto forma di biocarburante e additivo per colle, vernici, asfalto e mangimi.
Nel contesto italiano, un esempio significativo è rappresentato dalla bolognese Sfridoo, che propone consulenza e attività diversificata specifica sul tema economia circolare. […] Sfridoo è una delle imprese che offre certificazioni e procedure plastic free per le imprese. Il tema emergente della certificazione ambientale in ambito di economia circolare è connesso ai processi innovativi e organizzativi.
Tali esempi mostrano che la transizione verso un’economia circolare consiste in cambiamenti radicali e incrementali che caratterizzano sia i settori maturi, sia quelli nuovi emergenti, sia imprese tradizionali, sia start up radicalmente innovative. La transizione verso la green economy è quindi basata su una ricca e diversificata complementarietà di pratiche e business models, di natura strettamente sistemica e olistica. Gli attori di successo saranno quelli che riusciranno ad interpretare la multidimensionalità valoriale e a costruire e sfruttare forme di capitale sociale e relazionale.
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L’Italia riporta risultati positivi in merito all’efficienza nell’uso delle risorse e ciò è confermato da esperienze di impresse che testimoniano una realtà dinamica e che fondano i loro vantaggi competitivi su un tessuto industriale ad alta intensità innovativa, in particolar modo nelle regioni del nord. Un fattore importante che si traduce in vantaggio competitivo nel mondo della circular economy, è rappresentato da un tessuto industriale ricco di distretti e piccole medie imprese che cooperano e scambiano conoscenza. Di fronte alle sfide della sostenibilità e della green economy che richiedono competenze complementari e diversificate, la presenza di questo tessuto connettivo, economico e relazionale, costituito da imprese, università, centri di ricerca e associazioni, è una caratteristica premiale.
Essendo la strategia di circular economy parte della più ampia transizione verso la green economy e la sostenibilità d’impresa, ed essendo caratterizzata da alta intensità di politiche e progresso tecnologico, risulta necessario monitorare l’effetto di shock sul sistema in merito alla distribuzione territoriale dei benefici (innovazione, valore aggiunto, occupazione). Risiedendo il vantaggio competitivo italiano sulla struttura industriale del sistema stesso, il rischio risiede, invece, nella possibilità che la transizione verso modelli produttivi sostenibili causi ulteriori disparità tra i territori. Le politiche pubbliche devono monitorare questo rischio e supportare i territori più fragili, supportando attività di innovazione sociale e d’impresa.
Dal punto di vista dell’innovazione, l’attività di brevettazione in Europa presenta un trend di crescita anche antecedente al pacchetto sull’economia circolare del 2015 e alle nuove direttive sui rifiuti del 2018. Il tasso di adozione delle innovazioni EC da parte delle imprese è relativamente inferiore rispetto a quello delle innovazioni in risposta ai cambiamenti climatici. Tuttavia, questi due tipi di innovazioni sono adottati congiuntamente nella maggior parte dei paesi. Un elemento importante è rappresentato anche dalla sinergia tra strategie sulle risorse energetiche e sul clima (tra cui riduzione dell’uso dei fossili) e quelle sull’economia circolare. Un esempio è il mercato, in ascesa, del waste to energy,ovvero l’uso di materiali secondari e residui ai fini di generazione di energia senza uso di elementi fossili come fonte primaria. In un contesto italiano caratterizzato da una bassa spesa nel settore di ricerca e sviluppo, ma da una forte presenza di distretti ed imprese innovative e da competenze locali sui temi della sostenibilità e dell’innovazione d’impresa, la strategia dell’economia circolare può consentire, grazie a questi vantaggi competitivi, di contribuire notevolmente alla transizione verso la sostenibilità socioeconomica ed ambientale. Una transizione ad alta intensità di conoscenza tacita e codificata, basata sul greening di vecchi settori e sull’emersione di nuovi settori, lavori e competenze.
[1] I goals citati mirano a: “Ensure access to affordable, reliable, sustainable and modern energy for all; Promote sustained, inclusive and sustainable economic growth, full and productive employment and decent work for all; Build resilient infrastructure, promote inclusive and sustainable industrialization and foster innovation; Ensure sustainable consumption and production patterns; Take urgent action to combat climate change and its impacts”. https://sustainabledevelopment.un.org
[2] Relazione di Flo del 24 febbraio 2017, Parma. Relazione al kick off del progetto finanziato dalla Regione Emilia- Romagna, Piano Del Sistema Confindustria Emilia-Romagna “Verso Industria 4.0”.
[3] I principi delle 3R sono stati proposti da William M.S. Russel e Rex L. Burch nel 1959 con il volume “The Principles of Humane Experimental Technique”e riguardano gli aspetti etici nell’utilizzo degli animali nelle sperimentazioni scientifiche (le tre R stanno per reduction, refinement, replacement). Oggi mutuate dalla letteratura sulla circular economy, fanno riferimento a risparmio, riutilizzo, riciclo. www.economia-circolare.info.