Questo articolo approfondisce i temi del workshop Accelerazione digitale: quali competenze e device per il futuro della scuola promosso nell’ambito di Agenda Open Lab, con l’obiettivo di restituire raccomandazioni di intervento prioritarie affinché il digitale possa per tutti rappresentare uno strumento di reale apprendimento ed emancipazione.
Da anni, nel dibattito sull’educazione, si assiste quantomeno ad una polarizzazione tra ‘apocalittici’ e ‘integrati’ rispetto alle tecnologie digitali. Entrambi tecno-entusiasti e tecno-scettici riconoscono la pervasività di tali tecnologie nella vita ordinaria e la contesa vera e propria riguarda l’uso del digitale anche a scuola. Da un canto si posizionano coloro che vedono nell’introduzione del digitale un grave rischio per la buona crescita dei ragazzi, assediati in ogni momento dalle minacce della rete, dagli effetti collaterali dei media, dalle influenze diseducative del web. D’altro canto, invece, stanno coloro i quali giudicano l’introduzione del digitale come una panacea per tutti i mali, lo strumento necessario a portare la didattica nel futuro, con le nuove competenze, le abilità e i software necessari a presidiare la modernità e lo sviluppo. In mezzo a una simile contrapposizione frontale, è possibile e forse utile adottare una posizione ed un approccio maggiormente laico. È quello che concretamente sembrano fare molti maestri e insegnanti che in diverso modo provano ad adottare una postura pragmatica di fronte alla necessità di utilizzare strumenti che sono oramai parte della vita di tutti giorni – sia che questo ci piaccia sia che questo non ci piaccia.
Didattica a distanza
In questi mesi, nella didattica d’emergenza cui abbiamo assistito, è stato proprio il digitale a “salvare” un barlume di apprendimento collettivo, a perpetuare la scuola a distanza. Per questa semplice ragione risulta sterile demonizzare lo strumento digitale tout court, squalificarlo come irreale solo in quanto virtuale: la distanza non è di per se inibitrice di processi di apprenimento.
C’è inoltre da considerare che le recenti trasformazioni tecnologiche della società contemporanea hanno generato una profonda crisi del tradizionale modello di scuola. L’impostazione classica dei sistemi di istruzione europei resta invariata dall’800 ad oggi ed è sostanzialmente fondata su una concezione umanistica del sapere, le cui forme sono quelle della parola, del libro, della concettualizzazione verbale. Il digitale, in questo senso, rappresenta un modello del tutto nuovo, con un linguaggio, un’estetica, e un episteme proprio e diverso da quello tradizionale e normale nel contesto scuola. L’avvento del digitale ha arricchito le nostre strutture di concettualizzazione del mondo sino a mettere in discussione la centralità della parola scritta, del libro e del manuale. Nonostante questa rivoluzione, la scuola non si è rinnovata e sconta oggi la crisi di un sistema che non corrisponde più alle forme del sapere e del conoscere che sono proprie della società contemporanea. Essa continua a perpetuare il primato del sapere verbo-centrico. In questo senso, a 200 anni di distanza dall’ideazione della scuola ottocentesca che giunge fino ai nostri giorni, occorrerebbe operare un’inchiesta sui saperi che hanno diritto di rientrare nei processi di apprendimento. Una simile operazione di riconcettualizzazione dei saperi porterebbe quindi ad una ri-gerarchizzazione degli insegnamenti: la marginalità della musica, dell’immagine, dell’arte, del digitale e di tutti i tipi di linguaggio non scritti è destinata via via ad assottigliarsi.
Ma, concretamente, cosa significa introdurre il digitale a scuola? Pensare esclusivamente all’esperienza DaD di questi mesi rischia di essere fuorviante dal momento che in molti casi gli insegnanti si sono trovati costretti a perpetuare la scuola frontale e disciplinare a distanza. Nei fatti molta didattica trasmissiva e unilaterale ha continuato a svolgersi con le stesse modalità, solo mediata da piattaforme che potremmo definire di propagazione dell’immagine del professore a distanza. Allora, più che di un blocco monolitico di didattica digitale occorrerebbe discutere più generalmente di didattiche digitali, rimandando immediatamente alla pluralità di strumenti e apprendimenti possibili. A tal proposito va sottolineato che replicare a distanza le dinamiche trasmissive della classe in presenza non fa che riproporre le pratiche didattiche tradizionali e oscurare le potenzialità di una didattica blended capace di integrare lezione frontale e cooperazione, libro e digitale.
