La memoria culturale è un fatto complesso che implica processi che hanno a che fare con una sedimentazione temporale e storica. Esiste sempre uno scarto tra il tempo dell’evento traumatico e la volontà di formalizzarne il ricordo in forme o pratiche simboliche per la collettività. Alcuni luoghi memoriali sono resi tali pochi mesi dopo dalla fine dell’evento, altri aspettano molti anni prima di essere istituzionalizzati, o per attesa di una costruzione di una memoria condivisa o per condizioni politiche particolari. Così Piazzale Loreto a Milano diventa caso emblematico di un luogo ove sono sedimentate memorie contese e difficili, che ancora oggi non hanno trovato un processo di rilettura e rielaborazione condivisa. Il luogo possiede da sempre un ruolo centrale nella trasmissione della memoria. Insieme alla scrittura, all’immagine e al corpo, è uno dei mediatori, ovvero un attivatore che si occupa di fissare e tramandare i ricordi:
I luoghi riescono misteriosamente a condensare ciò che il tempo rende invisibile, perché rapina e distrugge. La cronologia diventa una topografia della storia nella quale si può girovagare e che si può decifrare un pezzo per volta.1
Il luogo è un mediatore speciale perché consente di conservare e tramandare il ricordo anche dopo una fase di oblio collettivo. Esistono luoghi, come per Piazzale Loreto, le cui tracce materiali sono state cancellate dallo scorrere del tempo, o dalla volontà dell’uomo.
Piazzale Loreto, anni ’40
Aleida Assmann li definisce «luoghi della commemorazione», ovvero spazi dove la storia si è violentemente interrotta. In quei siti dove oggi rimane un vuoto o un’assenza materiale si assiste ad un lento processo di memorializzazione, in alcuni casi lasciando all’oblio l’evento di cui è stato teatro, in altri mettendo dei segni come monumenti e memoriali per sottolinearlo, e in altri ancora progressivamente dimenticando e trasformando i simboli del ricordo in qualcosa di diverso e più vicino alle necessità attuali. In che modo quindi è possibile costruire un processo di condivisione di queste memorie e attraverso quali forme? Monumenti e memoriali sono le prime figure universalmente diffuse per ricordare avvenimenti o uomini di valore. Ogni monumento nasce con l’obiettivo di tramandare una memoria, è quindi portatore di un significato e ha una funzione simbolica che lo rende una delle massime espressioni del ricordo, sia esso sotto forma di scultura, obelisco o opera dotata di una spazialità complessa. Queste forme hanno mantenuto da sempre gli stessi obiettivi: fissare la memoria e il ricordo nel tempo. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è possibile riconoscere alcune trasformazioni registrate nell’evoluzione delle forme memoriali, dove i monumenti hanno lasciato il passo a soluzioni che interessano una dimensione disciplinare aperta in cui paesaggio, spazio pubblico, arte e temporalità si mescolano.
Le ragioni di questa evoluzione risiedono nel cambiamento di obiettivi delle forme di memorializzazione: si passa infatti dalla volontà di perpetuare il ricordo in eterno, con monumenti e memoriali, alla necessità di rielaborare il lutto e promuovere processi di riconciliazione.
Una delle critiche più sostanziali nel dibattito contemporaneo sul concetto di monumento è proprio il fatto che numerose opere non adempiano in modo soddisfacente a tale funzione. I monumenti tendono ad astrarre cercando un comune denominatore. Hanno la pretesa di essere l’espressione di una presa di posizione collettiva rispetto agli avvenimenti storici e tuttavia molto spesso offrono all’osservatore pochissimi o troppo pochi punti di riferimento per una riflessione autonoma2.
Per questo motivo, spesso per iniziativa di singoli autori (architetti e/o artisti) o di associazioni, sono state avviate ulteriori perlustrazioni sperimentali di nuove forme commemorative: tentativi fatti o per superare il compito istituzionale assegnato alle forme tradizionali o per modificarne le tipologie formali in modo da renderle più prossime ai nuovi bisogni che la memoria dei conflitti richiede per essere trasmessa e condivisa, oltre la retorica nazionalista e oltre le necessità dettate dall’urgenza del ricordo. È utile precisare che le tre forme commemorative cui si è fatto ricorso nella storia (monumento, memoriale, museo) non sono tra loro mutuamente esclusive ma convivono. Allo stesso modo, la loro evoluzione formale e tipologica non implica il superamento di quelle precedenti, ma evento, contesto e, soprattutto, ambiente culturale in cui e per il quale sono concepite, determina e condiziona le scelte progettuali. Alcuni atteggiamenti dei monumenti contemporanei mostrano una volontà di intromissione nella vita e nei gesti quotidiani delle persone, non con la presenza di grandi forme monumentali seppur capovolte nella logica del contromonumento3, ma con operazioni minime, sottili, quasi invisibili.
