Mentre scrivo sono in corso dei pesanti bombardamenti sul nord della Siria, nella provincia di Idlib. Non voglio più parlare dei resti dei corpi dei bambini, né degli ospedali bombardati solo due giorni fa, e nemmeno delle scuole. Non mi interessa più parlare della guerra internazionale in corso nella mia terra, dal momento che ne abbiamo parlato abbastanza per anni e anni! Ora tutti sanno che la Siria è un Paese occupato da vari eserciti: russi, turchi, iraniani, americani e altri ancora. Sappiamo inoltre che la presenza del dittatore e criminale di guerra Bashar al-Assad è solo una facciata che non può cambiare di un millimetro la complessità della situazione siriana. Come romanziera, non voglio parlare in questa sede dell’estetica dell’arte narrativa, né del ruolo degli intellettuali in guerra. Quello che ora desidero raccontare è un’esperienza unica delle donne nel mondo arabo, cioè l’organizzazione Women Now, che ha iniziato ad operare prima nella Siria settentrionale e meridionale, poi nei campi profughi, perché per me è l’esperienza della resistenza pacifica che ho sperimentato per anni. Quello che voglio mettere in luce è la nostra insistenza sul fatto che siamo delle donne resistenti, non delle vittime della guerra, nonostante la situazione infernale in cui viviamo come donne nel mondo arabo, e che si riassume con la nostra lotta contro una forma complessa di violenza, che parte dalle tradizioni patriarcali e religiose della società, e non termina con la presenza di una dittatura autoritaria. La violenza è diventata troppo complicata per essere riassunta in concetti chiari, e forse ci occorrerà del tempo per districarla meglio.
Ciò che mi interessa ora è parlare di quelle donne che sono rimaste sulla linea del fronte, a cui il mondo ha smesso di guardare, mentre la guerra continua.
La mia idea di fondare Women Now aveva l’obiettivo di sopravvivere entro quelle poche condizioni umane: come possiamo costruire una scuola e una biblioteca e realizzare piccoli progetti economici per le donne? Come possiamo fornire ai bambini cibo, acqua e istruzione, mentre i caccia sorvolano le loro case e li bombardano? Non dobbiamo dimenticare che al bombardamento condotto dai caccia russi o siriani del regime di Assad, hanno fatto da contraltare, un anno dopo l’inizio della rivoluzione, le brigate islamiche radicali che hanno imposto alle donne nuove leggi, oltre a quelle ingiuste già presenti nella società araba. Una violenza veniva dal cielo sotto forma di bombe e missili che uccidevano le persone e distruggevano la pietra, e un’altra violenza veniva dagli estremisti. Poi sono giunte le leggi della guerra con il loro carico di caos e lavoro mercenario, per stroncare ogni speranza di vedere una coesione sociale. Le donne pagavano per prime il prezzo di questo crollo e rovina. Ad esempio, si è diffuso il matrimonio precoce. Quando ho fondato questa organizzazione ho pensato a come possiamo mantenere, all’interno di questa complessa situazione, dei focolai di società civile, al fine di garantire alle donne e bambini delle generazioni future un contatto con la vita, e la possibilità per le donne di imparare e di insegnare ai loro figli, mentre gli uomini combattono e fanno la guerra!
Le donne andavano ogni giorno sotto i bombardamenti per completare i corsi di istruzione, assistenza e insegnamento, nonostante le vessazioni delle formazioni jihadiste. Hanno così stabilito una rete politica e una rete di solidarietà con altri gruppi di donne in tutta la Siria tramite Internet. Hanno quindi realizzato dei cortometraggi e documentato i massacri inviando i loro rapporti agli organismi internazionali per dare testimonianza delle gravi violazioni contro i civili. Hanno raccontato le loro storie, di come garantiscono il cibo e il lavoro, e altri dettagli della vita quotidiana, e le hanno pubblicate. Questi dettagli potrebbero non interessare a nessuno, ma sono loro che fanno la vita. Sfollate dalle loro case e vagando sotto le stelle, le donne scappavano con i figli al momento del bombardamento, ma quando cessava, tornavano e ricostruivano, affamate ed esauste, ma sempre determinate.
I libri che discutevano nel corso di sessioni di dialogo o leggevano sotto i bombardamenti, le hanno spronate ad andare avanti. Le reti di sostegno psicologico via Skype, e attraverso gli incontri che proseguono tuttora, non si sono fermate con le vittime di abusi sessuali, le donne violentate o scarcerate. Loro stavano cercando di salvare la vita, ed erano l’altra faccia della guerra, quella che molta gente spesso non vede. Lottavano contro le tradizioni patriarcali che impediscono loro di uscire di casa oppure di sposarsi per essere protette da un uomo.
Le donne non si sono limitate a fare questo, ma hanno creato reti ancora più ampie con altre comunità per promuovere delle campagne in Europa al fine di difendere i detenuti nelle carceri del regime di Assad e delle formazioni jihadiste. Poi hanno avuto il coraggio di raccontare in prima persona le loro storie di stupro e carcerazione, sebbene la società discrimini la donna violentata e la consideri complice del crimine subito, e per questo subisce altre forme di violenza e di ostracismo sociale.
Proprio oggi, il 5 maggio 2019, una donna che vive tuttora in un paesino della provincia di Idlib ha scritto che non pensa più. La morte sta in ogni morte. La polvere degli obici impedisce la vista, e lei non vuole una vittima né un’immagine mediatica. Ha scritto questo sapendo che potrebbe morire il momento successivo, ma non ha smesso di esprimersi, né di portare la voce dei pochi sopravvissuti tra gli sfollati civili.
Si tratta di un piccolo dettaglio della storia della resistenza pacifica in Siria. Un piccolo dettaglio che dice che il sogno dei siriani, di avere un giorno la dignità, la libertà e la democrazia, è stato un diritto legittimo e umano, considerato dall’altro mondo una questione complessa. Semplicemente, è la questione della libertà che si è trasformata, a causa della complicità internazionale, in una guerra infernale che divora senza tregua la vita dei civili. E continua a farlo!