City College of New York

Nel nostro Paese, la questione della ‘normalità’ del sistema politico è da lungo tempo oggetto di riflessione. Una parte consistente della scienza politica italiana si è infatti cimentata a descrivere e spiegare una nostra presunta ‘eccezionalità’ rispetto ad altre democrazie occidentali. Tra i principali fattori additati per sostenere questa interpretazione vi sono: il secolare scarto tra ‘paese reale’ e ‘paese legale’, la criminalità organizzata, la presenza del Vaticano, oltre che del più grande partito comunista del blocco occidentale, la mancanza di alternanza per tutta la durata della Prima Repubblica (dovuta in parte anche alla particolare posizione dell’Italia all’interno di questo blocco) e, più recentemente, la cosiddetta ‘anomalia’ Berlusconiana.

Eppure, alcuni osservatori stranieri del nostro sistema politico hanno recentemente avanzato una tesi opposta. In un articolo di commento ai risultati delle elezioni del febbraio 2014 Marc Lazar ha sostenuto che l’Italia è un “laboratorio” in cui stanno maturando fenomeni osservabili – seppur in forma ancora embrionale – in quasi tutti gli altri paesi Europei. Analogamente, in un articolo intitolato ‘Il disastro italiano’, apparso sulla London Review of Books nel maggio del 2014, Perry Anderson ha scritto che “l’Italia non è un’anomalia in Europa. E’ molto più vicina ad esserne un concentrato”.

Questa linea interpretativa può risultare interessante perché permette di fare dell’Italia un caso esemplare per esaminare alcune macro-tendenze riscontrabili a livello Europeo. Passiamo quindi in rassegna alcuni elementi di ‘normalità’ della storia politica recente del nostro paese, allo scopo di vedere se possono insegnarci qualcosa rispetto alle evoluzioni in corso anche negli altri regimi democratici Europei.

L’operazione ‘Mani Pulite’ è spesso stata interpretata come sintomo dellepopulism varie anomalie del sistema dei partiti della Prima Repubblica, che nei suoi ultimi anni avevano assunto forme di ‘consociativismo’ e corruzione dilaganti. Tuttavia, il crollo della Prima Repubblica può anche essere letto come l’espressione di una crisi più profonda della forma di partito dominante in tutta Europa per la prima parte del ventesimo secolo: il partito di massa. Alla fine degli anni ‘90, infatti, l’erosione dei principali cleavages che avevano strutturato il conflitto politico europeo per la maggior parte del secolo precedente ha lasciato tutti i più importanti partiti del continente senza la loro base sociologica di riferimento. Questo li ha indotti ad adottare pratiche di collusione e radicamento nelle istituzioni che in Italia hanno preso forme particolarmente vistose.

Il crollo di quella che Scoppola aveva chiamato ‘La Repubblica dei Partiti’ può quindi essere interpretato come risultato della crisi del principale organo politico del ‘secolo breve’ europeo e l’annuncio di un’epoca in cui i partiti avrebbero preso forme molto diverse. Con l’ascesa al potere di Silvio Berlusconi, si sono infatti verificati fenomeni di personalizzazione e mediatizzazione della politica che oggi sono all’ordine del giorno in tutte le democrazie europee, anche se all’epoca apparivano inauditi.

Nel frattempo, la sinistra italiana è passata attraverso un lento – e doloroso – processo di distaccamento dal proprio passato comunista, allineandosi agli altri partiti di governo del centro-sinistra europeo. Ciò ha permesso l’alternanza, ma il prezzo è stata una diluizione del contenuto ideologico del dibattito politico che da un lato lo ha ridotto a una disputa essenzialmente ‘tecnica’ sul miglior modo di rincorrere le esigenze dei mercati e dell’Unione Europea, e d’altra parte ha fatto emergere le vicende personali dei leader di turno come tematica centrale.

Su questo terreno, privato dei partiti e delle ideologie tradizionali e sempre più popolato da personalità mediatiche, hanno cominciato a emergere in Italia (ben prima che in molti altri paesi europei) le forme di anti-politica e populismo che oggi catturano l’attenzione di tutti i commentatori politici Europei. La Lega Nord è senz’altro un caso di scuola, essendo stato tra i primi partiti della nuova destra populista ad ottenere posizioni di governo in un paese Europeo. Più recentemente, il successo elettorale del Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo ci ha allertati al potenziale di mobilitazione dei nuovi media, specialmente se uniti a istanze di protesta gestite in modo verticistico da un capo carismatico.

La reazione delle principali forze di governo a queste successive ondate di populismo è stata una chiusura su se stesse che ha preso la forma di tre governi non eletti consecutivi, tutti sostenuti da ‘grandi coalizioni’ tra centro-destra e centro-sinistra. Anche questo è in linea con una macro-tendenza riscontrabile a livello Europeo: ben cinque altri paesi della zona Euro sono attualmente governati da grandi coalizioni e la stessa logica domina di fatto anche il Parlamento Europeo, dove la maggior parte dei provvedimenti (e anche la fiducia alla Commissione) hanno avuto bisogno del sostegno dei due principali partiti di centro-destra e centro-sinistra: il Partito Popolare Europeo (PPE) e il Gruppo dei Socialisti e Democratici (SD).

Rispetto a quello che si può osservare nel resto dell’Europa, il nostro paese può effettivamente offrire un caso di studio di tendenze più generali.

Carlo Invernizzi Accetti
Université Libre de Bruxelles / Sciences Po Paris


Approfondimenti

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Venerdì 19 giugno, alle ore 18:00 in via Romagnosi 3 a Milano si è svolto l’incontro dal titolo: “La politica di Podemos: conversazione con Juan Carlos Monedero”.

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