Una catena globale del valore è una forma di organizzazione del processo produttivo nella quale imprese localizzate in paesi diversi si specializzano in alcune fasi del processo, come la ricerca, lo sviluppo del prodotto, la produzione di parti e componenti, l’assemblaggio del prodotto finale o la sua commercializzazione, sulla base dei loro vantaggi che possono essere il basso costo della manodopera, il capitale umano, le competenze in design o la disponibilità di risorse naturali. Per esempio la Bianchi, l’impresa di biciclette più vecchia del mondo, fondata alla fine dell’800 e adesso di proprietà di un gruppo svedese, attualmente produce biciclette che sono disegnate e sviluppate in Italia e assemblate a Taiwan, utilizzando parti e componenti che provengono da diversi paesi nel mondo: la sella può essere prodotta in Cina, in Italia o in Spagna; il telaio in Cina, in Vietnam o ancora in Italia e i freni in Giappone, Malesia o a Singapore.
La frammentazione geografica dei processi produttivi esiste da tempo. Per esempio nei distretti industriali italiani – come quelli calzaturieri delle Marche o del Brenta – la produzione è tradizionalmente organizzata in questo modo ma, a differenza delle catene globali, i diversi produttori coinvolti si trovano tutti localizzati in pochi chilometri quadrati. Nelle catene globali del valore, invece, il processo produttivo si frammenta tra imprese localizzate in paesi diversi, a volte anche in continenti diversi, amplificando le opportunità di specializzazione.
Il commercio nelle catene globali del valore inizia ad intensificarsi a partire dagli anni 90 e cresce fino al 2007 prima della crisi finanziaria, superando il 50% del totale del commercio internazionale. A partire dal 2008 in poi la crescita del commercio attraverso le catene è rimasta più o meno stabile con un forte rallentamento negli ultimi mesi in seguito alla pandemia, pur rimanendo intorno al 45% del commercio mondiale.
Analizzando l’impatto della crisi sanitaria sulle catene globali del valore, possiamo dire che queste hanno subito un duplice shock sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda. Dal lato dell’offerta, ci sono state interruzioni delle catene causate dal lockdown in molti dei paesi coinvolti, a partire dalla Cina e da un aumento dei costi di trasporto internazionali. Se per esempio consideriamo la Germania circa un 40% del valore delle esportazioni deriva da input importati e di questi il 10% proviene dalla Cina, con una quota particolarmente rilevante in settori come l’elettronica e il tessile. Questo vuol dire che lo stop della produzione in Cina ha un impatto sulle imprese tedesche che utilizzano componenti importate dalla Cina. Dal lato della domanda, ci sono forti riduzioni a livello globale, soprattutto in settori come quello automobilistico e quello del turismo. Il WTO stima un crollo del commercio internazionale pari al 30% che sicuramente sta colpendo in modo importante le catene del valore globali.
In seguito a questo duplice shock si è iniziato a parlare di fine delle catene globali, del loro accorciamento in base all’idea che catene più corte siano meno vulnerabili, di un’intensificazione del fenomeno di reshoring delle produzioni spostate all’estero negli anni passati.
Tuttavia è ancora presto per sapere con certezza cosa cambierà nelle catene globali in seguito alla crisi sanitaria, anche considerando che a questa si aggiungono la guerra commerciale tra USA e Cina e la ripresa delle politiche protezionistiche un po’ ovunque nel mondo.
Per concludere, vediamo cosa accade in Italia. Il nostro paese è profondamente coinvolto nelle catene regionali europee, partecipando soprattutto come fornitore di parti e componenti diretti principalmente verso la Germania, la Francia ed altri paesi europei (i primi due ricevono il 40% circa del valore aggiunto esportato dall’Italia).
Quali strategie potranno essere adottate dalle imprese italiane per mantenere competitività nelle catene globali del valore? Sicuramente la soluzione non è quella di puntare all’autosufficienza perché la partecipazione nelle catene ha permesso alle imprese italiane guadagni in termini di efficienza e di economie di scala ai quali non conviene rinunciare. È bene quindi ricordare che il commercio internazionale se rappresenta un elemento di rischio perché ci espone agli shock esterni, resta, tuttavia, la migliore forma di assicurazione di fronte a shock interni, dovuti a interruzioni della produzione nazionale.
Quindi le strategie da adottare dovrebbero essere:
- investire nelle tecnologie digitali, anche per migliorare la gestione della catena attraverso l’applicazione delle tecnologie digitali come strumento di coordinamento e riduzione degli shock esterni, sfruttando le capacità predittive dell’intelligenza artificiale;
- riposizionare strategicamente le imprese: paradossalmente le imprese italiane in alcuni settori come il tessile, il meccanico, l’elettronico e il chimico-farmaceutico, potrebbero avvantaggiarsi dell‘accorciamento delle catene e sfruttare un possibile ridimensionamento della Cina che ha attualmente un ruolo importante come fornitore di parti e componenti nelle catene europee, in particolare, nell’industria tedesca, in quella francese e spagnola, dove le imprese italiane sono già tra i principali fornitori stranieri.
Quest’ultimo punto ci dovrebbe far capire quanto importante è la nostra presenza nel mercato unico europeo perché le nostre esportazioni non vengono ostacolate da barriere protezionistiche e, all’interno della zona euro, non subiscono le conseguenze della volatilità dei tassi di cambio. Insomma potrebbe esserci qualcosa di peggio di una pandemia: affrontarla al di fuori di un mercato integrato.