La chiusura prolungata delle scuole sta mostrando come le differenze familiari degli studenti condizionino la loro possibilità di apprendere. Stando molto più tempo in casa, aumentano le interazioni familiari a scapito degli stimoli esterni e si rafforzano i meccanismi di riproduzione sociale. In questa fase i ragazzi stranieri e i ragazzi italiani di bassa estrazione socio-culturale rischiano, tra le altre cose, di mutuare dalla famiglia codici linguistici impropri. Sappiamo infatti che errori e carenze dei genitori si depositano nel bagaglio comunicativo dei figli e questo produce effetti negativi per i ragazzi provenienti da nuclei familiari a basso capitale linguistico. Deficit nell’uso della lingua si formano e si riproducono nelle case in cui vi è mancanza di strumenti di lettura, una scarsa cultura della parola e sporadiche pratiche di interazione e comunicazione. Perciò quando le competenze dei genitori sono modeste i figli soffrono due volte il rallentamento della didattica: una volta perché perdono gli stimoli della scuola, una seconda volta perché apprendono dalla famiglia forme improprie di comunicazione.
La lingua è precondizione per l’apprendimento di tutte le materie, medium per la socializzazione, strumento per accedere all’informazione e per partecipare alla vita politica. Da una buona padronanza del linguaggio dipende anche la capacità espressiva e la comunicazione, nonché centinaia di azioni quotidiane che interessano le nostre vite. Nello specifico, diversi studi dimostrano come i deficit linguistici si traducano facilmente in difficoltà scolastiche.
1) Codici linguistici e importanza della comunicazione
Il noto linguista Basil Bernstein sottolinea lo stretto legame esistente tra collocazione sociale e capacità d’uso della lingua. Egli distingue due categorie: un codice ristretto e un codice elaborato. Semplificando, il codice ristretto è definito come un modo povero e ridotto di utilizzare il linguaggio mentre il codice elaborato è definito come un modo d’uso formale, sintatticamente più ampio e tipico delle classi colte. Sul piano della produzione scritta e orale, è bene sottolineare che il codice ristretto non corrisponde ad un modo di esprimersi semplice-ma-chiaro (non è in questione unicamente la quantità o la ricercatezza dei vocaboli utilizzati) ma anzi riguarda soprattutto la modalità di impostare le frasi. In senso tecnico si potrebbe parlare di una difficoltà a passare dalla rappresentazione mentale alla pianificazione verbale. La mancanza di competenze adeguate di pianificazione linguistica può rendere parziale e persino incomprensibile il discorso che il soggetto intende portare avanti. Il codice ristretto, dunque, intacca l’efficacia comunicativa: chi si esprime, tra le altre cose, non fa chiaro riferimento ai soggetti della frase, introduce pronomi il cui referente resta oscuro, offre inadeguati riferimenti spaziali al punto da impedire una corretta comprensione di ciò che viene descritto.
Grazie ai diversi test che sin dagli anni ‘70 sono stati condotti è possibile affermare che avere scarse abilità di pianificazione linguistica pone seri problemi di comunicazione e poiché ogni forma di relazione sociale prevede comunicazione, la difficoltà a capire e a farsi capire ha diverse implicazioni nella vita di tutti i giorni. Saper leggere, scrivere, parlare e ascoltare significa avere la possibilità di comprendere e rielaborare le informazioni, apprendere, dialogare, instaurare relazioni, partecipare attivamente alla vita sociale e politica, comunicando adeguatamente nella varie occasioni della quotidianità. Non padroneggiare bene l’italiano può diventare persino un ostacolo alla comprensione degli esercizi o dei problemi matematici, aprendo una spirale di carenze difficile da interrompere. In generale, le differenze nell’uso del linguaggio incidono quindi sulle possibilità di organizzazione di pensiero, idee e conoscenze. Inoltre, come ha più volte sostenuto Tullio De Mauro, vi è un’ulteriore dimensione da aggiungere alle precedenti, ossia quella relativa all’elaborazione interiore e allo sviluppo di una riflessività emotiva: l’uso delle parole nel silenzio della propria coscienza permette di esplorare se stessi nei possibili rapporti con gli altri, con le cose e con le memorie.