Gianni Moretti, Anna – Monumento all’Attenzione, Sant’Anna di Stazzema, inaugurato il 25 aprile 2018, foto di Michela Bassanelli 2019.
Gli Stolpersteine di Gunter Demnig, chiamati anche pietre d’inciampo, sono un musaico di memorie oggi diffuso in 17 paesi europei e 898 città tedesche. I sampietrini rappresentano un modo inusuale di richiamare la memoria, cercano un contatto con le persone ma in modo libero e non obbligato. È la diffusione e l’insinuazione nella topografia dei luoghi della città a rendere questo monumento un’opera fondamentale nell’espressione di un linguaggio memoriale contemporaneo che richiede una modalità di fruizione dinamica e temporalizzata. Un secondo tratto distintivo dei monumenti contemporanei riguarda la temporalità. In questo genere di opere la partecipazione diventa la base dell’opera stessa. Per monumento temporaneo si intende un’installazione o performance, nello spazio pubblico o nel paesaggio, in grado di riattivare, secondo modalità mitopoietiche e evocative, la memoria dell’evento per una durata limitata. Infine un ultimo atteggiamento lega natura e paesaggio che diventano strumenti di supporto per gestire le eredità difficili, essendo in grado di negoziare la memoria attraverso la vita che essi stessi incarnano.
I luoghi della memoria potrebbero rappresentare i nuovi testimoni che con le loro tracce, tangibili e intangibili, diventano portatori di valori altri. Già Maurice Halbwachs nelle sue riflessioni sulla memoria collettiva definisce l’importanza del luogo come elemento catalizzatore degli aspetti di una società:
Il luogo occupato da un gruppo non è come una lavagna su cui si scrivono delle cifre e delle figure e poi si cancellano. Come potrebbe l’immagine della lavagna ricordare ciò che vi si è tracciato sopra, dal momento che è indifferente alle cifre, e sulla medesima lavagna si possono riprodurre tutte le figure che si vogliono? No. Il luogo invece accoglie l’impronta di un gruppo, e ciò è reciproco. Allora tutte le pratiche del gruppo possono tradursi in termini spaziali, e il luogo che occupa non è che la riunione di tutti i termini.4
Il luogo e le tracce per la loro natura intrinseca non possono subire però un processo di cristallizzazione. Le modalità attraverso cui rendere memoria dovrebbero essere continuamente rinegoziabili, aprendo la strada a diverse elaborazioni di un evento e delle conflittualità in esso presenti, trasformando l’atto memoriale in un processo aperto e fluido. Nuovi progetti che, a cavallo tra architettura, arte e paesaggio, sembrano puntare al coinvolgimento diretto delle persone nei processi commemorativi, all’attivazione di interazioni con il pubblico, in grado di promuovere memorie attive e produttive invece che passive e luttuose; alla promozione di processi di riconciliazione che non rimuovano il trauma ma aiutino a rielaborarlo, facendolo entrare nel circolo della vita quotidiana. Una riappropriazione indispensabile per poter andare avanti senza dimenticare il passato.
1 Assmann, Aleida, Erinnerungsräume. Formen und Wandlungen des kulturellen Gedächtnisses, München, C. H. Beck, 1999 (trad. it. Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Bologna, Il Mulino, 2002), p. 346.
2 P. Sigel, Alla ricerca delle tracce: riflessioni sulla storia nello spazio pubblico, pubblicato sul sito https://www.goethe.de/de/index.html nel 2015.
3 Il termine è stato coniato da James Young13 all’interno del testo The Texture of Memory: Holocaust Memorials and Meaning (1993) dove l’autore ha individuato un filone di progetti di artisti che presentano chiari caratteri in contrapposizione al monumento classico. Questi memoriali seguono
infatti «la mutazione, il deperimento e la scomparsa»14 e diventa centrale il rapporto tra oggetto e visitatore che viene stimolato a riflettere in prima persona sull’evento.
4 M. Halbwachs, La Mémoire Collective, Paris, Presses Universitaires de France, 1950, p. 137.