Nel testo che segue, estratto dell’introduzione al volume Città, sostantivo plurale, della collana Ricerche di Fondazione G. Feltrinelli, il docente di politiche urbane Gabriele Pasqui indica un sentiero possibili per uscire dalla crisi della convivenza urbana.
La città contemporanea è il luogo che maggiormente sfida la possibilità stessa del vivere insieme secondo la legge, mettendo in scacco anche la relazione costitutiva tra città e politica, che da Platone in poi, anche attraverso la mediazione cristiana, è stata parte integrante dell’immagine del mondo che l’Occidente ha veicolato ed esportato.
Non è un caso che la crisi della convivenza, in ragione del pluralismo radicale delle forme di vita, assuma la configurazione di uno scacco delle diverse flessioni che il politico occidentale si è dato per immaginare la possibilità del vivere accanto secondo la legge: da una parte la comunità, in tutte le sue varianti; dall’altra i principi universalistici e repubblicani.
La nuova democrazia urbana non potrà essere comunitaria, e al tempo stesso non si dovrà accontentare di una rivisitazione universalistica della cittadinanza incapace di farsi carico della diversità radicale di pratiche d’uso e di forme di vita nell’urbano. Dalla nostra prospettiva, la crisi del nomos europeo si manifesta sotto forma di crisi del politico e della stessa democrazia. Il nomos europeo appare incapace di governare questo pluralismo, che pure è stata tanta parte della sua storia e del suo destino, schiacciato tra il fallimento della tecno-burocrazia dell’Unione Europea e i localismi populisti e regressivi, diffusi ormai in ogni angolo del continente. In questo contesto, alcune delle questioni centrali della città contemporanea possono essere spiegate proprio da questa crisi. Per fare solo tre esempi, che attraversano anche alcuni dei contributi precedenti: la questione dello statuto della cittadinanza per i migranti irregolari, i richiedenti asilo e i rifugiati, che abitano le nostre città come fantasmi privi di dimora e di luogo proprio; la radicale difficoltà di legittimazione e progetto dello spazio pubblico, in assenza di una nozione condivisa di interesse generale; i conflitti identitari che riguardano il rapporto tra uomo, ambiente ed ecosistema, altre specie viventi.
La domanda sull’urbano plurale va dunque posta oggi in questi termini: come pensare la convivenza nella città assumendo la pluralità radicale delle forme di vita e l’irriducibilità dei conflitti che tale pluralità implica e genera alla relazione (anche agonistica) tra interessi diversi? Come pensare il cum della convivenza, le sue stesse condizioni di possibilità?
Per rispondere a questa domanda forse bisognerebbe farla finita con la discussione sull’evaporazione, evocata o temuta, della città. Come ricordano anche Ash Amin e Nigel Thrift, fino a che non abbiamo un nuovo nome possiamo tranquillamente tenerci la parola “città”. Anche perché, per quanto sconfinate, infinite e disfatte, per quanto resilienti, verdi e smart, continuiamo a chiamare le città con i vecchi nomi: New York, Las Vegas, Los Angeles, Shanghai, Mexico City, Mumbai, Hanoi, Mosca, Londra, Copenaghen, Roma.
Dobbiamo capire di più e meglio la varietà urbana oggi, lungo una linea di descrizione che tiene insieme le letture fenomenologiche e quelle strutturali; le ricerche sulla post-metropoli e sulle megacity; il riconoscimento dei processi di urbanizzazione violenta nei paesi emergenti con lo shrinkage di Detroit o di Lipsia; la crescita imponente delle città “private” e delle gated community di ogni genere con l’esplosione inarrestabile delle baraccopoli e dei campi profughi; le politiche di rigenerazione dei quartieri pubblici in Europa e i piani per città nuove da milioni di abitanti nell’Estremo Oriente o nella penisola arabica.
Se ha ragione Bernardo Secchi, e prima di lui Jacques Donzelot, quando parlano di nuova “questione urbana”, allora alcuni problemi, pur nella diversità, accomunano queste condizioni urbane: una nuova questione socio-spaziale, accompagnata dalla crescita delle diseguaglianze tra la città dei ricchi e la città dei poveri; una questione ambientale ed ecologica di proporzioni mai conosciute; una questione di cittadinanza.
La riflessione sul futuro delle città dovrebbe essere in primo luogo un tentativo di affrontare queste sfide, pur nella coscienza dei propri limiti e nella consapevolezza che non esistono ricette o soluzioni unitarie e precostituite, che dobbiamo sperimentare responsabilmente e assumere il limite della nostra parola e della nostra azione come principio di orientamento.