Università Bocconi di Milano
Giornalista

Pur non essendo ufficialmente un paese in guerra, la parte del Kashmir amministrata dall’India è una delle zone del mondo più densamente militarizzate. La proporzione fra forze armate indiane e i civili Kashmiri è infatti più alta perfino rispetto a quella fra militari stranieri e popolazione civile all’apice dell’invasione americana in Iraq e Afghanistan.

La regione vive da decenni la negazione del diritto all’autodeterminazione e la criminalizzazione dell’organizzazione del dissenso; le ultime generazioni hanno a malapena un ricordo privo di armi o violenza; e non c’è quasi famiglia che non abbia fatto esperienza diretta di arresti, deportazioni, sparizioni o torture.

In un simile clima politico, emotivo e sociale il bisogno di espressione è profondo e diffuso. Gli ultimi anni hanno visto una crescita esponenziale dell’uso dei social media da parte dei giovani Kashmiri a testimonianza del desiderio di comunicare un’immagine differente e più radicata della storia politica della regione. Ma le loro parole sono spesso condizionate dall’urgenza di contrastare la retorica ufficiale che riduce il conflitto ad una questione di ordine pubblico. E quando molta dell’energia critica e creativa viene investita nella fatica del contraddittorio, si fa più difficile la materializzazione e più pesante lo sforzo del pensiero positivo e propositivo.

immagine cultura scritturaQual è dunque il ruolo che possono giocare le parole scritte e i libri in un contesto così carico di tensioni e contraddizioni? Quali sono i fattori che determinano la scrittura, la cultura della lettura e la scelta delle possibilità di pubblicazione in un contesto in cui il conflitto si articola in termini religiosi, linguistici e coloniali?

In una recente intervista, il poeta Rahman Rahi ha affermato che la lingua del Kashmir è una nazione in se stessa e che la promozione e la protezione della lingua devono diventare parte integrante del percorso verso l’autodeterminazione.

La storia linguistica della regione è infatti caratterizzata da una lunga serie di fratture che hanno visto l’alternarsi di varie lingue – il Persiano, il Kashmiri, l’Urdu, l’Inglese – in relazione alle diverse contingenze  socio-politiche. Ancora oggi, la scelta della lingua e l’identificazione degli interlocutori influenzano tanto le forme di espressione che le modalità di pubblicazione e distribuzione. Molte delle più accurate analisi politiche sono in gran parte auto-pubblicate localmente in Urdu con una risonanza limitata al di fuori della regione. Molti giovani invece scelgono l’Inglese, pur non essendo la loro lingua madre, nella speranza di raggiungere il maggior numero possibile di lettori a cui comunicare le proprie battaglie personali e politiche.

In molti lamentano la mancanza di sostegno pubblico nel consolidamento di un’industria editoriale locale in grado di promuovere i vari stadi della produzione culturale dalla pubblicazione di libri in diverse lingue, alla traduzione, alla diffusione della molteplicità delle voci che caratterizzano la scena poetica e intellettuale del Kashmir.

Il desiderio di espressione che accomuna le generazioni in Kashmir dimostra che un investimento più strutturato nello sviluppo e nella crescita della cultura della scrittura e della lettura può diventare uno strumento importante dell’elaborazione collettiva di un senso poetico e politico del sé.

Parvaiz BukhariFrancesca Recchia

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