Università di Firenze
Università degli Studi di Milano

Dalla metà degli anni ’90 le scienze sociali hanno dedicato una crescente attenzione ai fattori che favoriscono la crescita economica da un lato e la coesione sociale dall’altro. Tale attenzione è ulteriormente cresciuta dopo la crisi economica e finanziaria del 2007/08, di pari passo con la ripresa dell’azione dei governi dei paesi avanzati a difesa delle economie nazionali.

Questo ampio insieme di studi ha mostrato come le realtà più dinamiche siano quelle che hanno seguito la via alta dello sviluppo, caratterizzata da qualità, flessibilità e innovazione. È anche stato evidenziato come un ruolo particolarmente importante in questo tipo di assetto sia giocato dai settori della creatività, che hanno ricevuto un forte impulso dai processi di digitalizzazione e di innovazione tecnologica.

Da questo punto di vista, ci sono due aspetti centrali che richiedono un adeguato approfondimento. Il primo è dato dall’analisi delle condizioni istituzionali che favoriscono lo sviluppo dei settori creativi: è infatti importante chiedersi quali sono gli ambiti di policy che favoriscono lo sviluppo di tali attività e quali gli specifici strumenti di policy che possono essere utilizzati per promuovere di tali settori. Il secondo aspetto è invece legato alle caratteristiche del lavoro all’interno dei settori creativi: spesso, infatti, i lavoratori all’interno di questi settori sono tanto strategici quanto vulnerabili, con il paradosso che settori chiave per la competitività economica si portano dietro lo sviluppo di nuove forme di diseguaglianza e nuovi rischi sociali.

 

Per quanto riguarda il primo punto, lo sviluppo dei settori creativi ha due prerequisiti importanti, ovvero forti investimenti in capitale umano da un lato e in innovazione dall’altro. L’ampia disponibilità di capitale umano e di innovazione tecnologica contribuiscono a dar vita a un contesto istituzionale dove la creatività si sposa con la competitività economica. Questo è quanto hanno mostrato già durante gli anni ’90 Paul Romer and Robert Lucas, quando hanno evidenziato come l’innovazione – e la creatività –  siano direttamente collegate al capitale umano e alle competenze dei lavoratori, mentre alcuni anni dopo, Robert Barro ha mostrato un legame diretto tra il livello di scolarizzazione e la crescita economica soprattutto nell’ambito delle attività dell’innovazione.

Lavori più recenti hanno spiegato il differenziale di prosperità tra i vari paesi con la diversa disponibilità del cosiddetto knowledge capital misurato tramite una valutazione delle competenze scientifiche. Allo stesso tempo una ampia letteratura ha sottolineato l’importanza delle politiche per l’innovazione. Studi sui paesi del nord Europa, ad esempio, mostrano che il massiccio investimento dello Stato per promuovere le capacità innovative delle imprese ha promosso lo sviluppo di sperimentazione e creatività diffusa in ambito economico.

Investimenti in capitale umano e in innovazione sono quindi due importanti pilastri a sostegno dello sviluppo dei settori creativi. Ma non è sufficiente guardare a quanto si investe in questi due settori ma anche nello specifico a quali strumenti di policy possono essere utilizzati. In particolare, per quanto riguarda il capitale umano, è utile chiedersi se lo sviluppo dei settori creativi è più direttamente associato al livello di scolarizzazione oppure alla qualità della formazione. In altre parole, i paesi che hanno una elevata crescita di tali settori sono caratterizzati da politiche che hanno favorito quello che viene definito come human capital broadening, ovvero l’aumento della scolarizzazione, oppure da politiche mirate ad aumentare la qualità dell’offerta formativa? E per quanto riguarda l’innovazione, lo sviluppo di questi settori è più associato a politiche finalizzate alla produzione di beni di contesto e al sostegno alle connessioni e alla contaminazione – tra pubblico/pubblico, pubblico/privato e privato/privato – oppure a interventi più mirati a promuovere l’innovazione all’interno delle singole imprese come ad esempio gli incentivi fiscali o i finanziamenti diretti e automatici?

Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello relativo alla qualità e alla rappresentanza del lavoro creativo, il dibattito pubblico sul lavoro creativo è stato fortemente influenzato dalle narrazioni sulla “nuova classe creativa”, che sarebbe composta da soggetti mobili, autonomi ed entusiasti del loro lavoro, con solide reti professionali, in grado di definire le proprie condizioni di lavoro al di fuori delle tradizionali forme di impiego.

