L’attuale situazione di emergenza legata al COVID-19 ci permette di riscoprire l’importanza di una sfera pubblica, dalla scuola al doposcuola, capace di riequilibrare disuguaglianze sociali, economiche e geografiche che caratterizzano i percorsi di vita dei ragazzi e che incidono in maniera significativa sul loro apprendimento. Questi giorni restituiscono maggiore attenzione ai processi educativi e alle condizioni che ne garantiscono qualità ed efficacia. L’emergenza in corso ci offre, in altre parole, l’opportunità di riflettere attorno a interventi a contrasto di disparità, iniquità e squilibri che interessano i percorsi di crescita di migliaia di giovani, al fine di offrire, a tutti, eque esperienze di apprendimento e formazione come prerogativa per il progresso sociale ed economico del Paese.
Questo articolo approfondisce i temi del workshop Innovazione e sviluppo: didattica, digitale e reti educanti promosso nell’ambito di Agenda Open Lab, con l’obiettivo di restituire raccomandazioni di intervento prioritarie affinché l’educazione possa per tutti rappresentare uno strumento di inclusione ed emancipazione sociale.
Alla luce dei divari territoriali visibili nei diversi rendimenti scolastici, nei diversi tassi di abbandono, nelle diverse percentuali di laureati, che ci restituiscono l’immagine di un Paese marcato da forti disuguaglianze, la sfida che abbiamo di fronte risiede nel promuovere percorsi educativi equi che offrano a tutti reali opportunità di farsi adulti per trovare la propria strada nel mondo. A tale proposito il seguente articolo intende avanzare alcune proposte per rafforzare il sistema educativo attraverso interventi su quattro distinti piani.
Nella prima parte analizziamo come sia possibile potenziare le scuole e limitare l’abbandono scolastico affinché l’istruzione arrivi a tutti e possa così rappresentare un reale veicolo di emancipazione. Nella seconda parte allarghiamo il campo d’analisi dalla scuola alla comunità educante, indagando come progetti incentrati sui quartieri e sulle famiglie garantiscano una rete educativa più solida e dunque maggiore efficacia degli interventi. Successivamente si presentano alcune ipotesi per l’aggiornamento didattico e metodologico del “fare educazione” a partire dall’apprendimento attraverso l’esperienza fino alla familiarizzazione con le nuove tecnologie. Nella quarta ed ultima sezione esaminiamo la formazione al lavoro come formazione della persona umana, raccogliendo la sfida delle nuove competenze per far fronte a un’economia in trasformazione.
Contrastare l’abbandono scolastico
Occuparsi di dispersione scolastica significa confrontarsi con un fenomeno complesso che si situa all’incrocio tra differenti variabili, sia scolastiche che extra-scolastiche. All’abbandono scolastico concorrono, in misura diversa a seconda dei casi, sia la deprivazione materiale di molte famiglie e dei luoghi in cui vivono, sia la rigidità del mondo scuola e del modello culturale che esso impone. Agire allora sulle condizioni soggettive, migliorando la situazione socio-economica delle famiglie i cui ragazzi sono più a rischio e trasformare i luoghi che abitano rappresenta sicuramente un primo ambito di azione di particolare importanza. Occorre però cambiare anche le relazioni tra educatori ed educati, introducendo modalità didattiche ed esperienziali capaci di valorizzare la diversità e stimolare la curiosità per fare in modo che i momenti educativi possano essere percepiti come un piacere e non più come un dovere. Molto spesso è proprio il senso di inadeguatezza associato a contesti scolastici impositivi che produce effetti di scoraggiamento e quindi di abbandono.
