L’Italia della crisi appare come un paese a metà tra l’inerzia e la guerra tra poveri: da una parte, l’accettazione supina e fatalista di politiche di risposta alla crisi improntate all’austerità, allo smantellamento di beni e servizi pubblici, al livellamento verso il basso di aspettative, diritti e opportunità; dall’altra, una miscela esplosiva di rabbia e risentimento pronta a essere scaricata sui capri espiatori più svariati, dai migranti alle minoranze, ai complotti dell’élite globalista in nome di un «cambiamento» senza aggettivi. Se guardiamo al dibattito politico quotidiano e ai risultati elettorali, non c’è dubbio che le risposte collettive alla crisi, in Italia, siano consistite fondamentalmente nell’adesione ai dogmi del neoliberismo e dell’austerità, a cui tutti i governi dell’ultimo decennio si sono più o meno scrupolosamente attenuti, creando uno schieramento trasversale, e nel sostegno popolare crescente alle alternative populiste a questo schieramento, comprese quelle esplicitamente sovraniste e razziste.
Eppure, non è tutto qui. L’idea alla base del nostro libro Resistere alla crisi: i percorsi dell’azione sociale diretta (Il Mulino) è che, scegliendo di guardare in basso, si possano vedere forme di resistenza alla crisi, all’austerità e al neoliberismo che raramente emergono sulla scena pubblica, ma che incrociano l’esistenza quotidiana di milioni di persone. Abbiamo scelto di concentrarci sull’azione sociale diretta non perché riteniamo che sia la risposta prevalente alla crisi in Italia, ma perché riteniamo che sia quella meno raccontata, analizzata e potenzialmente più interessante. Si tratta di un campo di attori vasto ed eterogeneo, dalle grandi organizzazioni sociali alle occupazioni abitative, dai gruppi di acquisto solidale alle fabbriche recuperate, dai centri sociali alle associazioni dei produttori agricoli, passando per i circoli culturali e le sperimentazioni di welfare dal basso.
Attori collettivi che provengono da contesti diversi e che hanno identità e obiettivi molto differenti, ma che nella crisi utilizzano, tra le altre, pratiche simili, quelle che nel volume identifichiamo all’interno dell’azione sociale diretta. Sono forme di azione collettiva che hanno l’obiettivo di cambiare la società nel suo insieme o un suo aspetto specifico attraverso l’azione stessa invece che rivolgendosi in termini rivendicativi o conflittuali verso le autorità statali o altri detentori di potere. Si tratta di forme di azione che spesso non vengono analizzate nel loro portato politico e che tendono in generale a essere poco visibili, ma che in questo contesto assumono una particolare rilevanza: le attività culturali alternative, il consumo critico, il mutuo soccorso e la finanza alternativa, la formazione e l’istruzione, la distribuzione di cibo, le occupazioni abitative, la produzione e il lavoro, i servizi sanitari e di welfare, la solidarietà per le emergenze e quella per i migranti, gli sport popolari, gli sportelli legali, finanziari e del lavoro, e tutte le pratiche che condividono l’interesse prioritario per la società piuttosto che per lo stato e operano per il cambiamento diretto anziché per l’espressione di rivendicazioni.
In un contesto di crisi che non è solo economica ma anche sociale e politica, e che si inserisce in tendenze di lungo periodo, dal declino economico-produttivo italiano nell’epoca postfordista, alla disgregazione sociale e alla crescente delegittimazione delle strutture collettive della rappresentanza politica, l’azione collettiva non sparisce, ma cambia forma, si manifesta in pratiche diverse e in diversi significati dati alla stessa forma d’azione da diversi attori collettivi. La nostra analisi mostra come diversi attori collettivi in Italia, nel tempo della crisi, hanno incontrato l’azione sociale diretta, come questo incontro è stato influenzato dal contesto di crisi economica, sociale e politica, dalle caratteristiche degli attori collettivi stessi, dai loro tratti ideologici e identitari. Abbiamo identificato quattro percorsi che gli attori seguono: sociale, politico-sociale, sociale-politico e politico, cioè sequenze processuali di scelte strategiche che caratterizzano in maniera simile attori collettivi diversi.
Indipendentemente dal percorso scelto, tre fenomeni caratterizzano in generale gli attori collettivi che scelgono l’azione sociale diretta nell’Italia della crisi: la rimaterializzazione dell’azione collettiva, la sua riterritorializzazione e il riposizionamento dell’individuo nella sfera pubblica. L’azione sociale diretta, partendo dal vissuto quotidiano dei cittadini, è strutturata come risposta concreta e immediata a un bisogno materiale. Nell’ormai lungo processo d’individualizzazione e frammentazione della società contemporanea, questa forma d’azione riposiziona gli individui nella sfera collettiva, ossia nella partecipazione politica. Lo fa valorizzando la dimensione emancipatrice individuale attraverso una partecipazione pragmatica che permette allo stesso tempo di costruire liberamente e creativamente nuove aggregazioni collettive senza dover subordinare le aspirazioni e gli interessi personali in nome della solidarietà con determinati gruppi sociali. Le dinamiche di rimaterializzazione e riterritorializzazione dell’azione collettiva, e di riposizionamento dell’individuo nella sfera collettiva indicano linee di tendenza di una nuova politicizzazione. Nell’epoca della crisi, a essere resiliente, più che la società, è l’azione collettiva stessa: in tempi di depoliticizzazione e disgregazione sociale, essa non sparisce, bensì tende a mutare e ad adattarsi, dando vita a pratiche dell’azione sociale diretta come quelle analizzate nel nostro lavoro.