Leggendo di sostenibilità ambientale e sociale, il mantra ripetuto più frequentemente si riferisce alla necessità di soluzioni che permettano lo scaling – ossia la replicazione su scenari diversi e/o su volumi maggiori – dell’iniziativa in essere, passaggio necessario per generare un reale impatto nel lungo periodo. Questo vale anche nelle iniziative e nei modelli di Economia Circolare, paradigma economico basato sulla chiusura del ciclo dei materiali, all’interno dei flussi di materialità delle risorse. Come esemplificato da elaborazioni OECD 2017, il sistema economico globale è chiamato ad avvicinarsi a questo obiettivo seguendo un percorso per gradi che inizia, appunto, con la chiusura dei cicli di materiali input/output, prosegue con interventi di rallentamento dei cicli stessi – corrispondenti all’allungamento della durata media della vita dei prodotti – per finire con il ridimensionamento di tali cicli – frutto dell’ aumento della produttività delle materie, di un uso più intensivo dei materiali e di nuovi modelli, anche culturali, di consumo e produzione.
Dal punto di vista di policy, l’Agenda 2030 – vademecum di cosa potrebbe accadere nel mondo se fossimo tutti soggetti razionali – inserisce il tema della circolarità dei modelli produttivi e di consumo nei Sustainable Development Goals 9, 11, 12 e 13, predisponendo una serie di indicatori cui istituzioni, profit e non-profit devono riferirsi. Nel contesto, quindi, di un percorso di policy ben tracciato e di una serie di misure già intraprese a livello internazionale, nazionale e locale, occorre approfondire ulteriormente la presenza di un driver imprescindibile: le risorse finanziarie a sostegno di tali modelli di crescita più virtuosi.
A questo proposito, è interessante la riflessione suggerita dal report “Finanza Sostenibile ed Economia Circolare” redatto da CONAI e Finanza Sostenibile per analizzare il ruolo degli Investimenti Sostenibili e Responsabili (SRI) vis à vis l’adozione di modelli di economia circolare da parte di imprese private italiane, con particolare riferimento alla filiera del riciclo.
L’accessibilità di risorse finanziare per scopi di economia circolare, da parte delle PMI italiane è molto bassa, al punto che il 65% delle iniziative è autofinanziato. Al di là delle buone intenzioni in materia di Green Economy, quindi, le imprese più lungimiranti contribuiscono al modello di circolarità produttiva e di consumo di tasca propria, in parte perché faticano ad entrare nei criteri delle linee di credito, in parte perché troppo piccole o perché – spesso- mancano prodotti finanziari dedicati. Eppure, il ruolo delle PMI nella finanza per lo sviluppo sostenibile è cruciale, dacché il passaggio dalla Brown Economy alla Green Economy passa per il coinvolgimento dell’ossatura imprenditoriale nazionale che è fatta, per la maggior parte, di PMI.
L’obiettivo, quindi, è di trovare una quadratura del cerchio tra le necessità finanziarie delle imprese e la liquidità degli investitori, meglio se in forma di capitale paziente, coerente con un’ottica di lungo periodo necessaria per supportare la portata culturale del cambiamento in atto. Servono risorse accessibili e serve tempo, dunque, per andare oltre il prestito bancario, richiedendo strumenti che includano una valutazione del merito creditizio arricchita da parametri socio-ambientali. Si parla di Mission-Related Investments ma anche di prodotti assicurativi che inglobino criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di governance (ESG) come determinanti nella definizione del premio, magari riducendolo laddove emerga una comprovata sensibilità ambientale e sociale da parte dell’imprenditore.
Il percorso immaginato è lungo e si caratterizza per una serie di condizioni, non solo economiche, per cui possa dirsi realmente raggiungibile: in primis la necessità di una monetizzazione delle esternalità ambientali negative da includere in ogni valutazione d’investimento; successivamente la creazione di condizioni adatte alla creazione di partnership multilivello che permettano alle PMI di lavorare in rete – soprattutto all’interno del proprio settore – per massimizzare ed ottimizzare gli sforzi, dando priorità a prospettive di lungo periodo. Simmetricamente, anche alle imprese va richiesto un cambio di mentalità dimodoché la finanza non sia vista come extrema ratio della sostenibilità economica d’azienda ma come uno strumento a sostegno della crescita innovativa e sostenibile del proprio business, allineando infine le scelte imprenditoriali con le esigenze degli investitori. Cruciale, in questo senso, è il ruolo della Responsabilità Sociale d’Impresa, tema che agisce come vero collante tra i comportamenti, le aspettative e la relativa accessibilità alle risorse da parte delle aziende, sia in chiave di governance interna, che di rendicontazione verso tutti gli stakeholder.
L’esempio proposto nel report, come scenario di applicazione di quanto discusso, è il settore del recupero e riciclo dei rifiuti, banco di prova per eccellenza per dinamiche di economia circolare, eco-design, partnership multi-stakeholder. In questo o in altri settori, occorre dirlo, serve concretizzare quanto spesso viene definito “gioco di squadra”, consapevoli che, in parallelo alla definizione di modelli economici radicalmente innovativi, esiste un percorso di circolarità già tracciato di cui ha senso facilitare la diffusione, o scaling, grazie ad un ripensamento dell’ accessibilità delle risorse finanziarie necessarie per produrre impatti reali, misurabili e duraturi.