Se pensiamo allora alla prima e più grande agenzia educativa del Paese, appare utile progettare la scuola come un luogo accogliente, a misura di adolescente, in grado di valorizzare i ragazzi e di attrarli, affinché a scuola continuino ad andarci nonostante le difficoltà che incontrano nella vita di tutti i giorni. Perché oggi, a fronte di tanti insegnanti attenti alle specificità dei propri studenti, in troppi casi resta vero che dentro le mura scolastiche ancora si producono dinamiche disfunzionali fatte di mancata accettazione, di imposizione di modelli cui conformarsi, di disciplina dei corpi, sullo sfondo di modalità didattiche a volte piatte e poco stimolanti. La struttura stessa della classe, nella distanza tra professori e alunni e tra i banchi stessi, tende ad isolare. Se a scuola si producono paradigmi impositivi le possibilità che i giovani “diversi” siano respinti certamente aumentano.
Appare opportuno ragionare di educazione maggiormente personalizzata, diffusa e territorializzata, informale e poco rigida, ispirata all’attivismo pedagogico. Attribuire vero valore alle relazioni in classe, andando oltre la verticalità che lega educatori ed educandi, significa concepire una scuola con i ragazzi anziché per i ragazzi. La scuola dovrebbe così provare a costruire relazioni di senso per offrire ai giovani la possibilità di superare le difficoltà interne ed esterne.
Didattica a distanza
Rafforzare le reti educative extra-scolastiche
Sebbene la scuola sia sicuramente l’attore chiave delle opportunità educative e culturali che sono quotidianamente offerte ai giovani, e per questa ragione il sistema educativo va pensato con la scuola al centro, non bisogna trascurare l’esigenza di coordinare gli sforzi con le altre agenzie culturali. Perché la scuola da sola, lo si è detto e lo si deve ripetere, non basta. Occorre allora ampliare il ventaglio di stimoli culturali a disposizione dei ragazzi e dei territori, che significa tentare di colmare le disuguaglianze culturali che sono di fatto disuguaglianze di opportunità. Sul territorio nazionale i teatri, le biblioteche, i musei, i cinema, le librerie, i campi da gioco, gli spazi pubblici di aggregazione e socializzazione non sono uguali in densità, quantità e qualità. I luoghi dove minore è l’accesso a servizi e opportunità culturali, che non consentono un’adeguata fruizione culturale, determinano inferiori rendimenti sociali ed economici.
Con l’obiettivo di affiancare i ragazzi vulnerabili e/o dispersi dal sistema scolastico, occorre costituire un sistema educativo extrascolastico solido, capace di stare con i marginalizzati, proprio mentre si migliorano le condizioni di vivibilità interna delle scuole. A tale proposito esistono diversi progetti che lavorano sul territorio e sulle famiglie, quali due vertici complementari del triangolo educativo che costituisce la comunità educante: scuola-famiglia-territorio. Nel caso del Fondo per il contrasto alle povertà educative, sono numerosi gli interventi che mirano a trasformare i quartieri in luoghi vivi per i giovani, dove incontrarsi, confrontarsi, socializzare, fare esperienza e crescere. Da diverso tempo educatori e progettisti invitano a mettere a sistema i progetti di doposcuola come dispositivo educante per i territori. Lo stesso edificio-scuola si offre come un possibile luogo di aggregazione, hub di territorio polifunzionale da tenere aperto sia di pomeriggio che di sera, come indicato all’interno del recente Piano per il Sud promosso dal Governo (Capitolo IV, 1.1). In questa stessa ottica di “comunità educante” come rete allargata di attori si pongono i progetti che intendono coinvolgere i genitori. All’offerta educativa per i ragazzi vanno affiancate azioni di empowerment dedicate agli adulti, finalizzate soprattutto al rafforzamento delle competenze genitoriali. A fronte di un bisogno crescente dei genitori di sentirsi all’altezza di un compito complesso come quello di educare, appare indispensabile promuovere percorsi di sostegno anche psicologico mirati alla costruzione di relazioni familiari equilibrate, autenticamente formative.
