Qui di seguito un estratto del libro di J.W. Moore e R. Patel, Una storia del mondo a buon mercato: Guida radicale agli inganni del capitalismo, Feltrinelli, Milano 2018.
Si ringraziano l’editore e gli autori per la gentile concessione.
Il tipo di coltura è importante per il terreno e per l’ecologia umana. Non possiamo parlare di alimenti in generale ma dobbiamo capire le loro particolarità e il modo in cui le differenti colture hanno formato una propria ecologia specifica. Riso, mais e frumento, le “piante della civiltà” di Braudel hanno fornito forme di potere, lavoro, gastronomia e natura assai diverse.
L’Europa scelse il frumento che divora il suolo e Io costringe a pause regolari di riposo; questa scelta implicò e consentì l’allevamento di bestiame. Ora, chi può immaginare la storia d’Europa senza bovini, cavalli, aratri e carri? Come risultato di questa scelta, l’Europa ha sempre combinato l’agricoltura e l’allevamento di animali. È sempre stata carnivora. Il riso si è sviluppato da una forma di giardinaggio, una coltivazione intensiva nella quale l’uomo non poteva concedere il minimo spazio agli animali. Questo spiega perché la carne ha uno spazio tanto ridotto della dieta nelle aree risicole. Piantare granturco è sicuramente la maniera più semplice e conveniente per ottenere il “nostro pane quotidiano”. Cresce molto velocemente e richiede attenzioni minimali. La scelta del mais come coltura lasciava del tempo libero, rendendo possibile il lavoro contadino forzato e gli enormi monumenti degli amerindi. La società si appropriò di una forza-lavoro che lavorava la terra solo a intermittenza.
Anche se di solito il capitalismo è associato alle rivoluzioni alimentate dal carbone e dal petrolio, prima arrivarono le trasformazioni del sistema alimentare. Senza un surplus di cibo, non esiste alcun lavoro fuori dall’agricoltura. Le civiltà che troviamo nei libri di storia, sumera ed egizia, han e romana, maya e inca, crebbero grazie alle rivoluzioni che permisero a meno persone di produrre più cibo. La varietà delle relazioni alimentari nell’arco della storia umana, dalla rivoluzione del Neolitico fino all’alba del Cinquecento, è impressionante. Ma tutte avevano in comune due caratteristiche: un sistema di produttività agricola basato sulla terra piuttosto che sul lavoro e un sistema di controllo del surplus alimentare attraverso la politica piuttosto che attraverso il mercato. L’agricoltura capitalista ha cambiato il pianeta. Certe terre diventarono dominio esclusivo di specifici tipi di coltura e sistemi di coltivazione: le monocolture progettate per portare fiumi di soldi. Altre aree erano invece riservate all’alloggio degli umani che erano stati esentati dal compito di coltivare quelle terre ed erano andati a vivere assieme in posti in cui il loro sudore poteva essere meglio ricompensato: le città. Città e campi sono stati per secoli gemelli siamesi, legati da un altro imperativo secolare: il cibo a buon mercato per i poveri urbanizzati. Tutti, da Cicerone ai cinesi imperiali, hanno compreso l’importanza di garantire che i cittadini fossero abbastanza ben nutriti da sventare disordini urbani. Quel che è diverso nell’ecologia dell’agricoltura a fin di soldi è l’ossessione per il profitto e la spinta al cibo cheap per nutrire i lavoratori di città e le loro famiglie, non solo per prevenire le sommosse ma anche per tenere a buon mercato il lavoro. Come abbiamo visto nei capitoli sul lavoro e sull’assistenza, mantenere un sistema di lavoro salariato è costoso e lo diventa ancora di più negli anni. Il cibo a buon mercato consentiva a questo costoso sistema di sfornare ricchezza, la quale fluiva nelle infrastrutture del potere e della riproduzione che creavano una nuova ecologia della città e della campagna. Come il rapporto tra lavoratori e datori di lavoro, era profondamente iniqua. L’ecologia rural-urbana è intessuta nella trama del capitalismo, i cui motivi si sono formati attraverso le frontiere atlantiche, le grandi città europee e le rotte delle spezie asiatiche.