Appare quindi evidente che ragionare di svantaggio linguistico non sia un vezzo da professori che ha come obiettivo una certa prevaricazione culturale e qualche perversa voglia di imposizione ma anzi serve a fare luce sugli inconvenienti che scarse competenze comunicative comportano, innanzitutto per il soggetto stesso. Il punto non è certo quello di esprimersi in ottemperanza ad una grammatica rigida secondo dettami “normativi”, quanto piuttosto vedere assicurata l’efficacia comunicativa per tutti i diversi fini cui essa è necessaria.
2) I doveri della scuola e qualche proposta
Se lo svantaggio linguistico si presenta nelle prime fasi della vita – e qualora lo studente non riveli tracce significative di handicap – possiamo affermare con un certo grado di sicurezza che la responsabilità di tale deficit sia di natura familiare. Se però tali carenze linguistico-espressive perdurano anche in età avanzata esse diventano una corresponsabilità della scuola. A tale proposito, sarebbe controproducente non riconoscere le difficoltà del sistema d’istruzione nell’educare ad un uso della lingua consapevole, critico e democratico.
I bambini che si avvicinano per la prima volta alle pratiche sociopoietiche di lettura e scrittura manifestano un coinvolgimento sincero e spontaneo. Tuttavia, man mano che procedono nel percorso scolastico, essi si disaffezionano. In particolare, una didattica poco interessante, rigida e monotona rende la lingua un corpo morto del quale è difficile per uno studente scorgere l’utilità e l’uso concreto. Ciò vale soprattutto per quei ragazzi che crescono in contesti svantaggiati, i quali avvertono una distanza forte tra la lingua della loro quotidianità e quella richiesta in ambito formativo. Questo scollamento può essere concretamente affrontato dalla scuola solo rimettendo al centro dell’agire didattico quella che Daniel Goleman chiama motivazione intrinseca, ovvero quell’interesse spontaneo nello svolgimento di un’attività considerata stimolante e potenzialmente gratificante.
Fin da settembre, dovremmo dunque provare ad immergere i nostri alunni in pratiche autentiche di fruizione della lingua, dando nuova centralità al linguaggio verbale e al suo radicamento nella vita emozionale, intellettuale e sociale, come sostenevano già 45 anni fa le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica. Occorrerà diversificare il più possibile la tipologia di testi con cui i ragazzi entrano in contatto, ripristinando la dimensione sociale e comunicativa della letto-scrittura attraverso lavori di gruppo e molto dibattito. Lasciamo che gli studenti leggano liberamente ciò che li cattura, senza imposizioni ma con tanti e individualizzati suggerimenti, magari proponendo approfondimenti letterari e giornalistici che indaghino la quotidianità. Diamo loro tutto lo spazio di cui necessitano per condividere e dibattere su ciò che leggono, scrivono e ascoltano, senza escludere a priori un post di un politico su Facebook o l’ultimo freestyle del loro rapper preferito. Valorizziamo l’autovalutazione come pratica di presa di coscienza di sé, dei propri limiti, delle proprie passioni. Concediamo generosamente strumenti e tempi per lasciarli scrivere di tematiche che veramente li riguardano, con destinatari e obiettivi concreti. Perché non pensare, ad esempio, a un blog di classe, o a una pagina social, sul modello del giornalino freinetiano? La chiave sta nel proporre dei compiti autentici che diano loro il modo di confrontarsi con i problemi reali della lingua, quali la comprensione e l’ascolto di linguaggi diversificati, l’individuazione di fake news, l’efficacia comunicativa della propria scrittura, la mediazione tra punti di vista diversi.
Chi ha a che fare con la scuola sa bene che, oggi più che mai, ogni classe è un caso a sé, con insegnanti, famiglie e bambini dalle necessità differenti rispetto a quelli della classe a fianco. Ogni comunità educativa vive gli stessi problemi in misura diversa, con specifiche e non generalizzabili dinamiche interne. Eppure, i punti cardinali che devono guidare la riflessione sulla didattica linguistica emergenziale e futura sono trasversali a ogni contesto sociale e ad ogni grado di scuola: compiti autentici, individualizzazione degli stimoli, varietà degli strumenti e dei linguaggi, lavori di gruppo. Innovando in questa direzione, cogliendo le opportunità che le difficoltà contingenti ci pongono, potremo superare le annose problematiche poste dalla pratica didattica e restituire all’educazione linguistica la sua funzione emancipatoria e democratica.