L’articolo qui riprodotto fa parte della rassegna Una svolta “dal basso” nel cuore dell’Europa: la Friedliche Revolution, la Germania verso la caduta del muro di Berlino
Nelle sue Sei lezioni sulla storia, Edward Carr paragonava il corso della storia a un corteo in cammino in cui si muove anche lo storico, una figura oscura tra le tante che arranca in questo o in quel settore. Si tratta di una metafora potente, che talvolta cessa di essere tale e si fa materia viva, incandescente: ciò accade quando la manifestazione, il corteo, anzi le manifestazioni, i cortei, entrano prepotentemente nella storia, si fanno storia, innestandosi e relazionandosi con complesse dinamiche politiche, economiche e sociali globali, con esiti sorprendenti.
Gli eventi della cosiddetta Friedliche Revolution che portano alla fine della Repubblica democratica tedesca (RDT) e alla conseguente riunificazione della Germania sono stati oggetto di numerosi studi da parte di storici e scienziati sociali. Le prime messe a punto collettive da parte della comunità scientifica tedesca si collocano infatti già nella seconda metà degli anni Novanta.[1] In queste ricostruzioni, così come nelle più recenti, si rivela piuttosto difficile stabilire il momento da cui iniziare la narrazione. Quasi spontaneamente il pensiero va alla grande protesta operaia del 17 giugno 1953 che, pesantemente repressa dal Partito socialista unitario tedesco (SED) con l’ausilio delle truppe sovietiche, aveva dimostrato che non era pensabile abbattere la RDT con delle dimostrazioni di massa.[2] D’altronde, nel 1953 l’Europa era stretta dalla guerra fredda e di lì a qualche anno sarebbe iniziata quell’escalation che portò alla costruzione del Muro di Berlino, la “barriera di protezione antifascista” nella propaganda del partito comunista tedesco-orientale.
Negli anni Ottanta però tutto è diverso. Sotto l’apparente immobilità della RDT, in una società in cui le autorità esercitano un attento controllo sulle attività politiche al di fuori delle organizzazioni legate allo Stato, i media sono controllati dall’alto e il permesso di stampa è concesso solo a un’élite legata alla SED, nei decenni precedenti qualcosa ha iniziato a muoversi, dapprima impercettibilmente, poi in modo sempre più visibile. Con gli anni Sessanta, l’esplosione del movimento degli hippy e l’inizio della Contestazione, anche nella RDT germina lentamente una controcultura, compaiono i primi «capelloni» i quali si danno appuntamento provocatoriamente nei luoghi che il regime ha consacrato ai suoi eventi ufficiali, come Alexanderplatz e la Karl-Marx-Alle. Ispirati dal grande successo nella Germania federale del gruppo rock Ton Steine Scherben, anche nella parte orientale compaiono band come i Freygang, contraddistinti da una carica contestatrice e libertaria che ha un certo impatto sui giovani tedesco-orientali e che li porta a vedersi ritirare il permesso di suonare tra il 1983 e il 1985. Nello stesso frangente fa la sua apparizione anche il punk. Pur non trattandosi di sottoculture politicizzate come nell’Europa occidentale, l’esistenza stessa di queste sottoculture costituiscono in un regime come la RDT un fatto politico.[3]
Schematizzando, si potrebbe sostenere che nel corso degli anni Ottanta il movimento di protesta contro il regime comunista si struttura in tre grossi filoni. Per la diffusione delle loro idee e per il coordinamento tra i gruppi, le varie anime dell’opposizione ricorrono alle piccole edizioni clandestine sul modello dei samizadt russi. La prima corrente critica del regime è rappresentata dal movimento pacifista, impegnato nella lotta contro il servizio militare obbligatorio. Nel 1981 il parroco Christoph Wonneberger inizia una campagna per l’istituzione di un Servizio civile sociale: l’obiezione di coscienza entra perciò prepotentemente nel dibattito pubblico della Germania Est. Pochi mesi dopo, il 13 febbraio 1982 un gruppo giovanile di Dresda organizza un sit-in a Dresda per ricordare le vittime del bombardamento americano sulla città, con la partecipazione di alcune migliaia di persone.[4]
