Dirigente di Ricerca presso Indire, Area per la Ricerca sull’Innovazione

Nel momento in cui scrivo questa riflessione sul possibile scenario della scuola italiana da settembre in poi, la scuola è appena passata dal “tempo sospeso” al “tempo dell’attesa”. Il primo vissuto per tutto il periodo d’emergenza Covid 19 compressa tra soluzioni forzate ed inedite di didattica, l’incertezza su cosa verrà dichiarato domani, e a volte anche smentito subito dopo, su quando e quale altra novità sfideranno ancora l’ansia e la speranza di una normalità. Il tempo dell’attesa è quello dove si immagina il futuro, a breve, medio e lungo termine. Nel “tempo dell’attesa” solitamente si riordinano ed elaborano i pensieri e le ipotesi, si liberano più facilmente creatività, sogni e desideri. L’attesa è dunque il tempo per portare a realizzazione un grande progetto di scuola del futuro, un tempo lungo di relazioni, di condivisioni, di aiuti reciproci, di idee e di problemi da risolvere, ed è insieme il tempo della proiezione e dell’eccitazione. Al quale seguirà quello della realizzazione, ispirato e in coerenza con il progetto immaginato.

In questa cornice di uso del tempo e di gestione di emozioni, possibilità e limiti, s’inserisce oggi il “disegno di una scuola del futuro” che mentre fa i bilanci su quanto accaduto in fase di emergenza, s’interroga su dove e come vuole finalmente realizzare una scuola per l’apprendimento di tutti e di tutte, in grado di sviluppare competenze per la vita perché gli studenti di oggi siano cittadini in grado di vivere con pienezza e consapevolezza il proprio presente e il futuro che intendono costruire.

A pensarci bene la domanda su “quale scuola per il futuro?” non è cambiata da qualche anno a questa parte, se non aggravandosi di una consapevolezza in più: l’incertezza del futuro. La società globale ci ha rivelato, e in questa esperienza pandemica, in maniera violenta e diffusa, il senso di fragilità dei Sistemi (sanitario, scolastico, economico, finanziario, ecc…), ma, nella loro totale interdipendenza, anche, l’alto grado di capacità risolutoria che si ha facendo rete (di dati, di buone pratiche, di aiuti economici e servizi) e se si condivide una strategia comune non solo di natura emergenziale.


Didattica a distanza


Dunque la scuola del futuro esisterà solo se su una strategia condivisa, che individua e concorda sui pilastri irrinunciabili per il rinnovamento del modello scolastico, si farà Rete tra tutti gli attori che la sorreggono, la sostanziano e la implementano. Senza il primato degli uni sugli altri, ma con un solo primato: quello degli studenti e delle studentesse che realizzano il proprio percorso formativo in un ambiente disegnato sulle loro esigenze, sullo sviluppo di strumenti per comprendere la realtà e imparare ad “abitarla” con diritto e dovere di cittadinanza.

Quali i pilastri per tale trasformazione si confermano fondamentali anche in uno scenario post-covid, che ormai non potrà essere più come “il prima”?

Tre sono le direttrici principali che ispirano ormai da anni il lavoro di ricerca promosso da Indire sull’innovazione della scuola e che mantengono la loro valenza trasformatrice in una stretta interdipendenza fra loro. Lo spazio dell’apprendimento: allargato dalla dimensione fisica a quella digitale, dalle mura della classe a quelle dell’intera scuola, e diffuso al territorio prossimo della comunità locale e a quello di una comunità globale. Il tempo disteso dell’apprendimento: oltre il solo modello temporale delle “ore” d’insegnamento, della tripartizione lezioni in classe, compiti a casa e verifiche per una valutazione spesso solo sommativa. E Infine la scuola intesa come un lungo viaggio esperienziale dove, attraverso pratiche di didattica attiva e per problemi, s’imparare a lavorare in gruppo, a farsi domande e formulare soluzioni usando i saperi; a creare nuova conoscenza.