La costruzione di una ricca rete educativa è dunque la condizione minima necessaria affinché diverse occasioni culturali e di socializzazione siano disponibili e accessibili. Federare scuole, famiglie e quartiere, significa occuparsi della moltiplicazione dei momenti educativi ma poco, ancora, ci dice della qualità di tali momenti. Occorre pertanto ragionare sulle modalità e le tecniche educative adoperate, quale fattore di qualità.
Innovare le modalità didattiche
Le nuove generazioni di genitori, educatori e insegnanti hanno visioni diverse e nuove rispetto ai propri predecessori di quelle che sono le esigenze educative dei ragazzi. Nonostante ciò molte delle pratiche educative che vengono realizzate, non rispondono ai bisogni di personalizzazione dei ragazzi in fase di crescita. Spesso si crede che esistano strumenti che vanno bene indifferentemente ad ogni latitudine e in ogni fase di sviluppo. Spesso si crede che esistano delle tecniche giuste e dei ragazzi sbagliati, quando invece è sempre l’opposto poiché il principio di valutazione della bontà della tecnica deve risiedere nell’effetto che la tecnologia produce con il soggetto. Come a scuola: se in teoria i programmi ministeriali dovrebbero essere già stati abbandonati e al centro dovrebbero stare le competenze e i ragazzi, nella pratica i saperi hanno ancora grande protagonismo e sono spesso preponderanti. Gli studenti vengono allora valutati sulla base di quello che sanno e non sulla base del percorso che stanno svolgendo. Il metro di valutazione è unico per tutti gli studenti e centrato sulla performance anziché calibrato sui singoli e i loro miglioramenti relativi. Negli interventi educativi è invece utile guardare a modalità d’azione capaci di spostare l’attenzione sui ragazzi, considerati come soggetti attivi e capaci anziché come contenitori vuoti. L’obiettivo diventa allora quello di lavorare sulle competenze che abilitano i ragazzi, così da permettere l’accesso ad immaginari possibili e alternativi, diversi da quelli consegnati dalla famiglia o dal mercato. In questo senso, il richiamo di molti educatori è a stare più attenti ai percorsi che ai risultati misurabili.
Esistono numerose sperimentazioni intorno alla narrativa corale, alla ricerca degli studenti, ai laboratori teatrali come tecniche di ingaggio e strumenti di crescita attraverso esperienze pratiche. Esse rappresentano solo alcuni esempi di modalità con cui è possibile condurre i momenti educativi, offrendo ai ragazzi un’occasione per attivarsi, esprimersi, cooperare, porre domande e imparare a collezionare le informazioni per rispondere. Un caso di educazione virtuosa e innovativa è quello della scuola diffusa, che esce dalle proprie mura e si fa itinerante, a scoprire e questionare il mondo fuori di sé, nel solco del miglior attivismo educativo. Ancora: sperimentazioni sulla scuola senza voti o sulle attività extrascolastiche come crediti aggiuntivi per gli studenti e punti di merito sono tra i tanti modi per innovare le forme di apprendimento. In tutta Italia come nel mondo si moltiplicano le esperienze educative che mettono i ragazzi al centro, riscoprendo la dimensione del fare come occasione di crescita e apprendimento. La cooperazione tra gli studenti si ripropone a distanza di anni dalla sua comparsa nel dibattito educativo come modello di interazione tra pari. A distanza di anni, dunque, la possibilità di imparare attraverso l’esperienza resta immutata.
Guarda il video
In questo scenario va inquadrata la tecnologia come dato di realtà, come immanenza del nostro presente. Essa non è più un’opzione; come affrontarla, allora? La tecnologia può essere uno strumento espressivo, offrendosi alla didattica come mezzo trasversale nell’esperienza formativa. La multimedialità permette di comunicare in modi diversi, attraverso le immagini, i video, il sonoro digitale. È l’occasione affinché ciascuno trovi la propria modalità espressiva, il linguaggio che gli è proprio. Le intelligenze multiple di cui parla il noto psicologo statunitense Howard Gardner suggeriscono che radio, immagini, testualità, video, disegno e musica possono essere tanti e diversi campi di emersione delle predisposizioni di ognuno.
