Università di Trento

Nelle città europee, che ancora soffrono dell’onda lunga della crisi delle economie tradizionali di tipo fordista, amplificata dai più recenti effetti della grande recessione di scala globale di inizio millennio, l’attributo della cultura come risorsa emerge come una sorta di denominatore comune nella prefigurazione di nuove (rinnovate) possibili economie urbane che orientino le trasformazioni della città, rispondendo al contempo ai diversi e più complessi bisogni dell’abitare, che concorrono alla definizione della questione urbana e ne informano l’agenda.
Esaurita già da qualche decennio l’incidenza effettiva della capacità attuativa del soggetto pubblico nelle trasformazioni urbane, e indebolito il ruolo del mecenatismo pubblico, il patrimonio culturale, materiale e immateriale, si fa teatro di nuove dinamiche e scenari, che riconfigurano il nesso tra offerta culturale (in senso lato) e dimensione urbana.
La tassonomia dell’elemento “culturale” entro queste dinamiche è molteplice e interessa materiali e attività di natura molto diversa, riguardando sia la natura di certi luoghi che le finalità di certi progetti. Correndo il rischio di qualche semplificazione, ovvero di qualche generalizzazione, si intende qui orientare il ragionamento su patrimoni culturali urbani, animati da attività culturali, che configurano specifiche economie delle culture e nuove competenze urbane, per provare a inquadrare questi processi, decisamente locali, entro prospettive di più ampia scala.
Le declinazioni e le scale del patrimonio culturale sono del resto esse stesse oltremodo molteplici, e sono legate alle specificità di luoghi che costituiscono in se stessi un capitale territoriale significativo, dalle città d’arte nella loro forma complessa, alle peculiarità demoetnoantropologiche locali, al patrimonio culturale e ambientale abitato o dismesso.
Il patrimonio culturale, nelle sue diverse definizioni che contemplano tanto beni materiali che dotazioni immateriali, si configura dunque come un capitale fisso sociale, a cui fanno riferimento diversi soggetti, a diverse scale.
La sua trasformazione in elemento centrale di alcune economie urbane avviene infatti mediante l’intersezione di molteplici soggettività, che rappresentano a loro volta l’esito di processi socio-culturali ed economici “postfordisti” (nei termini in primis delle forme collettive che assumono queste stesse soggettività) e attivano nuove competenze urbane.
Le nostre città sono animate da un protagonismo fertile di comunità di pratiche – dai collettivi, alle associazioni, alle cooperative, alle fondazioni – che agiscono su un sistema di luoghi, spesso dismessi, di rilevanza culturale collettiva, per attivare processi di cura verso lo stesso patrimonio ed al contempo sperimentare progetti di innovazione sociale.
Nuove economie e nuove competenze puntuali, spesso temporanee, che durano il tempo di transizione più o meno lungo da una dismissione a nuovi statuti di proprietà o d’uso (comune), o il tempo breve di un evento che investe un luogo, cercano in qualche modo di ricostruire alcuni nessi di significato tra i “contenitori” dei sistemi economici complessi della città “tradizionale” (come biblioteche, ospedali, teatri, fabbriche, etc, dove lavoravano diversi gruppi sociali) e un contenuto che oggi dà luogo a nuove produzioni.
Economie della creatività e della conoscenza sollecitano immaginari e forme di socialità, che animano progetti di produzione di beni e servizi entro esperienze molto diverse l’una dall’altra, dalla costituzione di spazi di co-working, alle sedi di produzioni locali, ai luoghi dove fruire di forme condivise di welfare urbano, e così via.
Orientandosi tra le nostre esperienze di cittadini e cittadine e mediante alcune rassegne critiche di recente edizione, è possibile senz’altro reificarne i casi su scala nazionale (a mo’ di esempio si segnalano: Sud Innovation. Patrimonio Culturale, Innovazione Sociale e Nuova Cittadinanza, a cura di S.Consiglio e A.Riitano, oppure Progetti d’Impresa Sociale come Strategie di Rigenerazione Urbana: Spazi e Metodi per l’Innovazione Sociale, di P. Cottino e F. Zandonai).
Allo stesso modo, la natura stessa degli attori in gioco è molteplice, sebbene definisca in qualche modo soggetti competenti del “fare”, makers che aggiornano le dotazioni di quell’uomo artigiano che ci ha presentato Richard Sennet, entro le forme di una partecipazione orientata dalle pratiche del fare, prevalentemente, piuttosto che dalla condivisione di altre azioni in comune.
Tali processi agiscono su diverse scale, sulle cui relazioni non è superfluo orientare l’attenzione, per comprendere e tematizzare la pluralità dei processi decisionali delle trasformazioni urbane e poter rileggere con consapevolezza alcune criticità.
L’idea stessa di città (europea) in fondo è un patrimonio culturale, con un fortissimo appeal simbolico e ideologico, che si fa allo stesso tempo dispositivo che attiva nuove competenze “dal basso” e piattaforma materiale per l’attrazione e la produzione di capitali di portata globale.
Se da un lato infatti le competenze e le capacità locali sono un punto di forza che aggiorna il paradigma dello sviluppo locale entro l’esistenza e l’evidenza di un capitale sociale che rigenera (economicamente e socialmente) “pezzi” di città, è tuttavia necessario mettere in evidenza il ruolo di tali competenze nella costruzione di immaginari e simboli su cui altri livelli delle economie della cultura agiscono.
Il rischio di politiche che acquisiscono entro le loro retoriche le esternalità positive dei processi di innovazione socio-culturale bottom up, deresponsabilizzando oltremodo l’azione pubblica, oltre che dalle iniziative, dalla visione programmaticamente olistica che le compete, il ruolo di questi processi di rigenerazione urbana nella modificazione dei valori delle aree ove agiscono, che (non troppo) alla lunga le offre al mercato con una nuova dotazione, talvolta meno accessibile per una cittadinanza ampia, sono solo alcuni dei temi di inevitabile riflessione per la responsabilizzazione sociale e politica di chi si occupa del futuro delle città.
Il Quarto Rapporto Annuale sulle Città (2019) del Centro Nazionale di Studi per le Politiche Urbane (Urban@it) si sofferma non a caso sulla necessità della governance, secondo gli indirizzi dell’Agenda Urbana, anche dei fenomeni più virtuosi delle economie urbane, entro cui quelle culturali rientrano a pieno titolo.

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