Si propone qui un estratto del volume Populismo di lotta e di governo edito da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli con la curatela di Nadia Urbinati, Paul Blokker e Manuel Anselmi.


Per ricostruire le intersezioni fra il populismo e l’euroscetticismo a livello del discorso politico, è necessario analizzare non solo il grado di radicalità della protesta populista all’UE, ma anche i temi che vengono posti al centro delle campagne politiche. In particolare queste si incentrano: 1. sull’euroscetticismo economico, che contrasta le politiche di austerità e il neoliberalismo, 2. sul cosiddetto “neosovranismo”, con cui si intende la richiesta del ritorno alla piena sovranità nazionale slegata da forme di coordinamento o limitazione internazionale, 3. sulla critica al deficit democratico e alla burocrazia ipertrofica europei, e 4. infine sulla paura dei flussi migratori e dell’allargamento del welfare a fasce di popolazione extra-europee – tale posizione viene sussunta sotto la categoria di euroscetticismo sociopolitico (Sørensen 2008) o emozionale (Bertoncini 2014). Come si intravvede già a una prima scorsa, gli argomenti che dominano il discorso anti-europeista coincidono con i maggiori slogan usati per la mobilitazione populista, intesa come populismo di destra o di sinistra. 

É necessario, a tal proposito, come fa Franzisca Schmidt (2018) sottolineare la sostanziale differenza fra il populismo di destra, che dà una definizione chiusa ed etnocentrica di popolo, mirando a chiudere la «fortezza Europa» sulla base di criteri etnici ed esclusivi, e quello di sinistra, il quale mira a preservare un nazionalismo di tipo civico, inteso come baluardo contro i cosiddetti poteri egemoni imperialisti, espressi nelle potenze occidentali e nella burocrazia europea. Quest’ultimo tipo di discorso euroscettico non si accompagna all’esclusione di minoranze etniche e di gruppi migratori, ma riattiva una forte polemica contro i centri economici e politici neoliberali. In realtà, tuttavia, pur restando valida in via generale la caratterizzazione del concetto di popolo in senso inclusivo, per il populismo di sinistra, e esclusivo, per la destra, le campagne politiche recenti mostrano una sovrapposizione di temi e atteggiamenti. Per il populismo di destra – la Lega o FN ad esempio –  la definizione esclusiva del popolo resta fondamentale: la mobilitazione avviene attraverso il riferimento emotivo ed elettorale alla base popolare contro le ondate migratorie e contro la possibile fruizione da parte degli immigrati dello status e dei privilegi della cittadinanza.

Le future elezioni del Parlamento europeo nel 2019 hanno riaperto i giochi per il posizionamento dei partiti politici populisti e hanno ulteriormente radicalizzato lo scontro tra le forze europeiste e quelle anti-EU (Magnani 2018; Fabbrini 2018). In questa chiave è da leggere la frenetica attività politica del populismo di destra, e in particolare del leader ungherese di Fidesz Orban, che, attraverso il rafforzamento del fronte antieuropeista all’interno del blocco dei popolari PPE e l’alleanza con i maggiori leaders politici populisti (Austria, CSU tedesca, Lega in Italia, Polonia, Danimarca) tenta di “colonizzare” il più numeroso gruppo politico interno all’Unione Europea o, almeno, a metterlo in difficoltà, in modo da conquistare una posizione egemonica. L’obiettivo dei sovranisti, di cui fanno parte i paesi di Visegrad e alcuni stati occidentali, fra cui l’Italia, è di alimentare una situazione di stallo per le istituzioni europee e di panico per i cittadini e i governi, agitando lo spettro dell’invasione migratoria – già molto indebolita in verità – e del  depauperamento dei valori della civiltà occidentale. D’altro canto le prerogative del mercato unico, e cioè la libera circolazione delle merci e degli individui, non sono seriamente messa in discussione, così come le politiche di solidarietà all’interno dell’UE. Paradossalmente l’attacco all’UE di questi partiti populisti anti-sistema è adottato come arma nella politica interna, e cioè in funzione di consolidamento del potere e dell’attivazione di meccanismi di mobilitazione collettiva: il panico di massa generato dalla paura delle invasioni migratorie, il confronto duro con le istituzioni liberali e democratiche e l’individuazione del nemico UE, che rappresenta l’eredità liberale e democratica europea, favoriscono l’accentramento del potere oltre le mediazioni istituzionali e la mobilitazione continua.

Le elezioni del 2019 vengono così sfruttate per implementare a livello europeo le paure collettive suggerendo delle politiche identitarie – fino ad arrivare alla riproposizione della tesi della vocazione cristiana dell’Europa – e per convogliare il disagio sociale in funzione anti istituzionale, creando una nuova coalizione di partiti che minano dalle basi le regole e i valori del progetto europeo. La fortezza cristiana dell’Europa protetta da una coalizione delle destre antieuropeiste, sogno già di Haider e dei settori della destra antisemita e post-nazionalsocialista (Chiantera-Stutte, 2002), viene così a riacquistare il suo smalto.

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