Tuttavia, la letteratura sul lavoro creativo ha evidenziato le ambivalenze e le tensioni che caratterizzano il lavoro in questi settori. Da un lato, il lavoro creativo risulta caratterizzato da un forte investimento soggettivo e da un forte attaccamento al lavoro. Dall’altro, è stato evidenziato come nei settori creativi le condizioni di lavoro siano spesso precarie e insicure, caratterizzate da retribuzioni basse e una significativa diffusione di lavoro gratuito; orari di lavoro lunghi e imprevedibili, con frequenti periodi di straordinario, spesso non pagati, in particolare durante i cosiddetti crunch times (le fasi finali dei progetti); forte insicurezza occupazionale. È stato inoltre evidenziato come i mercati del lavoro dei settori creativi siano spesso fortemente competitivi, caratterizzati dalla significativa presenza di lavoro non-standard, spesso autonomo, e da carriere “portfolio”, segnate dal motto “you are just as good as your last work”. In queste condizioni, il confine tra lavoro e vita privata si fa più sfumato: il tempo di lavoro «invade» la sfera privata, anche a causa dell’importanza delle public relations e della cura delle reti professionali, in quella che McRobbie ha definito clubbing culture, che rende, appunto, indistinguibile lavoro e non lavoro.

La letteratura ha evidenziato diverse strategie per gestire questa ambiguità: per quanto riguarda la rappresentanza degli interessi nei settori creativi, si possono identificare due filoni di studi. Uno si concentra sulla “domanda di rappresentanza”, ossia sulla propensione dei lavoratori creativi all’azione collettiva. Questo filone evidenzia come la motivazione individuale a svolgere un lavoro cui si è appassionati e che garantisce autonomia creativa induca a un certo «fatalismo» rispetto alle condizioni in cui questo lavoro è svolto, anche se sfavorevoli, cosa che indebolisce la propensione ad agire collettivamente. Molti autori hanno inoltre sottolineato la presenza di una tensione tra obiettivi artistici ed economici che caratterizzerebbe molte occupazioni creative e che si tradurrebbe in una “tensione tra appartenenza sindacale e aspirazione alla carriera”. Tuttavia, la ricerca ha anche rivelato esperienze positive di organizzazione, evidenziando casi in cui i lavoratori creativi si sono mobilitati con. Questi lavori suggeriscono cautela nell’idea che il lavoro creativo sia intrinsecamente individualistico e ostile all’azione collettiva e sottolineano come ci sia una discrasia fra le modalità di azione delle tradizionali organizzazioni di rappresentanza del lavoro e la visione del lavoro tipica dei lavoratori creativi. Il secondo ambito di indagine ha invece a che vedere con l’«offerta» di rappresentanza e, in particolare, con le strategie messe in atto da sindacati e altri attori collettivi per organizzare i lavoratori di questi settori. Due sono gli aspetti che sono messi in risalto. In primo luogo, la difficoltà per i sindacati di rappresentare una forza lavoro frammentata e diversificata e le implicazioni che questa difficoltà ha sul loro approccio strategico alla rappresentanza. Vari studi hanno evidenziato come, per fare fronte a richieste di rappresentanza diverse da quelle dei lavoratori tradizionalmente rappresentati dai sindacati, questi ultimi abbiano sviluppato nuove modalità di azione, ponendo un’attenzione particolare ai servizi. In secondo luogo, è stato rilevato un ruolo crescente di nuovi attori della rappresentanza, cui talvolta ci si riferisce come “quasi-sindacati” o, anche, “protosindacati”.  La tesi emergente è che esse abbiano alcune caratteristiche comuni (membership «liquida» e informale, struttura non gerarchica, focus sulla professione) che le mettono maggiormente in sintonia con i lavoratori al di fuori delle roccaforti dei sindacati tradizionali.

Riflettere su questi due aspetti, le condizioni istituzionali che favoriscono lo sviluppo dei settori creativi e le caratteristiche del lavoro e della rappresentanza in tali settori, può offrire importanti spunti per capire come promuovere un modello di sviluppo di tali settori che sia allo stesso tempo efficace in termini di competitività economica e sostenibile dal punto di vista sociale, o in altre parole, dare indicazioni importanti per promuovere la crescita di un settore forte senza però creare lavoro debole.

Condividi
La Fondazione ti consiglia
pagina 70367\