A fianco di questo movimento, si sviluppa nel corso degli anni Ottanta una sensibilità ambientalista che si manifesta nell’autunno del 1986 nell’apparizione del primo numero di “Umweltblätter”, un mensile di impronta ecologica e libertaria scritto a macchina e ciclostilato con una tiratura di qualche centinaio di copie. La pubblicazione è l’espressione della Umwelt-Bibliotehek (UB) ospitata nella cantina della Zionskirchegemeinde, una chiesa di Berlino est (il fondamentale ruolo delle Chiese non può che essere accennato in questa sede per ragioni di spazio). Altri gruppi nascono ad Halle (l’Ökologische Arbeitsgruppe Halle), a Lipsia (per es. Arbeitsgruppe Umweltschutz), a Magdeburgo e a Dresda. Il legame tra l’elemento controculturale e il movimento ambientalista si manifesta nel giugno del 1987 con il Kirchentag von Unten, un evento alla cui organizzazione prendono parte anche “Umweltblätter”, “Kopfsrpung” (un giornale anarchico che tra i suoi articoli annovera alcuni dedicati al pensiero dell’anarchico tedesco Gustav Landauer e del padre dell’ecologia sociale Murray Bookchin) e alcuni gruppi punk, che suonano davanti a più di mille persone.[5]
Il terzo importante filone nella contestazione della RDT, infine, è rappresentato dal movimento per i diritti umani, la cui violazione da parte del regime è uno dei leit motiv dei gruppi di opposizione malgrado la firma degli Accordi di Helsinki. Gli attivisti impegnati su questo terreno spesso si dedicano anche ai diritti del cosiddetto Terzo Mondo, tema piuttosto sentito nella Germania orientale.[6]
Senza le conseguenze scatenate dalla Perestroika, tuttavia, questi movimenti sarebbero probabilmente rimasti poca cosa, limitati ad una fascia piuttosto piccola della popolazione e perseguitati dalla STASI, il temibile servizio segreto della RDT, ora in modo aperto, ora in modo più sottile. Spesso la STASI preferisce infatti intimidire gli oppositori incarcerandoli per brevi periodi, sorvegliandoli strettamente (o lasciando intendere ciò), seminando dubbi sulla loro integrità con la calunnia, il tutto ricorrendo sistematicamente a una fitta rete di collaboratori informali. Inoltre, concentrandosi come abbiamo visto su temi e richieste come diritti umani e pluralismo, la maggior parte dei gruppi informali di opposizione non mette in discussione l’esistenza di due Stati tedeschi e, anzi, ambisce a un socialismo più democratico.[7]
Nel 1985 Michael Gorbachev sale al potere in Unione Sovietica e lancia le parole d’ordine di glasnost’ (trasparenza) e perestroika (ristrutturazione), ritenendo una necessità il completo ricambio dell’apparato di potere sovietico. Erich HoneCker, segretario generale della SED, le rifiuta e chiude la porta in faccia a ogni richiesta di maggiore democrazia. Nel 1986 la minimizzazione da parte dell’informazione sovietica e tedesco-orientale della catastrofe di Chernobyl non fa che aumentare la sfiducia nelle istituzioni comuniste e alimenta il movimento ambientalista. Nella notte del 25 novembre 1987 la Stasi fa irruzione negli ambienti della UB, sequestra il materiale presente e arresta cinque persone. A sorpresa viene organizzata una mobilitazione pubblica e il 29 novembre circa 600 persone si ritrovano a Berlino Est per una manifestazione di protesta. Quello che viene chiamato “Zions-affäire” ha una certa risonanza anche al di fuori della RDT.[8].
Nel gennaio 1988 la polizia compie degli arresti durante una manifestazione organizzata in memoria di Karl Liebneckt e Rosa Luxemburg. Pochi mesi dopo, in ottobre, alcuni studenti della Carl-von-Ossietzky-Schule vengono espulsi per aver stampato un giornale murale che critica la parata dell’esercito pianificata per l’anniversario della fondazione della DDR (7 ottobre), proprio mentre in Polonia sono in corso gli scioperi organizzati da Solidarnoš. In questo contesto, si aprono le prime crepe e i gruppi di opposizione iniziano a rompere l’isolamento in cui il regime li ha cacciati e ad allargare la propria influenza: il divieto di vendita nelle edicole della rivista “Sputnik” nel 1988 da parte delle autorità con l’intento di censurare le notizie sulla glasnost viene infatti inteso come l’ennesimo segnale che «il Politbüro tedesco-orientale non era in grado o non aveva la volontà di seguire l’esempio gorgaceviano»[9].
