Vorrei, nel settantesimo della Dichiarazione universale dei diritti dell’Onu, proporre una riflessione e avanzare una congettura. Per fare ciò, prendiamo le mosse da Il diritto di avere diritti, l’opera di Stefano Rodotà che coincide con il suo opus maius e che considero uno dei testi fondamentali per ragionare insieme sulla questione dei diritti umani oggi, a settant’anni dalla proclamazione della Dichiarazione. In primo luogo, perché nell’opus maius di Rodotà confluiscono un gran numero di ricerche e di esperienze teoriche, giuridiche, politiche e civili. In secondo luogo, perché vi sono ospitate molte questioni decisive per la nostra convivenza, per il catalogo dei diritti dei contemporanei.
Ma la trama è unitaria, compatta e tenuta assieme, come in senso musicale, da alcuni temi dominanti. Vi sono temi che ci restituiscono la prospettiva con cui mettere a fuoco lo stato delle cose. Il tema della narrazione, del grand récit. L’età dei diritti fondamentali della persona, chiunque sia e ovunque sia. Il tema della domanda di diritti e della violazione di diritti. Che risponde a una domanda di senso di questo avvio opaco di secolo. Il tema delle transizioni. L’età dei diritti, come avrebbe detto Norberto Bobbio, conosce passaggi, metamorfosi, sovrapposizioni fra vecchio e nuovo, che mettono in questione i nostri vocabolari ereditati, li sottopongono a pressione: pubblico/ privato, comune; uomo-macchina, biologia e biografia, corpo elettronico e navigazione in rete, habeas corpus e habeas data. Digital divide e human divide. Il tema del riduzionismo dai molti volti: economico, di mercato, biologico, tecnologico, identitario. Il tema della storia presa sul serio, fra senso vivido del passato e percezione incerta del futuro. Le trasformazioni inedite del governo di sé, quando la natura del sé cambia.
Vi sono, infine, temi in cui si condensano le tesi centrali da cui prende le mosse la mia congettura. Quello saliente, come vedremo, è il tema della costituzionalizzazione della persona. Dal soggetto astratto alle condizioni materiali della vita concreta della persona. Della dignità. Della pari dignità. Il tema correlato della globalizzazione: via mercato o via diritti? Con la questione decisiva: che cosa deve stare nel mercato e che cosa non deve stare nel mercato? Il tema della tensione fra giurisdizione e legislazione che chiama in causa la variabile qualità della forma di governo democratico della società. Un elogio del costituzionalismo. Il tema delle precondizioni del processo democratico a rischio e della legittimità dell’Unione europea a rischio.
Vi sono temi, infine, che ci indicano il che fare, le agenda e le non agenda. Oltre Vestfalia, il tema kelseniano della civitas maxima e quello kantiano del diritto cosmopolitico. La sovranità alla persona e i diritti come vincoli e briscole ai poteri dai molti volti. L’ideale dell’autonomia delle persone e del governo di sé, in una prospettiva che immerge le persone nella densa rete delle relazioni e dei riconoscimenti, rifiutando le prospettive ottuse di un individualismo miope, di un comunitarismo gretto, di un realismo politico riduzionistico, di un sovranismo inquietante e mirando alla generazione del legame e del vincolo sociale fra socii di pari dignità. Tutti temi intrecciati in una narrazione e sostenuti dal senso vivo di una storia, quella che vorremmo fosse la nostra. Il manifesto di un costituzionalismo universalistico, come domanda esigente di rispetto e non umiliazione delle persone, a fronte di una varietà di poteri arbitrari e dispotici, vecchi e nuovi. Un elogio dell’uguaglianza umana, ai tempi delle massime disuguaglianze planetarie.
Ora, sullo sfondo della costituzionalizzazione della persona, al centro del manifesto di Stefano Rodotà, la mia congettura è basata su due presupposti. Il primo ha a che vedere con l’esigenza di una gerarchia dei diritti che, grazie all’adozione di una strategia deflattiva, mira alla definizione di un sottoinsieme di diritti umani fondamentali, che include quei diritti senza i quali nessun altro diritto è possibile. Come ho sostenuto in La priorità del male e l’offerta filosofica, i diritti fondamentali delle persone hanno il ruolo tanto prezioso quanto tragicamente e sistematicamente violato di funzionare cone scudo protettivo contro il male e la varietà dei mali, che possono ledere e negare e calpestare la dignità alle persone. Essi perimetrano lo spazio della libertà negativa delle persone. E, nella Dichiarazione universale, portano con sé l’eco del male assoluto del secolo breve, l’eco della Shoah.
I diritti fondamentali sono incentrati sulla memoria del male, non su una qualche idea di bene umano. In questioni di diritti umani, cone ho sostenuto più volte, noi siamo indotti alla massima intransigenza con il male e, al tempo stesso, alla consapevolezza della essenziale varietà dei beni umani. Spinoza ci ha suggerito che il male è l’esclusore ex ante di qualsivoglia bene per noi. In questa prospettiva, avanzo l’ipotesi che oggi, nel sottoinsieme dei diritti fondamentali che hanno priorità per le persone, siamo indotti a includere il diritto umano allo sviluppo sostenibile. Il diritto a condividere con miliardi di altre e di altri un pianeta, l’unico pianeta di cui, sino a prova contraria, disponiamo, che preservi nel tempo la essenziale varietà delle condizioni che rendono una vita, per una pluralità costituiva di ragioni, degna di essere vissuta. In termini analitici, la congettura si basa sul secondo presupposto della mia congettura: sulla connessione fra la Dichiarazione universale e gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda Onu 2030. Nel senso che la lista dei diciassette obiettivi corrisponde alla lista del contrasto ai mali che, fra loro interconnessi, contraggono la qualità di vita delle persone sino al limite estremo del rischio supremo e della perdita della vita stessa.
In parole povere, il diritto allo sviluppo sostenibile è il diritto fondamentale delle persone ad avere semplicemente un futuro in cui preservare nel tempo – in una varietà di modi – la propria comune umanità. Questa, e non altra, è la posta in gioco. Una posta in gioco che è intrinsecamente proiettata sulle dimensioni e le sfide del futuro d’umanità, ma che si mette a fuoco per noi oggi, nel presente di un pianeta interconnesso e minacciato, depredato e saccheggiato, sfruttato ed esposto al rischio severo di perdita. Con il Rabbi Hillel viene fatto – ancora una volta – di chiedersi: e se non ora quando?