A quasi 30 anni dalla fine dell’Unione Sovietica e dalla conseguente “fine della storia” decretata da Fukuyama, ha ancora senso parlare di Cuba e del suo modello socialista. Perché? Proprio nel riferimento cronologico stanno due tra i motivi fondamentali che hanno spinto la Fondazione G. Feltrinelli a inserire nel ciclo There is no alternative l’incontro con Zoe Medina Valdés, professoressa di economia all’Università dell’Avana, e Helen Yaffe, storica dell’economia e esperta di economia cubana e del pensiero economico di Ernesto Guevara. La caduta dell’URSS, che si è portata via la più importante alternativa sistemica al capitalismo e che avrebbe dovuto condurre alla fine del socialismo cubano nel giro di pochi mesi, ha effettivamente condannato l’isola a un decennio di período especial, una crisi economica mai vista nella storia in nessun altro paese in tempo di pace. Basti ricordare due dati: in 3 anni, il PIL crollò quasi del 40% e le esportazioni del 60% (in una immagine evocativa: il pasto “proteico” della famiglia cubana negli anni ’90 diventa la “bistecca di scorza d’arancia”: buccia d’arancia scottata alla piastra).
Eppure, Cuba ha continuato e continua a costituire un’alternativa al modello neoliberista della globalizzazione: la Rivoluzione questo gennaio compie 60 anni, di cui ormai quasi la metà vissuti senza l’ombrello sovietico, nella scomoda posizione di continuare ostinatamente nella costruzione del socialismo a solo pochi chilometri di distanza dal cuore pulsante del mondo capitalista. Questa sorta di esclusiva che Cuba detiene, la rende un caso ancor più interessante da studiare oggi di quanto non lo fosse nel regime internazionale di contrapposizione tra i due blocchi.
Con il ciclo There is no alternative la Fondazione si muove alla ricerca di “alternative”, di spunti, suggestioni, che possano ispirare un ripensamento del nostro capitalismo della globalizzazione. A Cuba questa ricerca non è solo teorica – nel dipartimento in cui Zoe Medina insegna si trovano, al piano XI, due porte che si fronteggiano nello stesso corridoio: da un lato, la targhetta Capitalismo, sulla porta di fronte la targhetta Socialismo – ma di immediata concretezza: negli ultimi anni, in particolare con l’approvazione dei cosiddetti Lineamientos, linee guida votate nel 2011 dal VI Congresso del Partito Comunista, si è deciso di procedere a una “attualizzazione” del modello, per continuare la costruzione del socialismo.
Come perseverare nel garantire accesso a sanità e educazione gratuite per tutti, in un contesto internazionale sfavorevole e con un’economia sostanzialmente stagnante da molti anni? Come riuscire ad alzare i salari di medici e insegnanti per evitare che emigrino o diventino tassisti, affittacamere o guide turistiche nell’isola, attività ben più redditizie? Come reagire al rapido invecchiamento della popolazione, i cui indicatori di salute sono ai livelli dei Paesi industrializzati, ma le cui pensioni non sono sufficienti a garantire un livello di vita accettabile? Come rendere le nuove generazioni protagoniste di un modello così difficile da sostenere?
Le profonde riforme strutturali cui si è dato avvio nel 2011 provano a dare risposta a queste e a a molte altre questioni di primaria importanza per la sopravvivenza dell’alternativa socialista cubana. Una tappa importante si sta svolgendo proprio in questi mesi, nei quali ha luogo il lungo e complesso processo di consultazione popolare per la riforma della Costituzione: se verrà approvata dal referendum popolare, per la prima volta apparirà nella costituzione la proprietà privata, benché venga ribadito il carattere irreversibilmente socialista dello Stato, e quindi la proprietà collettiva – di tutto il popolo – sui mezzi di produzione “fondamentali”.
La menzione della proprietà privata ratifica un processo che negli ultimi anni ha portato a una significativa espansione dei lavoratori autonomi, dei piccoli proprietari, e dei soci di cooperative: è forse l’elemento chiave del tentativo di rivitalizzare un’economia stagnante, ancora sottoposta al tentativo di blocco economico e completo isolamento da parte degli Stati Uniti (ben più di un embargo: a tutti i Paesi terzi che commerciano con Cuba vengono imposte multe e sanzioni), e che soffre la drammatica crisi dell’alleato più importante – il Venezuela – e degli altri governi di ispirazione socialista della regione, ormai quasi tutti caduti (si noti – a conferma di quanto si diceva di Cuba come modello e alternativa – che tali governi si ispirano o si ispiravano esplicitamente all’isola caraibica). In che direzione si muove questo cambiamento? Che esiti avrà?
Con Altre economie: resistenze alla globalizzazione, terzo appuntamento del ciclo di incontri There is no alternative che avrà luogo giovedì 17 gennaio, intendiamo proporre una riflessione su queste domande, per capire, a 2 anni dalla morte di Fidel Castro, e nei giorni del progressivo ritiro dalla scena pubblica anche del fratello Raul (da un anno è in carica il primo presidente non appartenente al gruppo di barbudos che ha fatto la Rivoluzione), quanto Cuba contini a essere altra rispetto al modello economico dominante, e quanto sia resistente alla globalizzazione.
Foto originale di Fidel Castro ed Ernesto Guevara durante la rivoluzione