Lo spazio dell’apprendimento, semplificandolo al massimo, è l’incontro tra spazio pedagogico e spazio scolastico. Tra i sistemi di relazioni insegnante-discente, di pratica didattica e l’attivazione dell’apprendimento (spazio pedagogico) e i contenitori fisici e/o virtuali dove si svolge e articola l’esperienza di apprendimento (spazio scolastico). Quest’ultimo costruito e condizionato da regole rigide, spesso obsolete e limitanti la realizzazione della stessa legge sull’autonomia scolastica (legge 275/99) pensata per garantire una scuola dinamica ma unitaria, per contesti plurimi e diversificati. A puro titolo esemplificativo di alcune rigide barriere si pensi alle aule e alla corrispondenza dei mq pro-capite (circa 2 studente), oppure al concetto di vigilanza e sicurezza che spesso fanno rinunciare all’uso di spazi alternativi alla sola aula, e non ultimo all’orario che si compone inserendo tutte le ore di insegnamento che il docente per contratto deve fare (e lo studente deve fruire) in una tabella settimanale e poi annuale che è la somma di quelle ore, e non del tempo necessario ad apprendere! Il modello temporale, prodotto dall’applicazione delle leggi, dai bisogni espressi dai genitori e dal contesto territoriale in genere, tuttavia non determina in sé la qualità della scuola.

Per ottenerla il tempo scolastico va riempito dalle competenze e dal senso di responsabilità dei docenti e dei dirigenti, che ricercano l’efficacia delle risorse sul campo e individuano le prospettive di sviluppo e d’innovazione. Il tempo scuola poi deve armonizzarsi con l’ambiente. Per realizzare la scuola come un’ambiente di apprendimento aperto alla costruzione delle conoscenze e capace di rispondere a nuove necessità funzionali e di comunicazione, mutevoli nel tempo, si deve intervenire sul sistema scuola più ampio e combinarne gli elementi in maniera fluida e costruttivista. Una combinazione che va oltre le geometrie spaziali, gli arredi e il design di setting polifunzionali e modulabili; una progettazione che combini scelte pedagogiche-didattiche, l’individuazione di strumenti e di linguaggi tradizionali e innovativi e la capacità dei suoi attori principali – dirigenti, docenti e studenti – di comportamenti fuori dalle routine. Questa è quell’idea di scuola blended, che anche grazie all’alleanza con le nuove tecnologie, realizza effettivamente un ambiente educativo più permeabile e reale attivatore relazionale.

Come suggerisce recentemente anche Franco Lorenzoni (molti gli articoli pubblicati in queste settimane su quotidiani e riviste sul tema), “la relazione con la città e la questione del tempo sono centrali per una riforma della scuola”. L’apertura della scuola alla città non deve essere intesa come la soluzione per un problema contingente di riapertura della scuola che sulla base delle Linee Guida del CTS (quali ad esempio la distanza delle rime boccali di 1 mt o l’obbligo di ricreazione in classe) che data l’eterogeneità delle situazioni scolastiche porta all’impossibilità di realizzare una scuola di “tutti in presenza nello stesso luogo e nel medesimo tempo!”. L’uso di spazi oltre l’aula e l’edificio scolastico, quali piazze, musei, giardini e musei, non deve essere inteso né temporaneamente né come in supplenza di quello spazio fisico che ora non c’è ma torneremo ad averlo quando tutti saremo vaccinati. Lo si deve progettare perché la città diventi uno spazio permanente di apprendimento integrato nella didattica quotidiana, superando la frattura tra società reale (fuori la scuola) e società simulata (dentro la scuola).

La stretta relazione tra il modo di fare didattica e il modo in cui è strutturato l’ambiente di apprendimento conta ormai una ricchissima letteratura scientifica e una molteplicità di atti di indirizzo a livello italiano (Linee Guida per le Architetture Interne delle Scuole elaborate con il contributo di Indire nel 2013, ) e internazionale (OECD).  Ormai comunemente lo spazio viene inteso come “elemento abilitante” (Oblinger) del progetto pedagogico che la scuola decide di realizzare e anche in Italia moltissime sono le realtà che hanno intrapreso cambiamenti rilevanti dei setting educativi dentro la scuola coniugando tradizione pedagogica (da Maria Montessori, a Pizzigoni, al modello di scuola laboratorio di Scuola Città Pestalozzi, o l’esperienza degli atelier di Reggio Children) e innovazione didattica e digitale. Per una documentazione dei casi di rinnovamento degli ambienti scolastici censiti dalla ricerca Indire si rinvia al sito  mentre per una Galleria di idee d’innovazione metodologiche didattiche e organizzative, come leve di un cambiamento possibile, all’altro progetto di ricerca di Indire “Avanguardie educative” al quale partecipano oltre 1100  istituti scolastici. Segnali che le sperimentazioni dal basso in Italia di scuole del futuro, basate su nuove dinamiche educative ci sono, occorre però sostenerne la diffusione e attraverso valutazioni di tipo qualitativo, garantirne la scalabilità e portarle a sistema. E occorre ancora indagare sulle soluzioni efficaci di scuole diffuse sul territorio ispirate a modelli di Civic center come quelli realizzati nel nord europa.

