Articolo di Ralph Miliband apparso su Jacobinmag.com.
Titolo originale: Counter-Hegemonic Struggles.
Traduzione di Rosa Fioravante.
La nascita della democrazia di massa poneva un rompicapo alle élites economiche e politiche. Come, con la concessione del voto ad una parte ancora maggiore di popolazione, avrebbero potuto mantenere un ordine che comunque lasciava così tanti indietro nelle sfere economica e sociale? La nascita della democrazia avrebbe significato la fine del capitalismo?
Col senno di poi, le loro paure sembrano infondate – ovviamente il capitalismo ha potuto sopportare un elettorato più ampio. Ma la loro ansia le ha spinte all’azione. Unendo la repressione ad un’animosa (e ben sostenuto economicamente) difesa del sistema, hanno smussato le minacce più radicali che lo attaccavano. Hanno fatto sembrare “la democrazia capitalista” una cosa di buon senso – il migliore degli accordi sociali o, almeno, il migliore di quelli possibili.
[…] L’egemonia, nel senso gramsciano del termine, include sia la coercizione che il consenso. Consenso significa la capacità delle classi dominanti di persuadere quelle subalterne ad accettare, adottare e “interiorizzare” i valori e le norme che le classi dominanti stesse hanno adottato e credono siano giuste e adatte. Questo potrebbe essere descritto come il significato forte di egemonia-come-consenso.
Una versione più debole della capacità delle classi dominanti di persuadere le classi subordinate che, qualsiasi cosa possano pensare dell’ordine sociale prevalente, e a prescindere da quanto alienate possano essere da esso, qualunque alternativa sarebbe catastroficamente peggiore, e che in ogni caso non ci sarebbe molto che possano fare per porre in essere qualunque possibile alternativa. Per quanto sia più debole questa seconda versione, non è molto meno efficace della prima nel consolidare l’ordine sociale. In ogni versione, in qualunque caso, l’egemonia non è qualcosa che possa esser considerata come definitiva ed irreversibilmente vinta: al contrario, è qualcosa che necessita di essere costantemente nutrita, difesa, riformulata.
Le classi dominanti dei regimi capitalisti-democratici lo capiscono molto bene e non danno per scontata l’egemonia. L’intera storia di questi regimi, dall’acquisizione del suffragio esteso, alla creazione dei movimenti nazionali della classe lavoratrice e alla competizione politica reale fra partiti borghesi e quelli del lavoro o socialisti, è stata segnata da una determinata “ingegneria del consenso” da parte delle forze conservatrici, e dalla loro strenua lotta per vincere i cuori e le menti della popolazione subordinata.
Le fonti di queste battaglie sono state estremamente varie e le loro forme sono molteplici, dalle più sofisticate e sottili alle più sguaiate demagogiche. Il fine, comunque, è sempre la ratificazione popolare dell’ordine sociale prevalente, e il rigetto da parte della classe lavoratrice (e chiunque altro) di qualunque idea che ci possa essere un’alternativa radicale e percorribile rispetto a quell’ordine. Questo fine, bisognerebbe aggiungere, è anche sostenuto da reali concessioni alla pressione dal basso, per lo più nel campo dei servizi di welfare: sarebbe un grande errore prender l’egemonia-come-consenso come fosse semplicemente una questione di mistificazione.
Sia come sia, la principale ragione del perché la lotta per l’egemonia-come-consenso non può mai esser presa come ultimativamente vinta nei regimi capitalisti-democratici è che esiste una grande discrepanza fra il messaggio che i tentativi egemonici cercano di disseminare e la realtà attuale che affronta la stragrande maggioranza della popolazione per cui il messaggio è primariamente inteso.
Il messaggio parla di democrazia, eguaglianza, opportunità, prosperità, sicurezza, comunità, interessi comuni, giustizia, equità ecc. La realtà, d’altro canto, per come è vissuta dalla maggioranza, è molto diversa e include l’esperienza dello sfruttamento, della dominazione, di grandi diseguaglianze in ogni sfera della vita, di restrizioni materiali di ogni tipo e molto spesso di enormi mancanze spirituali.
La realtà non è veicolata e articolata in questi precisi termini ma è, ciò nonostante, negativamente percepita, e produce frustrazione, alienazione, rabbia, dissenso e pressione dal basso per la soluzione delle vertenze. Scopo cruciale della diffusione egemonica è evitare che questi sentimenti diventino una generalizzata disponibilità a pensieri radicali.
