Il mercato, da solo, non è in grado di affrontare le insostenibilità della globalizzazione e di governare la radicale transizione economica che stiamo vivendo. Occorre, piuttosto, una forte e lungimirante azione politica. Questo il messaggio fondamentale che emerge del report sullo sviluppo sostenibile globale che tiene insieme una riflessione sulle risorse energetiche e sui costi ambientali del nostro modello di sviluppo, con questioni legate all’aumento delle disuguaglianze economiche, del debito pubblico e della disoccupazione. E’ necessario infatti definire le insostenibilità di cui stiamo parlando, riconoscere che sono molteplici e legate da un nesso inscindibile, e infine capire come affrontarle per trovare una via d’uscita. Via d’uscita, da cosa? Parlare di via d’uscita dalla crisi è riduttivo e fuorviante, ci pare: 10 anni di crisi economica, di aumento delle disuguaglianze, di riduzione degli standard di vita nella maggioranza dei paesi occidentali e in molti dei paesi periferici – dove più forti sono anche gli effetti dei cambiamenti climatici – impongono una riflessione sul sistema globale nel suo complesso. In questo la teoria economica gioca un ruolo di primo piano: nella sua corrente dominante, ha sostenuto e legittimato la contrazione dello Stato e l’avanzamento della globalizzazione, ma molte voci si stanno levando per dire che un’alternativa c’è, è necessaria e anche possibile. Tra queste, quella di Dani Rodrik, che è stato uno dei primi all’interno dell’accademia mainstream ad aver denunciato, dieci anni prima dello scoppio della crisi, le insostenibilità politiche e sociali del sistema economico contemporaneo, e che nei suoi lavori più recenti – questo articolo è di quest’anno – è tornato ad accendere i riflettori sul nesso tra le storture del sistema economico e gli sconvolgimenti politici degli ultimi anni.
Clicca qui per leggere: Populism and the economics of globalization
Clicca qui per leggere l’approfondimento: Governance of Economic Transition