La proposta di “educazione diffusa”, così come formalizzata in diverse pubblicazioni (Mottana.Campagnoli, 2017, Mottana-Gallo, 2017, Mottana-Campagnoli, 2020), introduce nel grande repertorio di innovazione dell’istruzione e dell’educazione del nostro tempo una significativa e radicale differenza.
Il presupposto da cui muove tale prospettiva non è soltanto quello di una critica del funzionamento delle strutture scolastiche nelle loro versioni tradizionali (pubbliche o private che siano), salvaguardando però la centralità del valore “scuola”. E’ proprio l’istituzione di un’educazione scolastica separata dalla vita sociale più ampia ciò che viene messo in discussione, così come una lunga tradizione di pensiero e azione ha già in vari momenti storici sottolineato: da Fourier a Illich fino a Colin Ward, passando per René Schérer e Raoul Vaneigem.
Il nostro punto di vista non è soltanto che occorra modificare il funzionamento interno della scuola per renderla più accogliente, più comunicativa, democratica, equa, che ci si possa accontentare di rimuoverne i pesantissimi meccanismi operativi di indole normativa e disciplinare o riformarne la funzione biopolitica e psicopolitica rovinosa.
La scuola è in quanto tale, in quanto apparato separato dello stato, orientato a concentrare e trattare bambini e ragazzi per un tempo enorme della loro vita, uno spazio di oppressione, di manipolazione e segregazione che da un lato impedisce il libero e pieno sviluppo delle personalità di chi vi è rinchiuso e dall’altro garantisce agli adulti il tempo per vendersi sul mercato del lavoro. La scuola è di fatto un dispositivo ortopedico (benché solcato da conflitti e da contraddizioni che non possono mai lasciarlo totalmente libero di svolgere il suo compito repressivo) che assolve al compito fondamentale di una società dominata dall’imperativo della produzione e del profitto, quello di fornire una sorta di alibi al mondo adulto nel non prendersi davvero cura della sua prole, dei suoi cuccioli, del suo futuro.
Occorre poi partire da un’altra considerazione fondamentale, suffragata da una mole di studi ormai irrefutabile, e cioè che le doti, i talenti, le potenzialità dei bambini vengono di fatto dissipate e spesso irrimediabilmente perduti in un apparato come quello scolastico nel quale l’apprendimento, scisso dall’esperienza autentica e dalla vita sociale, in gran parte in assenza di un’attivazione di corpo, emozioni, immaginazione, partecipazione e autentico entusiasmo, risulta deficitario e incredibilmente fallimentare rispetto al numero di ore trascorso in questi luoghi a “studiare”.
Ma infine occorre ribadire che è la società nel suo insieme a perdere un’occasione formidabile nel rinchiudere i suoi soggetti più giovani in luoghi separati dalla vita degli adulti e delle altre generazioni.
I bambini e gli adolescenti sono forse soggetti più piccoli (anagraficamente e fisicamente) ma non “minori”. Si tratta di soggetti a tutti gli effetti che hanno il diritto di partecipare, di essere coinvolti nella vita pubblica, di offrire il proprio contributo e soprattutto di poter imparare condividendo con le diverse generazioni situazioni vitali che, in quanto reali e concrete, possono stimolare la loro motivazione enormemente di più che in un ambiente asfittico e simulatorio come quello scolastico.
Si tratta di rompere il muro tra bambini, adolescenti, adulti e anziani che la nostra società “diairetica” (Durand, 1972) ha creato, soffocando energie, disciplinando corpi, sottomettendo intelligenze.
L’educazione diffusa che noi proponiamo rompe queste barriere e stimola a cercare nel mondo della vita, nei quartieri, nei territori, nelle infinite occasioni che la realtà offre, specie se setacciate e selezionate da uno sguardo che vede nell’educazione un cimento con ciò che effettivamente urge in un bambino di sei anni o in una ragazzina di tredici singolarmente considerati. Si tratta di ascoltare bambini e ragazzi, di vederli, di intuirne la fame di esperienza, unico alimento per un apprendimento autentico, ben sapendo che l’esperienza è tale solo se induce a un coinvolgimento totale della persona e non a un’esecuzione routinaria di compiti sgraditi e spesso non compresi nel loro senso futuro e nei loro obiettivi immediati.
Si tratta certo di mobilitare in tale direzione gli attori tradizionali deputati a svolgere mansioni socio-culturali nei territori (municipi, biblioteche, musei, conservatori, teatri, atelier, cooperative, associazioni ecc.) ma anche di risvegliare in generale un mondo adulto che fatica a comprendere quanto sia importante, per sé e per i più giovani, una condivisione persistente di esperienze vitali nella loro globalità e pluralità.
