Di Stefano Ballerio
La retorica nazionalista e la propaganda interventista cantavano la gloria di combattere e morire per la patria, per spingere i giovani a prendere le armi, ma l’esperienza del fronte non si lasciava ridurre alle loro mistificazioni. Se avessi visto la morte che io ho visto, scrive Wilfred Owen pensando agli interpreti di quella retorica e di quella propaganda, «[…] non diresti con tutto questo zelo / A bambini ardenti di una gloria disperata, / La vecchia Menzogna: Dulce et decorum est / Pro patria mori» (Dulce et Decorum Estvv. 25-28; 1917-1918). Morire sul fronte – nel fango, sotto le granate, soffocati dai gas – non è dolce né onorevole; la realtà non corrisponde alla sua immagine retorica; la tradizione che il verso di Orazio esemplifica non è più credibile. Già prima della guerra le menzogne della propaganda erano state riconosciute come tali.
Nel maggio del 1915, su «La Voce», Giuseppe De Robertis aveva scritto: «Hanno falsificato la vita, come oggi falsificano la guerra. Dando apparenza di chi sa mai che eroismo solenne, imperiale» (La realtà e la sua ombra); e in agosto, pensando all’orazione di D’Annunzio a Quarto, aveva aggiunto:«D’Annunzio ha falsificato la realtà. […] Ha giocato d’impostura in nome dell’ora presente e dell’Italia».Come De Robertis, tanti avevano riconosciuto da prima quelle che John DosPassos, venuto in Italia come volontario della Croce Rossa Americana, nel 1918 avrebbe chiamato l’«allegra montagna di menzogne» del nazionalismo, della propaganda, delle classi dominanti e della loro cultura. Ma l’esperienza del fronte significò la smentita della realtà e fu una smentita radicale. Al primo fuoco, dice Paul Bäumer, protagonista e narratore di Niente di nuovo sul fronte occidentale (1929), i discorsi dei loro maggiori, ai quali Baümer e i suoi compagni avevano creduto e che li avevano portati in guerra, quei discorsi di «patria» e «gioventù di ferro», persero qualsiasi credibilità.Con essi si dissolsero l’autorevolezza di chi li aveva pronunciati e la fiducia dei giovani che li avevano ascoltati e questa rottura della fiducia, conseguenza estrema delle menzogne di prima, sarebbe stata un elemento essenziale della discontinuità segnata dalla guerra nella storia del Novecento.
Stefano Ballerio
Ricercatore del progetto “La Grande Trasformazione 1914-1918”