Definiamo la Religione Antifascista di Stato come quell’insieme di discorsi, idee, simboli, liturgie che hanno ancorato la nascita o il consolidamento delle democrazie liberali dopo la Seconda Guerra Mondiale all’opposizione ideale e militare al nazifascismo. Come ogni religione che si rispetti, seppur laica, questa ha il suo martirologio, i propri miti, le proprie ricorrenze e tradizioni nazionali.

La Religione Antifascista di Stato per lungo tempo ha rappresentato il credo condiviso da tutte le forze politiche che hanno ambito a governare i paesi occidentali nel quadro di una democrazia liberale. Il minimo comune denominatore, anche nei momenti di conflittualità sociale e politica più alta, che ha reso possibile il reciproco riconoscimento nelle istituzioni dello Stato da parte di liberali, socialisti, comunisti, popolari e conservatori.

Il credo laico Antifascista ha oggettivamente tenuto in uno stato di minorità morale e politica i movimenti con una filiazione diretta con il fascismo e il nazismo. Al di là di come siano stati utilizzati all’interno della Guerra Fredda tali gruppi, o della continuità all’interno degli apparati di Stato nel travaglio che ha portato all’istituzione di un regime democratico, oggettivamente le forze politiche e i movimenti che vantavano una continuità diretta con le esperienze del fascismo e del nazismo e con i regimi collaborazionisti, sono state tenute lontane dal potere rappresentativo, escluse dalle coalizioni di governo (tranne rarissimi casi) nel tentativo di riassorbirle fino a farle scomparire all’interno della dialettica democratica.

La Religione Antifascista di Stato ha permesso al contempo la legittimazione delle forze comuniste all’interno della dialettica democratica: pur se esclusi dal governo, i comunisti erano legittimati nella società arrivando ad esercitare un’ampia egemonia non solo nella classe operaia e partecipando alla costruzione del senso comune. Il riconoscimento delle istituzioni repubblicane nate dalla lotta antifascista ha portato i gruppi dirigenti dei principali partiti comunisti europei a identificarsi gradualmente con esse, difendendole anche di fronte ai movimenti rivoluzionari che hanno attraversato l’Europa negli anni ’60 e ’70, finendo per sposare la ragion di Stato.

I valori antifascisti si saldavano con una promessa di progresso e futuro che parlava la lingua della giustizia sociale e della crescita industriale, con la promessa che campi di concentramento, pogrom, rastrellamenti e guerre non sarebbero avvenuti Mai Più, relegati a una pagina buia e lontana della storia. Un dispositivo ideologico fortissimo nelle società occidentali. La mediazione della conflittualità tra classe operaia e borghesia nel quadro democratico, venne accettato in nome del progresso e di un riformismo che garantiva maggiore mobilità sociale, benessere materiale e consumi fino a qualche decennio prima inimmaginabili.

Ora questo dispositivo, che è stato potentissimo, sembra essere disinnescato. La tesi che qui si vuole presentare è che la retorica antifascista di Stato abbia perso ogni credibilità e sia ormai un ferro vecchio inutilizzabile. Anzi: chi lo pronuncia si schiera su fronte di una difesa poco credibile dello stato di cose presenti, produce un blablabla incomprensibile per la gran parte degli uomini e delle donne a cui vorrebbe rivolgersi. E questo per una ragione precisa: la promessa contenuta nelle così dette “costituzioni antifasciste” è ormai lettera morta per i cittadini europei. La banca d’affari Jp Morgan in un documento reso pubblico nel 2013 affermava che “i sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l’integrazione. C’è forte influenza delle idee socialiste”. Ma la verità è che le costituzioni antifasciste non sono di nessun ostacolo al dispiegarsi del capitale, e sono impotenti di fronte alle ingiustizie e alle diseguaglianze. Allo stesso modo i sacerdoti che ne salmodiano i precetti, lanciano anatemi destinati a cadere nel vuoto.