Occorre una fecondazione comune e reciproca tra adulti e piccoli, dove i primi possano mostrare, incitare, insegnare ma i secondi interloquire, scegliere, innovare.
La riserva di energia, spontaneità, fantasia, intuitività, bellezza che le giovani generazioni possono importare nella vita sociale è oggi di fatto totalmente sprecata e non dobbiamo meravigliarci se alla nostra società manca proprio quella sensibilità d’infanzia e quello sguardo giovane che tanto potrebbero correggere del cinismo, della corruzione e della volgarità circolanti.
Abbiamo bisogno dei bambini e dei ragazzi tanto quanto ne hanno bisogno loro, forze giovani che possano di nuovo circolare in un mondo che sempre più glielo impedisce, che è sempre meno ospitale per loro, preoccupandosi solo della velocità di produzione e distribuzione della merce, e sempre meno della qualità della vita di tutti.
Proponiamo di sostituire alle vecchie e brutte scuole delle basi, delle tane, dei portali da cui muoversi in gruppi o anche individualmente alla volta del mondo, per avventurarsi nei mille sentieri che la società, la natura, le città e la terra offrono per sperimentare, esplorare, vivere, esprimersi, offrire il proprio punto di vista. Magari per poi tornare nelle proprie tane, per elaborare e arricchire quanto vissuto fuori e riprogettarlo in nuovi percorsi, che lascino spazio alle individualità, alle predilezioni, alle peculiarità soggettive.
Per questo l’educazione diffusa rifiuta il curricolo tradizionale dei saperi scolastici e immagina di potervi sostituire un repertorio inesauribile e non del tutto prevedibili di esperienze reali, graduate per fasce d’età ma anche aperte alla intergenerazionalità e all’interculturalità. Esperienze che vadano dal servizio sociale al lavoro come cimento ed esperienza, dalla natura all’espressività simbolica al pensiero poetante, a un’educazione scientifica in situazione, fino alla centralità necessaria di una corporeità in evoluzione che divenga il perno di una formazione finalmente umana, in cui autoguarigione, meditazione, arti marziali, educazione sessuale e animazione socio-culturale possano finalmente sprigionare tutto il loro potere di liberazione. Esperienze che portino chi le attraversa a esserci nel mondo, ciò che ogni bambino e bambina e ragazzo e ragazza desidera, invece di rimanere in panchina per gli anni migliori della propria vita.
Ciò che immaginiamo è una società finalmente aperta, in cui le diverse generazioni solcano gli spazi vitali ciascuna offrendo e ricavando alimento per la propria crescita come per la propria espansione, dai più piccoli ai più anziani, dai più in difficoltà ai più marginali, ciascuno secondo le sue doti e ciascuno secondo le sue possibilità.
Il che significa che ogni adulto degno di questo nome può spendere una parte de suo tempo organizzando esperienze per fasce di piccoli, offrendo la sua esperienza, le sue abilità e ricavando l’immenso piacere che si ottiene stando con soggetti giovani, ancora curiosi, vitali, affettuosi.
E’ a partire da una tale rivoluzione, da questo rivolgimento di energie, corpi, opportunità a lungo soffocati e scissi, che forse un nuovo mondo possibile può emergere, anche perché i più giovani sono sensibili alle storture del mondo molto più di tanti adulti che, anche grazie ad una scuola normalizzatrice, hanno imparato solo a competere e a non mettere in discussione nulla di un mondo per tanti versi sbagliato, ingiusto, violento e abbrutito dalla sua avidità.
Permettiamo loro di tornare a vivere con noi e a imparare con noi. Permettiamo a noi stessi di godere della incredibile riserva di bellezza e creatività che infanzia e adolescenza non boicottate possono offrire alla nostra terra desolata.
Bibliografia
Durand Gilbert (1972)
Le strutture antropologiche dell’immaginario, trad.it. Dedalo, Bari
Mottana Paolo – Campagnoli Giuseppe (2017)
La città educante. Manifesto dell’educazione diffusa per oltrepassare la scuola, Asterios, Trieste
Mottana Paolo – Gallo Luigi (2017)
Educazione diffusa. Per salvare i bambini e il mondo, Dissensi edizioni, Roma
Mottana Paolo – Campagnoli Giuseppe (2020)
Educazione diffusa. Istruzioni per l’uso, Terra Nuova edizioni, Firenze