Il gigantesco esperimento di didattica a distanza a seguito del lockdown che si è appena concluso, ha portato a utilizzare in maniera diffusa e capillare strumenti e metodologie nuove che la nostra scuola aveva spesso guardato con diffidenza e a lavorare con nuove tipologie di contenuti di apprendimento. In una prima riflessione post covid Gino Roncaglia analizza come “la didattica a distanza, in moltissimi casi, per l’assenza di competenze metodologiche e operative si sia tradotta nel tentativo di replicare a distanza il modello familiare della didattica frontale, con un uso limitato ed esclusivamente trasmissivo degli strumenti di rete” (aggiornamento digitale di L’Età della frammentazione edito da Laterza).  Occorre dunque sostenere la scuola attraverso una formazione che accompagni i dirigenti scolastici e docenti a scegliere quali nuovi metodi d’insegnamento/apprendimento introdurre, con consapevolezza e intenzionalità, abbandonando gradualmente l’habitus di routine professionali tipiche di una scuola dell’istruzione basate quasi esclusivamente sull’utilizzo dei metodologie espressivo-trasmissive in favore di un apprendimento attivo e cooperativo. Metodologie didattiche che responsabilizzano gli studenti nel compito di apprendere, basate su un concetto di interdipendenza positiva e individuale al contempo. Già ampiamente diffuse nei sistemi educativi di Stati Uniti (e anglosassoni più in generale) e nel nord Europa, ma da alcuni anni sperimentate anche in Italia, si basano sul lavoro di gruppo, spesso di piccole dimensioni, attraverso le quali gli allievi comprendono che per raggiungere uno scopo o svolgere un compito non è possibile agire da soli (interdipendenza positiva) e imparano la responsabilità individuale in relazione al proprio apprendimento e a quello degli altri membri del gruppo (generalmente attraverso l’assegnazione a  ciascun membro del gruppo di compiti e ruoli definiti da svolgere). La realtà sociale e lavorativa post-moderna richiede persone e professionisti in grado di lavorare in situazioni di interdipendenza positiva, poiché solo una situazione di cooperazione favorisce la soluzione di problemi complessi, così come la capacità di assunzione di responsabilità individuali associate ad alti livelli di competenza ne permette la gestione. Accanto alle strategie di cooperative learning si trova la didattica per situazioni e problemi. Si presentano agli studenti problemi significativi e complessi tratti dal mondo reale o presentati in modo realistico la cui soluzione non avviene con un solo processo e né il risultato è unico.   In un lavoro anche questo impostato in gruppi si aumentano le abilità di relazione con gli altri e si sviluppa lo spirito creativo, data l’assenza di un’unica risposta corretta prestabilita, mantenendo elevato il livello di motivazione e di coinvolgimento. Si tratta di metodologie didattiche, che hanno bisogno di ambienti di apprendimento e tempi diversi da quelli tradizionali, che favoriscono l’acquisizione e il consolidamento del sapere, poiché consentono di focalizzarsi più sul processo con cui viene raggiunta una soluzione, e non sul risultato finale. Dove il ruolo del docente viene completamente reimpostato in quello di tutor e consulente non direttivo, per lasciare spazio all’educazione tra pari, alla controversia e al dibattito, all’apprendimento basato sul lavoro e all’apprendimento autonomo. Come coniugare la moltitudine di discipline presenti nel nostro curricolo, che finisce per creare una frammentazione organizzativa, con approcci didattici di questo tipo? Il primo passo è fare progettazioni didattiche pluridisciplinari, quello successivo essenzializzare i curricoli e avviarsi così in una scuola che vada oltre le discipline.

E’ un disegno complesso quello di una scuola così come brevemente riassunta in queste poche pagine, ma sostenibile facendo rete (tra scuole, istituzioni, associazioni e famiglie), diffondendo la cultura della sperimentazione e dell’innovazione e accompagnando con percorsi formativi continui il processo trasformativo.


Per un approfondimento ai documenti internazionali più recenti che indirizzano le strategie politiche educative post-covid, si veda in particolare:

OECD (June 2020), Effective Learning Environments, Special edition on Tackling Coronavirus (covid-19).

OECD (2020), A framework to guide an education response to the covid-19 pandemic of 2020, Report elaborato con la Harvard Graduate School of Education.

UNESCO,UNICEF, WFP e World Bank (2020),  Framework for re-opening schools.

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