Abbiamo bisogno di ascoltare storie di impegno che raccontino una versione non standard di gesti, di pensieri, di azione civile. Abbiamo deciso di dedicare un ciclo di quattro appuntamenti con figure pubbliche che hanno attraversato momenti essenziali dell’Italia contemporanea, non avendo una vocazione di eccezionalità, ma pensando appunto che non ci si poteva sottrarre. Abbiamo chiamato questo ciclo “Brava gente”, ma forse avremmo più propriamente dovuto chiamare questa serie “gli eroi del lunedì”, e spiegheremo fra poco perché.

Lo storico Eric Hobsbawm, quando ha parlato del XX secolo, lo ha chiamato “l’Età degli estremi” (è il libro che in traduzione italiana si ha con il titolo Il secolo breve, che ha marcato, distorcendolo, tutto il dibattito pubblico sul senso di quella riflessione).

Il ‘900, tuttavia, non è stato solo estremi. Mentre questi aprivano la scena a deflagrazioni drammatiche cariche di conseguenze, il Novecento si costruiva anche grazie a figure capaci di indicare una via, incarnare soluzioni possibili, con un duplice obiettivo: resistere alla tempesta del tempo e, al contempo, tracciare possibili ripartenze.

Quali protagonisti si sono spesi personalmente e in prima linea per:

lottare contro le intolleranze (Bruno Segre, 11 febbraio), che non sono mai soltanto intolleranze verso il “diverso”, verso chi ha una religione diversa o un colore diverso, ma assumono spesso la forma dell’intolleranza complessiva del punto di vista altrui, e dell’altrui desiderio di scelta e di libertà? Tra gli altri, era il caso dell’obiezione di coscienza, che in Italia fu riconosciuta dal legislatore soltanto nel 1972. Ancora nel 1971, come si può leggere da Processo all’obiettore, volume che è parte del patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, il rifiuto di un cittadino italiano, Alberto Trevisan, di rispondere alla chiamata di leva non veniva riconosciuto quale “obiezione di coscienza”, bensì come “omessa presentazione alle armi”.

Introduzione, in Processo all’obiettore: il primo libro in Italia con il resoconto completo di un processo militare, Lanterna, Genova, 1971, pp. 7-16.

Documento tratto dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
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governare le trasformazioni industriali e del capitalismo (Piero Bassetti, 20 febbraio)? Il caso italiano ci insegna che nella gestione del capitalismo e delle trasformazioni industriali un ruolo centrale lo svolse lo Stato. È questa la tesi dei principali storici dell’economia e dei più influenti economisti: tra gli altri, Augusto Graziani, nelle pagine del suo libro Lo sviluppo dell’economia italiana, ha spiegato che l’intervento statale fu imprescindibile per provare a sanare gli squilibri che segnavano il corso economico della penisola fin dalla conclusione della Seconda guerra mondiale.

A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana. Dalla ricostruzione alla moneta unica, Bollati Boringhieri, Torino, 1998, pp. 33-55.

Documento tratto dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
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di conseguenza, per riflettere di libertà, di come si possano avere un’idea, una convinzione ferrea e una fede senza rinunciare al dubbio, al rispetto del pensiero altrui e alla possibilità del confronto (Piero Ricca, 12 marzo)? Nel quadro delle reazioni al varo delle leggi razziali nell’Italia del 1938, Giuseppe Di Vittorio pose l’accento su un problema, estremamente delicato e ovviamente omesso dal legislatore fascista: quell’atto arbitrario e discriminatorio poneva al di fuori della legge oltre cinquantamila cittadini italiani, che non erano stati protetti nemmeno dal re, il quale “dimenticato che lui e la sua famiglia riscuotono decine di milioni all’anno dal popolo italiano affamato, per il titolo di guardiano della Costituzione italiana”.

Articolo di Di Vittorio, ripreso da G. Di Vittorio, Un giornale del popolo al servizio del popolo: tutti gli articoli pubblicati in Francia su La voce degli italiani (1937-1939), Ediesse, Roma, 2017.

Documento tratto dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
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gestire le radicalità che emergono nei territori così da incanalare i conflitti all’interno di proposte politiche (Luigi Manconi e Gianfranco Manfredi, 21 marzo)? Nel celebre scritto di Guido Viale Contro l’università, che è qui riproposto integralmente, viene posto l’accento sulla struttura sostanzialmente classista dell’università italiana negli anni Sessanta, anni segnati, per inverso, dalla crescita sempre più evidente degli iscritti ai corsi di laurea (dai 212.000 del biennio 1956-1957 ai 425.000 di dieci anni dopo). Quelle pressioni trovarono delle risposte, seppur disorganiche, nella riforma del 1969, la “legge Codignola”, che liberalizzò l’accesso alle facoltà universitarie (fu possibile iscriversi a qualsiasi corso con qualsiasi diploma ottenuto dopo un corso di studi di cinque anni), senza comunque prevedere l’implementazione degli spazi.

Abbiamo pensato che fosse necessario ascoltare storie di altro tipo e di dare a quelle storie la possibilità di “fare un giro di tavolo” per non rimanere storie «private», ma diventare storie condivise. Ovvero perché possano diventare un patrimonio collettivo, pubblico.

Probabilmente, in altri tempi non avremmo fatto questa scelta, ma si vive nei tempi che ci è dato vivere e, senza avere una visione deterministica – come se alla quotidianità non ci fosse alternativa – noi pensiamo che un’alternativa ci sia, sempre; e pensiamo che ascoltare come si percorrono quelle strade attraverso le quali l’esperienza della alternativa, del pensare altro si fa largo, pur con fatica, costituisca una delle funzioni proprie del proporre riflessione civile.

È probabile che alcuni identifichino queste figure nella dimensione eroica, sia nella sua versione angelica che in quella luciferina, a seconda che le sentano vicine alle loro scelte o pensino che la loro vita sia esattamente il contrario di quella che perseguono o che auspicano di vivere.

Noi abbiamo pensato che queste storie «laiche» – appunto da «eroi del lunedì», che non vanno alla ricerca di medaglie e sono storie (spesso) controcorrente – siano uno strumento per pensare diversamente in questo nostro tempo.

Perché? Perché noi viviamo in un tempo in cui la paura è tornata a essere un attore fondamentale nei modi di pensare, di agire, di parlare. Una paura che si origina anche da una condizione di solitudine degli individui, in un tempo in cui le forme della partecipazione pubblica stentano a trovare lo spazio dove manifestarsi.

Iniziata come istanza e come atto liberatorio alla fine degli anni’80, col fine di tornare a essere protagonisti e non farsi depredare dalla politica, a trent’anni dall’onda che ha travolto i partiti politici di massa ci troviamo a vivere in un contesto politico in cui il rapporto con il capo politico non avviene in forma di confidenza, ma in regime di reverenza, come affidamento. Anche per questo ha un senso ascoltare storie di «brava gente». Per sapere che alla paura si risponde non affidandosi, e nemmeno proponendosi come capipopolo, ma come esperienze di libertà; non perdendo gli altri due vertici del progetto ’89, l’eguaglianza e la fraternità.

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