A questo proposito, si moltiplicano i progetti educativi che puntano a creare media literacy fondata su competenze critiche, espressive e alfabetiche. L’alfabetizzazione mediale costruisce un ponte per il lavoro, come nel caso, ad esempio, della Apple Development Academy, dove, tra l’altro, si insegna attraverso il modello di apprendimento collaborativo e pratico del “Challenge based learning”, a usare le tecnologie per risolvere problemi reali.
Ripensare la formazione al lavoro
Un ultimo tema, non meno importante, è quello della costruzione di competenze umane e professionali, il cui discorso è spesso fagocitato da una frangia di pensiero che vorrebbe l’educazione tutta sbilanciata sulla formazione al lavoro. Larga parte della preparazione professionale invece passa proprio attraverso la formazione della persona, le cui competenze umane, relazionali, sociali, di pensiero critico, sono prerequisito essenziale per ogni mansione lavorativa. In un mondo i cui saperi tecnici e specifici cambiano rapidamente, imparare ad imparare (e disimparare) è una competenza fondamentale. Quel che resta, al mutare del contesto e dei saperi sempre temporanei, è la capacità di stare con la complessità, di saper leggere le trasformazioni e rispetto ad esse aggiornarsi nel corso di tutta la vita (lifelong learning). Appare allora evidente come scuola e lavoro vadano pensati come un sistema sociale interconnesso, con al centro le competenze. Analizziamo allora i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), e il documento europeo sulle competenze dell’EntreComp (The Entrepreneurship Competence Framework). Quello che emerge da questi documenti è l’accento posto sulla formazione di competenze trasversali per il futuro, le cosiddette soft skills che servono nella cittadinanza, nel lavoro, in tutti i tipi di relazione. Molto si dice sull’abilitazione all’imprenditoria e sulle competenze digitali per un uso creativo delle tecnologie ma oggi più che mai, occorre portare l’attenzione anche sul pensiero etico e sostenibile che ancora manca all’appello delle competenze di cittadinanza promosse in sede europea.
Nel pratico servono allora laboratori scolastici di supporto alle esperienze formative fatte con le imprese, per portarle a scuola in modo onesto e serio, davvero arricchente. Servono esperienze sia di Service Learning che di lavoro sociale, scoprendo da subito l’importanza della missione sociale del lavoro. Perché invece l’auto-imprenditorialità, che tanti documenti nazionali ed europei promuovono, comporta rischi legati all’opposizione tra collettività e individuo, dove il singolo pensa di doversi battere da solo, incapace di pensarsi all’interno di un gruppo cooperativo. I percorsi di alternanza scuola-lavoro producono risultati positivi nella misura in cui, dopo le esperienze pratiche e di lavoro fuori da scuola, si torna in classe a riflettere criticamente insieme su quello che si è svolto. È la continua osmosi tra scuola e lavoro, lavoro e scuola a garantire utili ibridazioni.
Conclusioni
In conclusione, possiamo dire che ambire ad un sistema educativo più equo e più giusto richiede una scuola più inclusiva capace di tenere dentro i ragazzi e le ragazze, un sistema culturale più forte e modalità didattiche cooperative capaci di allenare le competenze per il futuro. I gap di riuscita scolastica sono ancora ampi e penalizzano le fasce della popolazione più vulnerabile, cui l’articolo 3 della Costituzione garantisce, invece, la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale per lo sviluppo della persona. Un impegno in questa direzione si traduce in interventi multipli ma coordinati, che serviranno a garantire opportunità socio-economiche migliori per tutti i cittadini del Paese. La scuola da sola non può tutto, ma l’alleanza dei diversi soggetti educativi e territoriali può invece assicurare l’efficacia per un progetto di riforma in cui la conoscenza possa tornare a essere veicolo di sviluppo e emancipazione sociale.