La questione che emerge dunque con forza e che va tematizzata per pensare il rapporto tra scuola e digitale riguarda il tipo di apprendimento che come comunità educativa intendiamo perseguire.
La domanda è eminentemente pedagogica dal momento che problematizza il rapporto tra strumenti ed effetti formativi. Domandarsi oggi quale apprendimento intendiamo generare, significa domandarsi quali strumenti sono adatti a tale fine. È quindi in gioco una concezione della tecnologia come medium per ottenere processi formativi stabiliti e specifici. La società che abbiamo in mente, gli individui che abbiamo in mente, sono ciò a cui, dati i mezzi a disposizione, tentiamo di approssimare la realtà educativa. Avere chiaro allora che il digitale entra in questo scenario come un fattore di produzione potenziale di dinamiche di crescita e apprendimento stabilisce già una funzione specifica: è il digitale che deve servire la scuola, non è la scuola a dover servire il digitale. Se dunque intendiamo produrre emancipazione, competenze trasversali, pensiero critico e complesso, capacità di problematizzare e risolvere, allora occorre valutare quale ruolo possa giocare lo strumento digitale in relazione a queste finalità educative. A tal fine è necessario tenere a mente usi e imposizioni delle piattaforme a disposizione, in una concezione in cui il design dello strumento conta e non è affatto neutro: incentiva e facilita alcune dinamiche didattiche, impedendone o complicandone altre.
Agire didattica digitale diventa utile quando riesce a tradursi nel fare lezione di storia, italiano, matematica, etc. utilizzando la progettazione e il making digitale come occasione per elaborare criticamente i contenuti d’insegnamento specifico, arricchendo e non sostituendo una didattica di contenuti. Educare alla complessità attraverso il problem posing, la costruzione di regole, di giochi, di storie con lo strumento digitale è possibile e permette crescita e acquisizione di competenze informatiche al tempo stesso. Così la cooperazione, l’elaborazione pratica e la didattica di contenuti possono trovare un nuovo equilibrio e una nuova composizione. Attraverso la cooperazione digitale è possibile introdurre una logica maker nei processi di conoscenza, andando oltre la verticalità e la vecchia logica lineare dei progetti educativi. Se il tema è il problem posing e il problem solving, la traduzione del processo di apprendimento in processo di inquiry, occorre riconoscere e dare spazio al valore e al potenziale ipertestuale del digitale. Come si diceva sopra, in questo processo gli ambienti di apprendimento e la loro conformazione assumono grande centralità e importanza. Station rotation model, lab rotation model e flex model, sono strumenti d’avanguardia in questo senso, che integrano e innovano le possibilità offerte dagli approcci flipped classroom. Si tratta di modelli di scuola e di lezione che consentono di ripensare la didattica in termini modulari, alternando lezioni frontali, momenti cooperativi e attività online. La scuola ha dunque oggi nel digitale una possibilità di riconfigurarsi a seconda dell’uso che di tali strumenti decidiamo di fare. A questo riguardo è necessaria una coraggiosa stagione di sperimentazione all’insegna di una commistione tra frontale e cooperativo, libro e digitale, reale e virtuale. In una parola, blended learning.
Se così stanno le cose si tratta di rifiutare le fossilizzazioni della scuola disciplinare che prova a ripresentarsi sotto mentite spoglie adottando semplicemente lo streaming. Si tratta di spezzare un approccio neo-funzionalista ove il ragazzo rischia di venir inserito nell’ingranaggio della produzione digitale senza una prospettiva di senso e di comprensione. I rischi maggiori si legano infatti all’incapacità degli utenti, in questo caso i giovani, di decifrare i meccanismi impostati dalla progettazione digitale, con una semplificazione e una pre-determinazione dello strumento che va riconosciuta e anche discussa, in un’ottica emancipativa. Al contrario, la logica adattativa e funzionalista che in questi anni è stata largamente dominante anche in alcuni documenti ministeriali, elude il tema dell’affrancamento del soggetto che è considerato come un ingranaggio di un sistema più ampio al quale esso deve conformarsi, senza comprensione o questionamento. Viceversa, occorrerebbe piuttosto fornire una prospettiva di lettura e concettualizzazione dell’elemento digitale diffondendo media literacy critica per consentire la comprensione dello strumento e la scomposizione della black box del dispositivo che si ha di fronte. Uscire dalla semplificazione della superficie che viene presentata all’utente per accedere alla complessità della progettazione che ci sta dietro. In questa maniera si offre l’occasione per un ripensamento critico dell’esperienza digitale vissuta dentro e fuori dalla scuola.
