Il documento dell’Unione Europea sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa ha suscitato in Italia reazioni durissime da parte di persone e istituzioni che non si pensava sospette di indulgenze verso la storia dei paesi ex comunisti. Dopo decenni in cui libri come Vita e Destino di Vasilij Grossman o Prigioniera di Stalin e Hitler di Margarete Buber-Neumann sembravano passati senza reazioni a far parte della cultura politica della sinistra, a parte le sue frange più estreme e nostalgiche, ecco che si urla al sacrilegio, si grida che senza l’Unione Sovietica del “compagno Stalin” saremmo ancor oggi sotto il tallone della svastica, e via discorrendo. Tutta l’anima stalinista degli ex comunisti nostrani sembra riemersa di colpo per sostenere a spada tratta che il gulag e il lager non possono assolutamente essere paragonati.
Certo, il documento non è perfetto e poteva essere scritto meglio. Le sue valutazioni più propriamente storiche sono in alcuni punti tagliate con l’accetta. Ma non è un’analisi storica, è un documento politico in cui è evidente che molte formulazioni sono il frutto di un compromesso politico. Non solo, ma esso è stato preceduto, negli anni passati, da altri documenti che andavano in questa direzione e che non hanno suscitato reazioni analoghe, come la Dichiarazione del Parlamento europeo Sulla coscienza europea e il totalitarismo, del marzo 2009, che riconosceva comunismo e nazismo come «eredità comune» dei paesi europei. Che, dopo l’entrata dei paesi dell’Est Europa nell’Unione Europea, la memoria storica dell’Europa, uno dei cui pilastri fondamentali se non il principale era la Shoah, dovesse essere rinnovata a comprendere gli orrori del gulag e i meccanismi del totalitarismo comunista, era ovvio ed evidente a tutti.
Chi si è scandalizzato del documento UE ha sottolineato, a volte, il fatto che esso sembra dar ragione ai sovranisti, agli antisemiti, alle forze più reazionarie come sappiamo ben presenti e attive in molti paesi dell’Est, come l’Ungheria di Orban e la Polonia di Duda, dove proprio quest’anno nazionalisti di destra hanno manifestato il 27 gennaio ai cancelli di Auschwitz contrapponendo i morti polacchi a quelli ebrei. Questo è vero, ma credo che sia anche conseguenza del fatto che la memoria del comunismo è stata lasciata troppo a lungo nelle mani delle forze che vorrebbero cancellare o limitare la democrazia e i diritti delle minoranze.
Eppure, non era iniziata così. Pensiamo, nella Russia del dopo 1989, al movimento Memorial, che ha raccolto un archivio di oltre un milione di nomi delle vittime del gulag, spesso scomparse senza lasciare tracce, che ha ricostruito le loro vite e la loro morte. I membri di Memorial, i suoi dirigenti, i suoi simpatizzanti non possono certo essere definiti di destra. A tutt’oggi, nella Russia sovranista dello “zar” Putin, non dimentichiamolo già dirigente del KGB, l’associazione Memorial ha vita difficile e stenta, sottoposta a censure e angherie di ogni genere. Censure ed angherie che in Russia possono comportare conseguenze, come ben sappiamo, molto pesanti.
Ma torniamo agli anni della guerra, a quel patto Molotov Ribbentrop che tante discussioni ha suscitato per il modo in cui viene definito nel documento UE, come principale causa della guerra. Certo, anche io ritengo eccessiva la formulazione fattane. Ma ci siamo dimenticati quanti comunisti in Italia, molti di loro al carcere o al confino, sono stati bollati come eretici, isolati per essersi opposti a quella funesta alleanza? Del padre dell’Europa, Altiero Spinelli, confinato a Ponza, ed espulso dal Partito Comunista per questo? Dei dirigenti comunisti Camilla Ravera ed Umberto Terracini, che subirono la stessa sorte per essersi opposti a quel Patto? Quell’alleanza tra l’URSS e la Germania non è stata un incidente di percorso, un espediente tattico, ma un tassello importante della nostra storia del Novecento.
E ancora, ci siamo dimenticati della sorte subita, dopo quel patto, dai dirigenti del Bund polacco Henrych Erlich e Victor Alter, arrestati dai sovietici dopo il 1939 e condannati a morte, ma tenuti in prigione? Dopo l’inizio dell’operazione Barbarossa, nel 1941, furono rilasciati e fu loro consentito di organizzare un Comitato internazionale ebraico antinazista per mobilitare gli ebrei di tutto il mondo e formare negli Stati Uniti una Legione Ebraica che combattesse nelle fila dell’Armata Rossa. Due mesi dopo, però, i due scomparvero, assassinati dai sovietici. Nel 1943 Stalin inviò negli Stati Uniti a cercare appoggio contro i nazisti un secondo Comitato, diretto dall’animatore del teatro yiddish di Mosca, Solomon Mikhoels. Nel luglio del 1943, a New York una folla immensa li ascoltò. La manifestazione fu chiusa dal grande cantante nero Paul Robeson, che cantò canzoni yiddish. Ma anche i membri di questo Comitato scomparvero nella repressione voluta da Stalin, Mikhoels nel 1948, altri tredici nel 1952 in quella che è rimasta famosa come “la notte dei poeti assassinati”. Non sono che alcuni degli infiniti casi di questo genere, i più famosi.
Non possiamo lasciare in mano ai sovranisti, a Putin, agli antisemiti presenti in Polonia questa memoria, che fa parte della lotta contro il nazismo e per la libertà e la democrazia. Ma per impedirlo dobbiamo prenderci le nostre responsabilità, come i tedeschi si sono assunti quelle del nazismo. Se si ha paura delle strumentalizzazioni, allora non bisogna nascondere la testa nella sabbia ma affrontare senza rimozioni le lezioni della storia. E ben venga, anche se imperfetta, qualsiasi iniziativa in questa direzione.