Non fosse stato per la discrepanza fra messaggio egemonico e realtà vissuta, ci sarebbe ovviamente meno necessità, o nessuna necessità, di questo incessante assalto alla coscienza popolare. Né sarebbe necessario tenere in ampia considerazione i tentativi di contro-egemonia: questi sforzi sarebbero il lavoro di individui isolati, liquidabili come eccentrici, e che non potrebbero aspirare ad avere un reale ascolto.
Una donna che legge Sharecroppers’ Voice durante una riunione all’aperto della Southern Tenant Farmers ‘Union in Arkansas nel 1937.
Kheel Center / Flickr
Per come stanno le cose ora, la discrepanza fra la retorica, seppur supportata da reali concessioni, e la realtà per come è vissuta, fornisce un ampio terreno per tentativi contro-egemonici. Il terreno è a volte più favorevole, a volte meno, ma non è mai del tutto arido data la natura del capitalismo.
Questi tentativi sono eterogenei nella forma come lo sono quelli egemonici; e una delle più importanti caratteristiche dell’epoca contemporanea è come siano eterogenei anche nelle loro fonti. Molti, per esempio, sono stati correttamente fatti negli ultimi decenni con il contributo quasi sorprendente che il femminismo, l’ecologismo, l’antirazzismo e altri “nuovi movimenti sociali” hanno portato per disturbare lo status quo mentale dei paesi nei quali sono fioriti.
Bisogna assumere che continueranno ad influenzare la cultura politica e l’agenda politica di questi paesi. C’è stato un momento, non molto tempo fa, quando si dava per scontato a sinistra che l’unica fonte di “reale” dissenso e sfida fosse la classe lavoratrice e, più specificatamente, il movimento dei lavoratori. La presenza di “nuovi movimenti sociali” sulla scena politica e ideologica ha prodotto una coscienza generale a sinistra che quella convinzione fosse un’aberrazione e che questi movimenti avevano una grande e indispensabile contribuzione da fare.
Infatti, il cerchio ora si chiude, ci sono ora molte persone a sinistra persuase che solo dai “i nuovi movimenti sociali” si possa aspettare che provenga una sfida effettuale allo status quo, e che i movimenti socialisti e dei lavoratori siano troppo immersi nell’antica (e obsoleta) modalità di pensiero per esser capaci di farlo. Questa perdita di fiducia nell’idea socialista “tradizionale”, per non parlare del protagonismo del lavoro e dei socialisti, è sicuramente stata la caratteristica dominante della cultura politica della sinistra negli anni 80. “Tempi nuovi”, è stato insistentemente proclamato, vengono richiesti nuovi pensieri; e nuovi pensieri richiedono l’abbandono di molte, forse la maggior parte, delle idee adorate a lungo ma ora quasi irrilevanti che sono state al cuore della tradizione socialista. Il messaggio è stato veicolato in molte differenti versioni; ma da ultimo si sintetizza con un ritiro dalla ricerca e dallo sforzo per costruire un’alternativa socialista al capitalismo.
Il presente saggio è scritto nella convinzione che questa sia una prospettiva dolorosamente scorretta e che i socialisti abbiano un contributo peculiare da porre per le battaglie contro-egemoniche; e che l’alternativa che i socialisti propongono sia oggi più che mai necessaria nella battaglia contro l’egemonia conservatrice. Certo, il contributo socialista non si oppone in nessun modo alle preoccupazioni dei “nuovi movimenti sociali”. Al contrario, queste preoccupazioni – anti sessismo, anti razzismo, ecologia, liberazione sessuale, pace ecc. – sono parte dell’agenda socialista; e ci sono molte persone nei “nuovi movimenti sociali” che sono esse stesse socialiste e che concepiscono le loro preoccupazioni come intrinsecamente legate con il socialismo.
Ma la domanda che io voglio sollevare è quali siano le posizioni fondamentali che possono ad oggi esser identificate come costitutive di una contribuzione specifica che i socialisti possono fare alle battaglie contro-egemoniche. Queste posizioni necessitano di esser riviste intorno ad almeno due ambiti. La prima, già sollevata, è che [queste posizioni] sono oggi spesso contestate a sinistra, o semplicemente ignorate. La seconda è che la crisi dei regimi Comunisti, e il collasso di alcuni di essi, ha dato alle forze egemoniche una meravigliosa occasione di proclamare non solo che il Comunismo fosse morto o morente, ma che il socialismo in ogni versione fosse nella stessa condizione.
Nulla [come queste convinzioni], da una prospettiva socialista, potrebbe avere maggiore necessità di esser combattuto e che si fornisca un’argomentazione ragionata sulle molte proposte che definiscono il socialismo.