Con l’arrendersi al verbo neoliberale delle sinistre, l’antifascismo incarnato dalle istituzioni democratiche ha perso la sua aurea di intoccabile mito fondativo, di baricentro della società, di indiscutibile verità. Questo è avvenuto proprio di fronte al tradimento, al venir meno della promessa che progresso, benessere, democrazia e sviluppo capitalista (seppur calmierato da dosi massicce di stato sociale) avrebbero camminato insieme nella nuova pagina della storia aperta dalla fine della seconda guerra mondiale. La Religione Antifascista di Stato si è trovata così a difendere il mondo così come lo conosciamo. È diventata un’ideologia conservatrice, utile a confermare la realtà così com’è, fissata in un orizzonte ormai esaurito. La foglia di fico morale per l’impotenza di un sistema politico ormai esautorato dal capitalismo finanziario.

Questo complesso di idee e liturgie che stiamo descrivendo è tra i custodi della razionalità illuminista propria delle nostre istituzioni, che ora si vede soverchiata da altre forze. La sfiducia verso le istituzioni politiche da parte dei cittadini traditi e arrabbiati coinvolge tutti i produttori di un discorso che si vuole vero e universale: la scienza e la medicina, i giornali e l’informazione ecc, la cui autorità ma soprattutto sincerità sono messe in discussione. Si propagano così teorie del complotto, istanze antiscientifiche e la disinformazione viaggia sulla rete sotto forma di notizie confezionate in forma palesemente false. Una crisi della verità prodotta dagli attori istituzionali che rappresenta un brodo di cultura essenziale per la riscossa delle idee delle destre e per la colonizzazione da parte di queste della scena mainstream.

I rigurgiti fascisti e razzisti sono trattati come scorie da depurare dall’organismo della nostra società, senza capire che gli anticorpi rappresentati dalla retorica dal credo civile posta a guardia di possibili rigurgiti nazisti e fascisti stavano venendo meno. Il revisionismo storico ha fatto il resto, equiparando nazismo e comunismo, assumendo la categoria di totalitarismo come un totem unico, con l’obiettivo di imporre come solo orizzonte possibile quello del capitalismo, delegittimando le istanze socialiste assimilandole tout court con i gulag stalinisti.

Fascismo e antifascismo sono presentate come categorie del passato, superate ormai dal progredire della storia, e chi vi rimane ancorato è stato accusato di voler rimanere fermo a un passato ormai alle spalle o come tifoso di nuove guerre civili. Un nuovo corso a cui si sono adattati velocemente i gruppi dirigenti delle sinistre socialdemocratiche e postcomunista che, dopo aver utilizzato la Religione Antifascista di Stato per venire legittimati nelle istituzioni, l’hanno sempre più spesso abiurata per sposare il verbo neoliberale.

Affermare la crisi della Religione Antifascista di Stato, non vuol dire che non esista invece una mitologia antifascista che opera con forza all’interno nella società. Un racconto ancora in fieri che dalla Resistenza passa per il ciclo rivoluzionario e controculturale del ’68 e arriva fino alle mobilitazioni antirazziste odierne e alle barricate degli autonomen. Gli uomini e alle donne che dai paesi occidentali sono andati a combattere in Siria sotto le bandiere della guerriglia curda, lo hanno fatto richiamandosi direttamente alle Brigate Internazionali della Guerra Civile Spagnola e alla Resistenza al fascismo. Allo stesso modo i tanti che lottano contro il razzismo, che spendono le loro energie in tante forme di volontario richiamandosi anche alle costituzioni antifasciste e ai loro ideali riattivano il discorso antifascista sottraendolo agli stati che segregano, respingono e selezionano i migranti. Le esperienze che, in modo diverso, continuano ad attivare il bagaglio simbolico antifascista in senso antagonista al presente, sono però trattate dal discorso ufficiale alla stregua della loro nemesi che non sono disponibili a dargli cittadinanza: una forma di estremismo che sarebbe la speculare altra faccia della medaglia all’estremismo di destra.

 

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