Le parole Europa – fake news – fiducia – fragilità – futuro si succedono per via dell’ordine alfabetico. L’Europa è stata in Italia il capo espiatorio della politica, e non solo. Durante il mese di marzo erano tante le voci che dicevano, anche dal lato di chi non è mai stato un euroscettico ed ha sempre sostenuto l’integrazione europea, che l’Europa non sopravviverebbe alla pandemia della covid-19. Segno che tanti “futurologi” non avevano capito la prima lezione di modestia che si doveva trarre, per l’appunto, dall’irruzione totalmente imprevista dell’epidemia in Italia a fine febbraio 2020.
Ma di quale Europa parliamo? Anche i più convinti euroscettici non potranno cambiare nulla al fatto che l’Italia è situata nella parte più occidentale del continente eurasiatico, e non se ne staccherà a breve, anche se la sua situazione sulla placca tettonica adriatica contribuisce con tanti altri fattori alla sua fragilità; ma i movimenti tettonici spingono la penisola verso nord, e quindi verso più integrazione geografica a molto lungo termine.
Che piaccia o meno il destino dell’Italia è e rimarrà in Europa, tanto più che uno degli effetti probabili della pandemia sarà un riorientamento del trasporto verso modalità di trasporto terrestre e marittimo. La domanda è, quindi, non se l’Italia può andare via dall’Europa, ma cosa ci guadagnerebbe a seguire la scelta del Regno-Unito – o piuttosto della sua classe politica – cioè di voler a tutti costi far prevalere la volontà del “popolo britannico”, cioè di una piccola maggioranza dei votanti in un referendum non vincolante? Basta indicare che il Regno Unito non ha partecipato all’appalto comune accelerato per l’acquisto di materiale medico coordinato dalla Commissione europea, lanciato il 13 marzo e concluso il 24; non è stato dato notizia in Italia della polemica nata dall’affermazione di un membro del governo britannico che si trattava di un errore tecnico mentre molti commentatori puntavano sulla volontà spesso reiterata del Primo ministro Johnson di impedire la partecipazione dei suoi ministri ad incontri europei, poiché sin dal 1 febbraio, il suo paese era uscito delle istituzioni dell’Unione europea, pur rimanendo totalmente integrato nel mercato unico fino alla fine 2020.
Che piaccia o meno, l’Europa è costituita da numerosi Stati, con popoli che parlano lingue diverse ed hanno le loro abitudini culturali spesso molto diverse. 27 di questi Stati sono coinvolti nella costruzione di una Unione europea, l’Italia, Francia, Germania, nonché Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi sin da settant’anni, a seguito dell’invito lanciato il 9 maggio 1950 dall’allora ministro francese degli Esteri Robert Schuman alla Germania di “mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei”. Continuava la Dichiarazione “La fusione della produzione di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime.” È stato necessario più di due anni di negoziati e preparazione per la stesura del trattato di Parigi che ha istituito la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, firmato il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 23 luglio 1952 – il governo britannico aveva esitato fino a qualche settimana prima se raggiungere o meno i sei altri.
Dovrebbe far riflettere la durata di questi negoziati e preparazioni chi si lamenta della presunta lentezza delle decisioni dell’Unione europea sin dall’inizio dell’epidemia in Europa; in realtà già il 28 gennaio, quando erano noti solo 4 casi di contagi positivi al coronavirus in tutto lo Spazio economico europeo (Stati membri dell’Unione europea, che includeva ancora il Regno Unito, nonché Islanda, Liechtenstein e Norvegia) è stato attivato il meccanismo di allerta rapida del European Center for Disease Prevention and Control, il ché ha permesso alle autorità sanitarie di disporre di informazioni in tempo reale sullo sviluppo dei contagi. Dopo di ché occorre sottolineare che le istituzioni dell’Unione europea non hanno nessun potere paragonabile a quelli messi in azione dal governo italiano e dalle giunte regionali dopo che sia stato confermato il 23 febbraio un primo caso di positività a Codogno. E mentre non solo i media, ma anche molti politici italiani, incluso qualche ministro del governo Conte, hanno elogiato l’arrivo in Lombardia di medici in provenienza dalla Cina, da Cuba, dalla Russia e dall’Albania, nessuno ha sottolineato che i medici Albanesi, accompagnati da altri, Norvegesi, nonché di materiale sanitario austriaco facevano parte di una squadra di cd. “caschi bianchi”, cioè medici di paesi dell’Unione o associati coordinati dalla Commissione europea con i fondi dell’Unione; molti si sono lamentati dell’assenza di solidarietà della Francia e della Germania, mentre anche i governi di questi paesi sapevano che il contagio si sarebbe esteso a loro in poco tempo ed erano, quindi, focalizzati sulle misure necessarie per fronteggiare l’epidemia sul loro territorio (per un elenco aggiornato al 4 giugno delle misure prese dall’Unione europea v. ).
Altri contributi a questo sillabario analizzano le problematiche del sostegno finanziario delle Istituzioni dell’Unione europea e degli Stati membri a fronteggiare la crisi economica generata dalla pandemia. Basta qui ricordare che la Banca Centrale europea è intervenuta molto velocemente sui mercati a sostegno dei titoli di Stato dell’Italia, tra l’altro, anche se era dopo una gaffe nella comunicazione della sua Presidente Christine Lagarde, probabilmente ossessionata dal fatto che il suo predecessore Mario Draghi, considerato come un eroe in Italia, era invece stato criticato duramente dai parlamentari della Germania. Per quanto riguarda le altre misure finanziarie, non ancora tutte precisate a fine aprile, è chiaro che avranno un impatto notevole sulla ripresa dell’economia e, a medio termine, sullo sviluppo positivo o negativo dell’integrazione tra i paesi e popoli d’Europa.