Si propone qui un estratto del testo di Alessandro Balducci, pubblicato da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nel volume Città, sostantivo plurale, disponibile nelle Librerie Feltrinelli e in tutti gli store online.
Le periferie delle regioni urbane sono costellate da manufatti ed edifici che hanno perso la loro funzione. Hanno anche perso completamente il loro valore, anche se i proprietari stentano a rendersene conto. Questi edifici, uffici, residenze, capannoni industriali potrebbero essere utilizzati da reti sociali attive localmente, per attività temporanee o permanenti, che fino a ieri erano viste solo come minacce agli interessi di valorizzazione delle proprietà. Oggi ci sono esempi evidenti del contrario, è solo legandosi ad interventi delle reti sociali locali che possono innescarsi processi di reale valorizzazione (Calderini e Venturi, 2018).
Sono ormai numerose le esperienze di riattivazione di immobili dismessi o sottoutilizzati che sono diventati poli culturali, centri di servizi, spazi per il tempo libero, ma anche per coworking, artigianato e per nuove forme di manifattura urbana. Un termine sintetico per definirli è quello di “community hub”, perché l’innesco di processi di coesione sociale è la loro principale finalità. Fondazioni bancarie (ad esempio, il programma “La città intorno” di Fondazione Cariplo), fondazione di impresa (come Unipolis con il programma Culturability), soggetti misti (come Fondazione con il Sud, ente promosso da fondazioni bancarie e terzo settore) ne sostengono lo sviluppo.
Le stesse istituzioni che sempre più faticano a governare reali processi di rigenerazione se si aprono ad una azione di sostegno nei confronti di queste reti possono diventare promotori dei processi di innovazione.
Ci sono ormai casi noti, localizzati nelle grandi città, come le Case di Quartiere di Torino, una rete di otto centri di comunità in altrettante zone della città, o Via Baltea 3, sempre a Torino, promossa dalla cooperativa sociale SuMisura in una ex tipografia, come spazio del lavoro e del welfare; BASE a Milano, polo della cultura e della creatività nell’area ex Ansaldo di proprietà del comune di Milano; le Serre dei Giardini Margherita a Bologna, che è coworking, asilo nido, spazio eventi e community garden; la Fondazione Quartieri Spagnoli, che promuove percorsi di nuova occupazione con sede nell’ex Istituto Montecalvario, insieme alle tante iniziative di protagonismo dal basso diffuse a Napoli (Laino, 2018); il progetto Cre.Zi Plus a Palermo, che si definisce “luogo di formazione, condivisione, cultura, impresa, lavoro e tempo libero” presso i Cantieri culturali alla Zisa.
Ci sono esempi in poli minori della city region padana: il sistema Casa di quartiere, Lab 121, bar sociale Orto Zero ad Alessandria o il riuso di un capannone dismesso come spazio per l’arte performativa e la partecipazione civica a Modena. Sono nei piccoli centri del Sud, come il pionieristico Laboratorio urbano all’ex Fadda di San Vito dei Normanni; nelle aree interne del Centro, come nel caso di CasermArcheologica, centro di produzione artistica e “luogo di utopie possibili” a Sansepolcro, e del Nord, come nella Val Cavallina, dove una cooperativa di comunità recupera spazi e ambienti per formazione, agricoltura sociale, turismo responsabile, educazione ambientale.
Si tratta di iniziative che muovono dalla disponibilità di spazi, o dalla volontà delle amministrazioni di riutilizzare un patrimonio abbandonato. In alcuni casi anche di spontanee occupazioni. Tutte iniziative che usano le reti come strumenti di raccolta delle energie e di strutturazione dei processi.
Ci sono anche politiche più strutturate ed ambiziose, come la Strategia Nazionale delle Aree Interne (SNAI), addirittura una politica del governo centrale. Lanciata nel 2012 dall’allora Ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, la Strategia si occupa di frenare spopolamento e marginalizzazione nei territori interni dell’Italia dove risiede il 23% della popolazione e che occupa il 60% del territorio nazionale. Aree lontane dai principali servizi dove la SNAI, attraverso un percorso strutturato, punta alla individuazione di soggetti locali e delle reti sociali capaci di aprire verso l’innovazione, per consentire di uscire dal circolo vizioso della marginalità. Si tratta di una operazione complessa che parte anche in questo caso dall’incontro fra territorio, reti e politiche di sostegno.
Ci sono infine possibilità, come suggerisce Antonio Tosi, di attaccare il problema della povertà e della crescente disuguaglianza attraverso una serie politica della casa per le fasce più deboli della popolazione (Tosi 2017); una strategia che legando istituzioni e patrimonio della città fisica potrebbe affrontare una delle più gravi ed emergenti problematiche sociali.
Un complesso di iniziative piccole e grandi, attuali e potenziali, che possono essere guardate come un insieme di casi isolati o come la possibile anticipazione dell’affermarsi di pratiche trasformative che si possono connettere a rete. Riprendendo Patsy Healey si potrebbe dire che si tratta di episodi di innovazione che sfruttando diverse circostanze diventano pratiche di governo, che se sono capaci di consolidarsi, di “viaggiare” in diversi ambienti, possono aspirare a cambiare la cultura di governo (Healey 2012).