Ricercatrice del progetto Storie di vite
Università di Milano-Bicocca

La dimensione estetica e sensoriale del cibo è cultura, nel senso in cui l’antropologia culturale la intende: cultura (o meglio culture) come quell’insieme di modelli, pratiche e concezioni trasmesse e condivise socialmente, che accomunano individui, e collettività. Anche gusti e disgusti ne sono l’espressione: essi tracciano infatti frontiere, sanciscono esclusioni, definiscono appartenenze e consentono, all’interno di ciascun gruppo, di discriminare, distinguere e gerarchizzare, in termini di buono e cattivo gusto.

Di questo si è discusso venerdì 27 marzo, nel workshop internazionale “Estetiche del cibo e culture dei sensi” – presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, – promosso nell’ambito del progetto Laboratorio Expo-Fondazione Feltrinelli, percorso “Antropologia: cultura del cibo energia per vivere assieme”.

Antropologi, semiologi e filosofi hanno mostrato, attraverso testimonianze di ricerca, come quel che effettivamente si mangia, in un luogo o in altro, oggi come nel passato, si lega alle situazioni, alla disponibilità di accesso alle risorse, alle mode, alle scelte e alle necessità individuali e collettive. Come afferma IvanBargna, antropologo, coordinatore del convegno: “I gusti, le preferenze e avversioni alimentari, sono continuamente attraversate da cambiamenti lenti o veloci, effimeri o duraturi, che risentono sia della storia evolutiva della specie che dell’ultimo lancio pubblicitario”.

Da un lato oggi si moltiplicano i prodotti standardizzati, che sembrano condurre a una semplificazione dei gusti, dall’altro si recuperano ‘tradizioni’ e cucine locali, come forme di memoria collettiva, di rapporto col territorio. La relazione di Jean-Pierre Poulain discute come due codici alimentari storicamente opposti, come cucina  e gastronomia, si sono trasformati e (con)fusi nel tempo, portando come caso di studio il processo odierno di gastronomizzazione della cucina regionale francese. Se questo avviene soprattutto a seguito dell’ascesa dell’economia del turismo nel secolo scorso, e della mercificazione delle identità locali, anche alimentari, le differenze gustative demarcano anche forme di percezione micro-locale, producendo conflitti e forme di reciproca stigmatizzazione. È quel che mostra Christian Bromberger parlando di cucina, esperienze sensoriali e differenziazioni regionali nel nord dell’Iran. Alessandro Gusmann mostra, attraverso un’esperienza di ricerca tra Uganda e Tanzania, come ogni società attribuisce etichette sensoriali di buono o cattivo gusto: paesaggi sensoriali connessi ai diversi gruppi nazionali, che spesso divengono categorie morali, al punto che ciò che non piace viene automaticamente valutato anche come ‘cattivo’. Aïda Kanafani-Zahar e Simona Stano, da parte loro, sottolineano come la questione della diversità culturale dei gusti debba essere pensata in relazione alla formazione di gusti trans-etnici e trans-nazionali, che si generano da rapporti di scambio, da processi di diffusione e appropriazione di certi piatti e alimenti al di fuori del luogo di origine.

Da una società centrata sul tempo lavorativo, il risparmio e la rinuncia, siamo passati a una che enfatizza il consumo, il tempo libero, la dimensione gustativa e sensoriale. Olivier Wathelet analizza la creazione e l’impiego degli apparecchi tecnologici in cucina, portando come esempio alcuniprogetti di innovazione destinati al mercato francese e internazionale. Se essi facilitino o riducano l’esperienza sensoriale e le competenze, è questionedibattuta; di certo, essitrasformano sensorialità e relazioni sociali degli utenti nel quotidiano.

Divertimento, bellezza e gratificazione sensoriale divengono l’oggetto di un consumo di massa. Thomas Csordas esplora cosa diventa il cibo quando, slegato dalle sue proprietà nutritive, diviene altro, si fa metafora, entrando appunto nella dimensione estetica. In tal senso, il connubio fra arte e cibo appare sempre più forte, allentando i confini che distinguono l’arte culinaria dall’arte degli artisti, tema che verrà affrontato, con prospettive diverse, da Nicola Perullo e Gianni Emilio Simonetti, quest’ultimo analizzando il rapporto tra commensalitàe performance.

La trasformazione della sensorialità e dei valori gustativi che caratterizza il nostro tempo,non dipende soltanto dalla semplificazione dei sapori – a seguito dell’avvento dell’industria agro-alimentare –, ma anchedallo smarrimento della loro dimensione simbolica: un impoverimento che paradossalmente deriva dalla moltiplicazione delle possibilità di assaporare cibi prima inaccessibili, la cui vita sociale resta tuttavia preclusa e ignota ai loro fruitori. Scopo di questo incontro è quello di offrire un’occasione di approfondimento della complessità culturale che ordisce percezioni, sensorialità e valori gustativi nelle diverse società e contesti intorno al cibo.

Ivan Bargna – Michela Badii

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