Per il Manzoni si trattava di “fare di necessità virtù”, mentre per Horace Walpole era questione di serendipity: in che modo possiamo capire meglio i concetti economici a motivo delle privazioni connesse al contenimento dell’epidemia del COVID 19?
Come consumatori ci è venuto subito spontaneo focalizzarsi sul lato della domanda, cioè sul fatto che – per forza di cose – non potevamo acquistare più quello che normalmente acquistiamo: dal caffè al bar alla casa affittate su piattaforme social. Naturalmente non tutti i consumi sono scesi, come dimostrato dalle scorte fatte da molti al supermercato o dal successo di servizi come Netflix. Intendiamoci: almeno nel breve termine il calo generalizzato della domanda non è dovuto ad assenza di reddito o minore voglia di comprare per motivi diversi dal virus, ma è esattamente dovuto alla volontà individuale di evitare il virus o alla decisione di rispettare l’obbligo di “restare a casa”.
Ma la storia non finisce qui. Chi produce -cioè chi sta sul lato dell’offerta- se ne è accorto subito, ma dopo un po’ tutti gli altri se ne sono accorti (o avrebbero dovuto farlo): conveniva produrre di meno perché (i) c’era (c’è?) molta meno domanda e (ii) -come nel caso di divieti estesi anche al lato della produzione- le disposizioni coercitive del governo impedivano di farlo. Se la domanda si prosciuga o non è possibile produrre, una percentuale importante di lavoratori viene lasciata a casa: in un paese civile è il welfare state che deve occuparsi di ciò tramite strumenti come il sussidio di disoccupazione universale o la cassa integrazione.
Qui entrano in gioco contemporaneamente la politica fiscale e la politica monetaria: uno stato (o l’intera Unione Europea) ha la possibilità di fare politiche di spesa in deficit, cioè di aumentare la spesa e abbassare la tassazione facendosi finanziare da chi ha risorse monetarie disponibili: in un mondo in cui non si usa più la cosiddetta moneta-merce (cioè una moneta che ha un valore intrinseco come nel caso di monete d’oro e argento) la banca centrale ha sempre risorse monetarie disponibili in quanto può emettere tutta la base monetaria che desidera, tenendo conto del solo rischio dell’inflazione, che al momento appare molto basso (per usare un eufemismo). Queste risorse aggiuntive create dalla banca centrale finanziano le banche, e finanziano gli stati attraverso l’acquisto dei titoli di debito.
Tuttavia, il sacrosanto utilizzo della politica economica nello stile di Keynes, cioè per espandere la domanda aggregata in una situazione di grave crisi non deve far dimenticare l’altro concetto economico fondamentale in economia, cioè l’offerta di beni e servizi.
Se ci pensiamo bene la questione è persino banale: noi consumiamo beni e servizi, non banconote o depositi bancari. Qui dovremmo ricordarci di un concetto che la versione caricaturale italica del pensiero keynesiano purtroppo ci ha fatto dimenticare: la domanda si crea dal lato dell’offerta, ovvero i fattori produttivi (lavoratori e capitalisti) ottengono potere d’acquisto utilizzabile per comprare altri beni a motivo del fatto che sono attivi in imprese che producono e vendono beni e servizi “di successo”, cioè beni e servizi il cui prezzo è inferiore alla disponibilità a pagarli da parte di chi è coinvolto nell’attività produttiva generale. Infinite quantità di moneta, cioè una politica keynesiana sontuosamente generosa nell’espansione della domanda nulla o quasi nulla può di fronte a un’assenza di produzione, o –in termini più generali che ci riguardano molto da vicino – una scarsa e stagnante produttività del paese.
Nelle settimane del lock down abbiamo assistito con tristezza malinconica -ma anche con speranza- al poderoso rallentamento della vita economica e sociale per salvare vite umane, e quindi possiamo capire per differenza come funziona un’economia. Cerchiamo però di non dimenticare da dove veniamo, per andare in futuro in una direzione migliore rispetto alla precedente: un paese in cui la produttività è ferma da quasi 30 anni è un paese che ha visto accumulare assenze di reddito e produzione possibili anno dopo anno. È la versione al rallentatore dei cali subitanei che sono accaduti in questa primavera del 2020. Nei mesi successivi in cui siamo tornati a produrre, a comprare e a incontrarci con le necessarie cautele dovremo ricordarci che non dobbiamo soltanto recuperare ciò che abbiamo perso a marzo, aprile e maggio, ma anche ricominciare a crescere a tassi molto superiori che in passato. Non è soltanto un dovere, ma anche un diritto economico, politico e sociale a cui non possiamo rinunciare.