Di Stefano Ballerio


1GM_artiglieria«Sia lode a Dio Che ci ha messi di fronte alla Sua ora, / ha colto la nostra giovinezza e ci ha svegliati dal sonno». L’idea che Rupert Brooke esprime in Peace, nel 1914, corrispondeva a un sentimento diffuso: che l’ora della guerra fosse l’ora della prova e del compimento per una generazione che viveva il proprio tempo come stasi e frustrazione. Sulla «Voce», nel settembre del 1914, Giuseppe Prezzolini commentava con queste parole la notizia che l’Italia non sarebbe entrata in guerra: «Si troverà in questo tempo o più tardi l’attimo che ci permetta questa prova? Mentre scriviamo temiamo che esso sia perduto, che non torni più, che vivremo tutta la vita con questa disillusione, amareggiati e sfiduciati» (La guerra tradita). L’ora della guerra è dunque l’ora decisiva per una generazione e assume un senso morale o esistenziale, ma insieme appare come l’ora del compiersi o del mancare della nazione. Lo stesso Prezzolini, il mese prima, aveva scritto: «Fummo, finora, una nazione aspirante al grado di grande. Oggi non si tratta neppur di questo ma di ben altro: si tratta di sapere se siamo una nazione»(Facciamo la guerra). E Cesare Battistievidenza_storia intitola Ora o mai! il proprio libello irredentista di ottobre: ora o mai il Trentino sarà redento e tornerà alla nazione italiana. Così il sentimento di un momento decisivo e l’impulso ad agire di una generazione potevano essere sfruttati dalle retoriche nazionaliste: «Oggi sta su la patria un giorno di porpora», disse D’Annunzio a Quarto, di sotto la statua dei Mille,e «se mai le pietre gridarono nei sogni dei profeti, ben questo bronzo oggi grida e comanda».Verrà poi un’altra stasi, nelle trincee dentro le quali anche quei giovani che avevano creduto in un’ora decisiva finiranno sepolti per anni o per sempre. «Un breve soggiorno al reggimento – racconta Ernst Jüngernelle prime pagine di Nelle tempeste d’acciaio(1920) – era stato sufficiente a guarirci del tutto dalle vecchie illusioni. In luogo dei pericoli sperati, avevamo trovato il fango, la fatica, le notti di veglia, tutti i mali la cui sopportazione esigeva un eroismo poco confacente alla nostra natura».

Stefano Ballerio
Ricercatore del progetto “La Grande Trasformazione 1914-1918”