Università degli Studi di Milano

Nell’ambito del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali promosso nel 2017 l’Unione Europea ha ribadito la necessità di rinnovare i sistemi di welfare per realizzare risposte efficaci ai nuovi rischi e bisogni sociali, ricorrendo a soluzioni e strategie di innovazione sociale. L’obiettivo è la trasformazione del welfare state per migliorare la resilienza dei beneficiari aumentando le loro capacità e facilitando il loro accesso alle risorse con l’obiettivo di favorire l’empowerment delle persone e insieme della società nel suo complesso.

Sarebbe auspicabile, oltre che urgente, che l’Italia imboccasse la strada dell’innovazione sociale con riferimento in particolare all’ambito della non autosufficienza. Siamo uno dei Paesi più longevi al mondo, ma la qualità della vita in termini di buona salute e/o limitazioni funzionali non è altrettanto buona. La risposta sia pubblica che privata continua ad essere caratterizzata da una mancanza di progettualità e inadeguata sotto il profilo qualitativo e quantitativo, mostrando per entrambi i settori le medesime criticità: prevalenza di erogazioni monetarie (indennità di accompagnamento per il pubblico, rendite per il privato) senza controllo ex-post circa l’utilizzo delle risorse; frammentazione degli interventi con conseguente disorganizzazione gestionale, rischio di inappropriatezza delle prestazioni e dispersione delle risorse; limitazione delle coperture private ai lavoratori dipendenti durante il periodo di attività (nella maggioranza dei casi la copertura viene meno con la vecchiaia e il pensionamento, quando il rischio è crescente).

In assenza di misure di sostegno e di una adeguata strategia, le famiglie si trovano così costrette a farsi totalmente carico dell’onere organizzativo dell’assistenza, ma anche in gran parte di quello economico. La scelta prevalente è quella della domiciliarità, basata essenzialmente sull’aiuto informale prestato dai familiari e dalla figura del/la badante, accompagnata da un ricorso contenuto alla residenzialità.

In questo contesto sembra oggi esserci una crescente convergenza sulla necessità di un cambiamento deciso nella governance della copertura per la non autosufficienza, incentrato su tre assi portanti: la centralità della persona e della sua famiglia; l’importanza del percorso di presa in carico del soggetto non autosufficiente rispetto alla singola prestazione, abbandonando la logica della progettazione per settori che ancora caratterizza la LTC (Long Term Care) e si basa sulla distinzione fra prestazioni sanitarie e sociali, su budget differenziati, sull’erogazione non coordinata e non efficace delle diverse prestazioni; la messa a sistema di tutte le risorse disponibili, sia in tema di finanziamento, sia in tema di organizzazione dell’erogazione delle prestazioni.

Un nuovo sistema per la non autosufficienza deve considerare l’integrazione socio-sanitaria, la continuità assistenziale e la sostenibilità nel tempo come elementi fondamentali di qualsiasi intervento.Tale sistema dovrebbe quindi operare per favorire la comunicazione, il collegamento e l’integrazione tra tutti i servizi e gli sportelli esistenti, evitando sovrapposizioni tra interventi e puntando all’ottimizzazione delle risorse. I servizi da coinvolgere per favorire una presa in carico integrata e continuativa sono in particolare l’ospedale, le ASL e i MMG, che rappresentano i principali presidi sanitari a livello locale. Ma anche gli enti locali che si sono dotati negli ultimi anni di moltissimi servizi e sportelli informativi per stranieri e per anziani e di punti di accoglienza per esigenze socio-sanitarie. Così come sono numerosi i soggetti privati e del privato sociale attivi sul fronte LTC.

La questione dell’integrazione tra servizi e iniziative chiama quindi in causa il più ampio tema delle reti e del coinvolgimento degli stakeholder. Il sistema attuale può trovare nel coinvolgimento di attori del secondo welfare nuove opportunità in termini di risorse e progettualità. Particolare attenzione deve essere rivolta innanzitutto a favorire la partecipazione di partner quali Regione, enti locali ed enti gestori delle funzioni socio-assistenziali, Agenzie per il lavoro, CPI, soggetti del Terzo Settore che erogano servizi nell’ambito della cura e dell’assistenza. Devono però essere stimolati a partecipare ai nuovi interventi anche nuovi attori come le Fondazioni di origine bancaria o di impresa, che possiedono importanti competenze progettuali; imprese e rappresentanze datoriali e sindacali, che possono essere coinvolte nella progettazione di iniziative di welfare aziendale e territoriale; CAF e patronati, che possono garantire alle persone e alle famiglie un supporto qualificato in ambito burocratico e amministrativo; l’associazionismo, che rappresenta una ricchezza (sebbene non omogeneamente distribuita sul territorio nazionale) in grado di fornire contributi significativi all’implementazione di interventi rivolti alle assistenti familiari e più in generale progetto di welfare comunitario.

Progetti innovativi sul tema della non autosufficienza, che sposano la logica dell’integrazione dei diversi sistemi (sanitario, sociale e solidale) di offerta di servizi con una governance unitaria di assistenza, esistono già a livello territoriale e stanno contribuendo ad alimentare quel cambio di paradigma necessario per ripensare profondamente il sistema di copertura per la non autosufficienza. L’attivazione di reti multi-attore consentirebbe inoltre di superare il problema di assicurare cure e assistenza a coloro che non rientrano nel mercato del lavoro (ad esempio, le casalinghe) o ne sono usciti (gli attuali pensionati), generalmente esclusi dalle coperture a carattere negoziale, ma anche ai lavoratori per i quali non siano stati attivati accordi di copertura.

Il ruolo delle reti territoriali si articolerebbe su più fronti. Il primo, più ovvio, è quello di fornitore dei servizi pubblici. Ma le reti territoriali potrebbero qualificarsi anche come erogatori di prestazioni che vadano oltre quelle previste dall’intervento pubblico. Si pensi alla creazione di reti di servizi socio-assistenziali promosse da fondi pensione, fondi sanitari o attraverso i piani di welfare aziendale che potrebbero ampliare l’ambito di mutualizzazione del rischio LTC consentendo l’accesso alla copertura, con compartecipazioni ragionevoli e sostenibili, anche alle categorie non comprese fra i diretti destinatari della copertura collettiva ma residenti sul territorio in cui opera la rete stessa.

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