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Se accostassimo la piazza del primo V-Day bolognese del 2007, o quella della chiusura della campagna elettorale del 2013 nella piazza San Giovanni storicamente associata alle mobilitazioni della sinistra, con quella della manifestazione del 15 febbraio 2020 contro i vitalizi, forse faticheremmo a riconoscere che si tratta di una piazza occupata dallo stesso Movimento 5 stelle. Troveremmo, sì, la retorica anti-casta, i cartelloni e i cori che inneggiano all’onestà, ma in un contesto completamente mutato.
Il Movimento 5 stelle nei suoi dieci anni di vita ha subìto, infatti, molte e importanti trasformazioni. Non solo dal punto di vista elettorale, ma anche della geografia dei suoi consensi, dell’organizzazione e della comunicazione. Da piccolo partito di protesta, radicato soprattutto nel centro-nord e nelle aree dove erano particolarmente sentiti conflitti locali ambientali rappresentati da movimenti sociali come il No Tav, No Gronda, No Dal Molin, No Muos, No Ponte, No Tap, No Ilva, a partire dallo straordinario successo alle elezioni politiche del 2013 il sostegno al M5s è diventato trasversale, sia per quanto riguarda la geografia elettorale che per la provenienza politica degli elettori. Successivamente, a partire dal 2014 ma soprattutto dal 2018, il baricentro del Movimento si è progressivamente spostato verso sud, e questo anche in ragione di alcune policies come il Reddito di cittadinanza.
Dal punto di vista comunicativo, dalla fondazione al 2013 Grillo ha rappresentato l’unico volto noto del Movimento, anche se ciò non gli impediva di opporsi, almeno a parole, a qualsiasi forma di personalizzazione. Tuttavia, nel corso del tempo, i parlamentari – e in generale gli eletti – hanno guadagnato sempre più visibilità. Il fatto che la piazza del 15 febbraio fosse popolata di deputati e senatori applauditi come star lo testimonia. Sembrano lontanissimi i tempi in cui era vietato ai rappresentanti del M5s partecipare a programmi televisivi, o in cui era proibito mostrare il volto del candidato sui manifesti, in campagna elettorale.
Dal punto di vista organizzativo, invece, se in un primo momento il M5s era composto solo dal leader, dagli eletti e dagli iscritti registrati sulla piattaforma, nell’assenza di strutture intermedie di qualsiasi tipo, sostituite dalla rete, nel corso degli anni la struttura organizzativa del Movimento si è fatta più complessa. Lo statuto del 2017 attribuisce una forma quasi partitica al M5s, e le ultime innovazioni come il “Team del futuro” e i facilitatori regionali testimoniano una volontà di strutturazione e di radicamento sui territori in un primo momento impensabile.
Sappiamo che per tutti i partiti nuovi il passaggio della soglia di governo è una fase cruciale e completamente nuova del loro ciclo di vita. Da una parte, lo scontro con la realtà dei vincoli amministrativi e il ridimensionamento delle promesse elettorali possono portare a una perdita di consensi; dall’altra, sedere al governo permette di ottenere maggiore visibilità e, naturalmente, di influenzare le politiche pubbliche. Alcuni studi su partiti populisti al potere hanno dimostrato che una perdita di consenso alle successive elezioni non è inevitabile, e che questi partiti possono riuscire a portare avanti le loro policies senza scontentare la base. Altri studi, invece, evidenziano che i nuovi partiti quando si istituzionalizzano subiscono un ammorbidimento del loro profilo ideologico.
Quello che abbiamo osservato durante i primi due anni al governo del M5s è un ammorbidimento delle proposte più radicali e la rottura di alcuni tabù, tra cui il più importante è senza dubbio quello che riguarda le alleanze con altre forze politiche, che lo aveva caratterizzato sin dalla sua fondazione. Ma cambi di posizione sono avvenuti anche riguardo ad alcuni investimenti infrastrutturali, come per il Tap, l’Ilva, la Tav. Retromarce che hanno contribuito ad allontanare il Movimento dal suo elettorato di riferimento delle origini. Ma, in generale, nel caso del Movimento 5 stelle l’esperienza di governo non sembra aver giovato ai suoi consensi e alla soddisfazione della sua base, o alla “fedeltà” dei suoi eletti.
In questa cornice possiamo leggere la manifestazione del Movimento 5 stelle del 15 febbraio 2020 contro i vitalizi, una misura promossa proprio dal M5s, che attualmente viene ridiscussa in commissione in Senato. In questo contesto, quello della lotta contro i vitalizi appare un pretesto per provare a rilanciare alcuni miti fondativi del Movimento, come la mobilitazione di piazza e la lotta ai privilegi della politica. Ma, come detto, lo scenario è cambiato. Non solo quello interno al M5s, con le trasformazioni e lo scontro con le responsabilità di governo di cui abbiamo parlato, ma anche quello esterno. Le Sardine, il movimento di piazza nato proprio a Bologna nel novembre 2019, sembrano occupare – con tutti i dovuti distinguo, primo tra tutti l’assenza di un leader carismatico come Grillo e di un progetto politico come quello di Gianroberto Casaleggio alle spalle – quello spazio di protesta e di mobilitazione civile che il Movimento aveva saputo capitalizzare agli inizi.
È forse accostando la piazza bolognese del V-Day del 2007 con quella delle 6000 Sardine del 2019 che le somiglianze si fanno più marcate. Resta da verificare se le Sardine seguiranno lo stesso percorso del Movimento.