Un punto d’attenzione viene dalla necessità di considerare gli impatti del tempo speso utilizzando tali tecnologie. Gli effetti sociali e cognitivi sono elementi da attenzionare con cura, promuovendo investimenti per la ricerca in questo senso. Alcune delle prime evidenze fanno emergere che tanto un utilizzo prematuro quanto una sovraesposizione al digitale può comportare deficit d’apprendimento, disturbi di socializzazione, alienazione e mancato sviluppo fisico. Una delle sfide che abbiamo di fronte per i prossimi anni è quella di tracciare il perimetro (fisico e temporale) all’interno del quale l’utilizzo di tecnologie digitali rappresenta un vantaggio e uno strumento di arricchimento. A quale età l’utilizzo di tali dispositivi sia da promuovere, dipenderà dagli esiti delle ricerche già in corso. Quando saranno più chiare e definite le soglie per un uso positivo e sano, i cui effetti emotivi e cognitivi sono a vantaggio e non a detrimento dello sviluppo, allora sapremo definire i giusti equilibri e bilanciamenti tra didattica reale e virtuale.
In conclusione, occorre prendere atto del mutato contesto epistemico della società contemporanea. Solo così è possibile rigerarchizzare i saperi e ammettere il linguaggio digitale nel ventaglio delle esperienze educative ammesse all’interno delle nostre scuole. Rinnovare la didattica affidando il un ruolo al digitale per lavori mirati e integrativi di altri tipi di educazione in presenza richiede l’individuazione di piattaforme e strumenti hardware specifici e preposti a finalità educative stabilite. Appare chiaro allora quanto sia urgente avviare anche al Ministero dell’Istruzione un lavoro per dare forma ad ambienti di apprendimento virtuali che siano in grado di ospitare esperienze di senso e crescita orientate all’emancipazione del soggetto. Ad un apprendimento attraverso il digitale occorre poi accostare una formazione critica sui rischi e l’etica della rete, coltivando anche nelle scuole una cultura di cittadinanza e rispetto nella vita virtuale.
Occorre mettersi subito in cammino affinché le nostre scuole, i nostri docenti e i nostri ragazzi siano dotati delle infrastrutture e delle competenze per integrare il digitale in un modello di didattica laicamente mista.
- Rigerarchizzare i saperi e ammettere il linguaggio digitale nel novero dei linguaggi ufficiali della scuola, integrando didattica digitale come modalità supplementare di generare apprendimento e soft skills
- Curare una formazione di docenti specializzati in informatica e coding che possa affiancare la didattica disciplinare con una curvatura digitale
- Collocare sotto l’ombrello della media literacy le politiche educative in materia di digitale lavorando sui livelli dei linguaggi, della cultura e dell’etica;
- Avviare il piano per l’infrastrutturazione di tutte le scuole e di tutti i territori attraverso una banda ultra-larga accessibile che riduca il digital divide
- Ragionare a forme di dotazione universale affinché ogni studente possieda un device per seguire i piani e le attività didattiche e lavorare a percorsi didattici personalizzati
- Istituire un nuovo asse privilegiato tra ricerca e politica per implementare piani ministeriali corroborati dagli sviluppi più recenti della letteratura accademica in materia pedagogica
- Istituire luoghi e momenti di co-working degli insegnanti per favorire scambio e diffusione di competenze tra i diversi insegnanti e lavorare secondo una logica di cooperativsmo digitale sia per la co-costruzione di piattaforme tra docenti e designer sia per un piano di trasformazione delle competenze degli attori scolastici in materia digitale
- Prevedere nuovi percorsi disciplinari o interdisciplinari per la diffusione di una cultura di media literacy critica sulle condotte civiche che siano più adatti ad una buona cultura di cittadinanza responsabile
- Progettare, elaborare e finanziare spazi e software di apprendimento digitale che rispondano alle finalità stabilite in sede ministeriale
- Paolo Landri, Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali
- Diomede Mazzone, Liceo Vico di Napoli
- Emiliano Grimaldi, Università di Napoli Federico II
- Annamaria Palmieri, Comune di Napoli
- Lorenzo Benussi, Fondazione per la Scuola, Compagnia di San Paolo
- Luca di Fino, Insegnanti 2.0
- Marco Gui, Università degli Studi di Milano Bicocca
- Roberto Maragliano, UniRoma3
- Pier Cesare Rivoltella, Università Cattolica del Sacro Cuore
- Orazio Giancola, Università di Roma “La Sapienza”
- Isabella Lovino, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia