I terremoti, le alluvioni e le epidemie possono provocare disastri. Talvolta ci si riferisce a questi accadimenti come se fossero eventi “naturali” mettendo l’accento sui fenomeni che li provocano come il rilascio di energia nel sottosuolo, le precipitazioni atmosferiche o la diffusione di un virus. I disastri, tuttavia, non sono affatto “naturali”. Essi dipendono dalla capacità o dall’incapacità di un sistema sociale di dominare la variabilità del suo ambiente; dipendono, cioè, dalla sua vulnerabilità sociale. Il concetto di vulnerabilità sociale – introdotto negli anni ’80 del secolo scorso per studiare i disastri – si basa su due principi. Da un lato, quello secondo cui è l’organizzazione sociale a generare le precondizioni di ogni evento che viene poi definito come disastro. Dall’altro, quello secondo cui esiste uno stretto legame tra le dinamiche sociali che seguono il disastro e lo stato di un sistema sociale prima del suo verificarsi.
Ci sono tre tipi di vulnerabilità sociale. Il primo tipo di vulnerabilità – la micro vulnerabilità – include i fattori che determinano la probabilità di evitare o di minimizzare gli effetti di specifici eventi potenzialmente nocivi. Nel caso di un terremoto, per esempio, il grado di distruzione dipende dalla capacità delle strutture fisiche di assorbire un forte rilascio di energia. Tale capacità dipende a sua volta dalle tecniche costruttive impiegate in una comunità locale o in una regione, dai materiali utilizzati, dalle scelte urbanistiche compiute prima dell’impatto. Nel caso di un’epidemia, l’impatto in termini di contagi o di decessi dipende dalla disponibilità di un vaccino, di terapie efficaci, di strutture ospedaliere adeguate e di un efficace presidio medico sul territorio. La micro vulnerabilità, quindi, determina direttamente la dimensione del danno provocato dall’impatto dell’evento disastroso.
Il secondo tipo di vulnerabilità – la meso vulnerabilità – si riferisce, invece, alla distribuzione delle risorse economiche, organizzative e culturali tra gli individui, le famiglie e le organizzazioni che compongono la comunità o la regione colpite e riguarda, quindi, il livello del loro sviluppo economico e il grado della loro stabilità culturale e politica. La meso vulnerabilità influenza direttamente sia il livello della micro vulnerabilità nel periodo che precede il verificarsi del disastro sia la capacità di rispondervi.
L’ultimo tipo di vulnerabilità, infine, riguarda il grado di sviluppo socioeconomico, organizzativo e tecnologico della società alla quale appartengono la comunità o la regione colpite. La macro vulnerabilità dipende dalla disponibilità di risorse economiche, organizzative e culturali, dal grado di connessione tra comunità locale e stato nazionale, e dal grado di connessione tra stato nazionale e comunità internazionale. Il grado di macro vulnerabilità di una società influenza direttamente il livello di vulnerabilità micro e meso e l’efficacia della riabilitazione dopo l’impatto. Sono, dunque, le caratteristiche della comunità o della regione colpite prima dell’impatto, quelle del mondo che le circonda e le relazioni tra comunità o regione e mondo circostante a determinare congiuntamente la portata del disastro e la possibilità di reagire efficacemente a esso.
Lo schema interpretativo basato sulla vulnerabilità sociale si adatta al caso della pandemia Covid-19. La diffusione del virus SARS-CoV-2 è stata globale, tuttavia, le conseguenze della sua diffusione sono state territorialmente differenziate. Covid-19 ha colpito comunità locali, città, regioni, paesi o interi continenti in modo differente. Per studiare questo disastro, quindi, si può ricorrere a uno strumento consolidato delle scienze sociali come la comparazione. Confrontando gli stati di uno o più oggetti sulla medesima proprietà in uno o più momenti nel tempo, si possono stabilire somiglianze e differenze significative nella vulnerabilità di unità sociali distinte. Si possono, innanzitutto, confrontare singole organizzazioni. In alcune residenze per anziani della città di Milano, per esempio, non si sono registrati contagi né decessi, in altre, invece, sì. Confrontando due distinte residenze in base a proprietà comuni – come le dotazioni strumentali, le caratteristiche del personale, le scelte organizzative operate nell’emergenza, il rapporto con soggetti esterni – si possono raccogliere informazioni cruciali sulla loro vulnerabilità. Lo stesso può essere fatto confrontando due comunità locali della stessa regione come, per esempio, Codogno e Alzano in Lombardia, o due regioni italiane come la Lombardia e il Veneto, o due stati europei come l’Italia e la Germania.
In passato, le ricerche sui disastri e, in particolare, sui terremoti hanno mostrato come un disastro non possa essere considerato come un evento indipendente dalla struttura sociale della società o della comunità in cui si verifica ma come un evento dipendente da essa. Ciò vale anche nel caso della pandemia Covid-19. Essa, con le sue gravissime conseguenze per la popolazione e l’economia, si presenta a noi come una cartina di tornasole di alcuni tratti caratteristici della struttura sociale delle società e delle comunità colpite e del loro livello di organizzazione sociale. Accesso diseguale alle cure e al sistema sanitario, diseguaglianze nel mercato del lavoro, disparità di istruzione, effetti dell’invecchiamento e condizione di svantaggio delle persone anziane, digital divide, sono solo alcuni dei fenomeni sociali preesistenti alla diffusione del virus la cui portata e rilevanza sono state accentuate dalla pandemia (Anzivino, Ceravolo e Rostan 2020).
Il concetto di vulnerabilità sociale, tuttavia, non aiuta soltanto a prestare attenzione a ciò che c’era “prima” del disastro ma anche a ciò che avviene “dopo”. Secondo questa prospettiva, la capacità di risposta a un disastro, l’andamento e l’esito del processo di riabilitazione, ripresa e ricostruzione, dipendono dalla disponibilità di risorse economiche, organizzative e culturali all’interno e all’esterno delle comunità colpite e dalle relazioni tra queste comunità e il mondo circostante. Ciò che avviene “dopo” si presenta, quindi, come il risultato di un complesso gioco di relazioni interne ed esterne alla comunità colpita che hanno come oggetto la richiesta, l’ottenimento, l’uso, il controllo di risorse di vario tipo. Nel caso dei terremoti, i processi di ricostruzione hanno visto il coinvolgimento di almeno due parti. Da un lato, la comunità colpita e la sua élite; dall’altro, le autorità centrali o periferiche responsabili degli aiuti. All’élite locale sono state attribuite le decisioni rilevanti in materia di ricostruzione a livello della comunità, mentre alle autorità centrali o periferiche sono state attribuite le decisioni rilevanti prese al di fuori della comunità. I terremoti sono stati spesso interpretati come un’occasione per realizzare un mutamento sociale. È possibile che anche la pandemia Covid-19 offra questa opportunità ma, nel caso dei terremoti come in quello della pandemia, il fatto che un disastro possa indurre un cambiamento non significa che esso si realizzi effettivamente. In entrambi i casi, il futuro sta in gran parte nelle mani delle comunità colpite e delle loro élite.