Le manipolazioni e i brogli nelle elezioni comunali del maggio 1989 provocano ulteriori proteste e persino piccole manifestazioni. In estete l’Ungheria rimuove i controlli al confine con l’Austria, dando inizio a un vero e proprio esodo di cittadini della RDT verso l’Europa occidentale (25.000 persone in poche settimane). Invece di tentare di venire a patti con una situazione in via di sgretolamento, la SED applaude la durissima repressione di Piazza Tien an Men. Il Neues Forum, movimento civico fondato nei pressi di Berlino il 9 settembre con l’adesione di diverse decine di intellettuali e di cantanti pop e rock, non si scoraggia e chiede di partecipare con le sue liste alle prossime elezioni, seguito da altri gruppi come Demokratie Jetzt e da Demokratischer Aufbruch. È in questo frangente che “l’’opposizione’ inizia a diventare opposizione”.[10]
Nell’autunno 1989 iniziano a tenersi con regolarità le cosiddette Montagsdemostration, le manifestazioni del lunedì. Inaugurate a Lipsia il 4 settembre 1989, nelle settimane seguenti si tengono analoghi cortei a Dresda, Halle, Karl-Marx-Stadt (ora Chemnitz), Plauen, Rostock, Magdeburgo, Potsdam, Schwerin e ovviamente Berlino. Il loro successo è travolgente: il 4 settembre a Lipsia si ritrovano 1.200 persone, che diventano 1.500 il 18, 8.000 il 25, 10.000 il 2 ottobre, più di 100.000 il 16 fino al mezzo milione di manifestanti del 6 novembre 1989. Le autorità della RDT non stanno però a guardare e reagiscono con la forza, come accade in alcune occasioni per esempio a Dresda, il 4 ottobre.[11]
Complice l’isolamento internazionale della DDR, la dirigenza della SED non trova di meglio da fare che destituire Honecker in favore di Egon Krenz, sperando così di salvare il sistema. I nuovi dirigenti avviano un processo di riforme interne e liberalizzano la concessione dei visti di uscita e dei permessi d’espatrio. Il 9 novembre “Umweltblätter” diviene “Telegraph”, giornale pubblicato più o meno con frequenza settimanale sempre dalla Umwelt-Bibliothek, con una tiratura iniziale di alcune migliaia di copie ed esistente tutt’oggi. Nella notte il Muro di Berlino di fatto non c’è più. Immagini famose, che scorrono ogni anno davanti ai nostri occhi, che non devono far dimenticare però i movimenti di opposizione che nelle condizioni più difficili lavorarono all’interno della RDT per tutti gli anni Ottanta, fino a uscire allo scoperto con le grandi manifestazioni pubbliche del 1989. Sullo sfondo, il corteo della storia procede ineluttabile.
[1] Klaus-Dietmar Henke, Peter Steinbach, Johannes Tuchel Böhlau (a cura di),Widerstand und Opposition in der DDR, Köln-Weimar-Wien, 1999, pp. 30-31
[2] Detlef Pollack, Die Friedliche Revolution. Strukturelle und ereignigsgeschichtliche Bedingungen des Umbruchs 1989 in der DDR, in Clemens Vollnhals (a cura di), Jahre des Umbruchs. Friedliche Revolution in der DDR und Transition in Ostmitteleuropa, Vandenhoeck&Ruprecht, Göttingen, 2011, p. 119.
[3] È la tesi di: Bernd Drücke, Zwischen Schreibtisch und Strassenschlacht? Anarchismus und libertäre Presse in Ost- und Westdeutschland, Klemm & Oelschläger, Ulm, 1998.
[4] Thomas Klein, “Frieden und Gerechtigkeit”. Die Politisierung der Unabhängigen Friedensbewegung in Ost-Berlin während der 89er Jahre, Böhlau, Köln-Weimar-Wien, 2007.
[5] Ho approfondito questo tema in: David Bernardini, Sulle tracce del movimento anarchico nella Germania Est, “Bollettino Archivio G. Pinelli”, (2016), n. 48, pp. 34-45
[6] Lo sottolinea: Ehrhart Neubert, Opposition in der DDR, Landeszentrale für politische Bildung Thüringen, Erfurt, 2009, pp. 59-61.
[7] Si veda l’efficace sintesi in: Ulrich Mählert, La DDR. Una storia breve 1949-1989, Mimesis, Milano, 2009.
[8] La vicenda è narrata nei dettagli in: Wolfgang Rüddenklau, Störenfried. DDR-Opposition 1986-1989, BasisDruck, Berlin, 1992, pp. 171-202.
[9] In Charles S. Maier, Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania est, Il Mulino, Bologna, 1999.
[10] Thomas Klein, “Frieden und Gerechtigkeit”, cit., p. 446.
[11] Si veda l’approfondimento in: Charles S. Maier, Il crollo, cit., pp. 218-235.