Proponiamo un estratto del nuovo libro dell’economista e premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, Un mondo a tre zeri. Come eliminare definitivamente povertà, disoccupazione e inquinamento. L’autore sarà ospite in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli venerdì 18 maggio 2018 alle 18.30 nell’ambito delle Jobless Society Lectures.
Disoccupazione zero: non siamo cercatori di posti di lavoro ma creatori di posti di lavoro
Dalla Grande Recessione degli anni 2008-2009, in tutto il mondo si è sviluppata la forte sensazione che ci sia qualcosa di terribilmente sbagliato nel nostro sistema economico. La disoccupazione giovanile è un elemento particolarmente impressionante della vicenda. In Europa, la disoccupazione fra i giovani di età inferiore ai venticinque anni e arrivata al 18,6 per cento (a dicembre 2016). In alcuni paesi, fra cui Grecia, Spagna e Italia, ha superato il 40 per cento. Negli Stati Uniti, un numero significativo di giovani ha perso ogni speranza ed è uscito completamente dal mondo del lavoro: le statistiche della disoccupazione cosi risultano più rosee, ma in verità sottostimano l’entità reale del problema. Alcune ricerche inoltre dicono che la disoccupazione giovanile non è un problema temporaneo. I giovani che passano molti anni senza lavoro, o che hanno lavori sottopagati senza prospettive di crescita, ne subiscono le conseguenze per tutta la vita. Non importa quanto duramente lavorino: è improbabile che riescano a raggiungere la corsia rapida che porta a lavori ben pagati, garantisce la sicurezza per tutta la vita e crea opportunità per la generazione successiva.
Disoccupazione e occupazione, poiché sono gli elementi determinanti del reddito nell’arco della vita, sono due fattori di primo piano che contribuiscono alla crescita della disuguaglianza economica, che, come ho già osservato, costituisce una minaccia grave per il futuro del mondo.
L’impatto psicologico e sociale è altrettanto grave. Disoccupazione significa gettare nella spazzatura una persona nel pieno delle sue capacità, una forma particolarmente crudele di punizione.
Un essere umano è per sua natura attivo, creativo, pieno di energia e un risolutore di problemi, sempre alla ricerca di modi nuovi per realizzare il proprio potenziale illimitato. Perché dovremmo consentire a chiunque di staccare la spina a un essere umano creativo e di negargli la possibilità di usare le sue stupefacenti capacita? Eppure oggi vedo milioni di giovani negli Stati Uniti e in Europa costretti a un ozio forzato a causa di un massiccio fallimento del sistema economico.
Di conseguenza, una generazione di giovani è oppressa da un senso di impotenza.
Nei miei viaggi, ho incontrato un numero infinito di giovani donne e giovani uomini brillanti e pieni di energia che si sentono messi all’angolo per i limiti dell’economia di oggi e per le nostre politiche fallimentari. Disoccupati o sottoccupati, non possono permettersi di acquistare una casa o di formare una famiglia, e tanto meno di restituire le decine di migliaia di dollari di prestiti per gli studi che spesso hanno contratto. Si chiedono che cosa abbiano fatto di male e perché il mondo sembri non avere alcun modo per utilizzare i loro talenti. Non meraviglia che economisti come lo spagnolo Ludovic Subran abbiano espresso il loro rammarico: “Stiamo sacrificando un’intera generazione”.
A peggiorare le cose, le tendenze demografiche ed economiche non mostrano alcun segno di poter risolvere il problema in modo automatico. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) stima che la forza lavoro crescerà, per l’ingresso dei giovani, di circa 400 milioni di persone in totale nel corso del prossimo decennio, il che si traduce in quella che l’Ilo definisce la “sfida urgente” di creare 400 milioni di posti di lavoro produttivi, ovvero 40 milioni di posti di lavoro all’anno.
Il problema è aggravato da tendenze come l’automazione, la diffusione della tecnologia robotica e i progressi dell’intelligenza artificiale, che rendono possibile alle aziende eliminare manodopera in molti settori senza ridurre la produzione. Inoltre le persone vivono più a lungo e hanno una vita più sana, il che significa che vogliono e devono lavorare per più tempo per sostentarsi, esercitando cosi un’ulteriore pressione sul fronte occupazionale. Sembra probabile che, negli anni a venire, politici e governi saranno sempre più assediati dai problemi della creazione di posti di lavoro e della gestione della disoccupazione.
Qual e la causa di questa situazione? Che cosa possiamo fare per risolverla?
Il problema della disoccupazione: diagnosi errata, cura sbagliata
Ovviamente, i giovani di oggi che si affannano nella ricerca di posti di lavoro decenti non hanno fatto nulla di male, esattamente come le donne povere di tutto il mondo, intrappolate nella povertà, non hanno fatto nulla di male. In entrambi i casi, la colpa è del sistema economico che abbiamo progettato e abbiamo seguito con fiducia totale, e che deve essere cambiato.
La disoccupazione non è creata dai disoccupati stessi, ma dal nostro quadro concettuale grossolanamente difettoso, che ci ha inculcato l’idea che le persone siano nate per lavorare per pochi fortunati capitalisti. Poiché questi pochi creatori di posti di lavoro sono i motori dell’economia, secondo la teoria attuale, tutte le norme e le istituzioni sono fatte su misura per loro. Se non ti assumono, sei finito. Che travisamento del destino umano! Che insulto agli esseri umani, dotati di capacita creative illimitate!
Il nostro sistema dell’istruzione rispecchia la stessa teoria economica. Si basa sull’assunto che gli studenti debbano lavorare sodo e avere buoni vuoti per poter ottenere buoni posti di lavoro dalle grandi aziende che si pensa siano i motori di tutta l’attività e la crescita economica. Le migliori università del mondo si vantano di quanti dei loro laureati si presentino alla cerimonia di laurea avendo già in tasca una lettera di assunzione.
Non c’è nulla di sbagliato nel fatto che le persone lavorino per un’azienda per tutta o buona parte della loro vita. Ma c’è qualcosa di molto sbagliato in un sistema economico che ignora ciecamente l’esistenza di un’alternativa naturale e attraente. Ai giovani non viene mai detto che sono nati con due possibilità, e che continuano ad avere quelle due opzioni per tutta la vita: possono essere cercatori di posti di lavoro o creatori di posti di lavoro – imprenditori a pieno diritto, anziché dover fare affidamento sulla fortuna di ottenere un lavoro da altri imprenditori.
Non possiamo starcene tranquilli a guardare mentre un’intera generazione di giovani è risucchiata nelle falle della teoria economica perché abbiamo troppa paura di mettere in dubbio la saggezza dei nostri teorici. Dobbiamo riformulare la teoria riconoscendo la capacita illimitata di un essere umano, invece di confidare che la “mano invisibile del mercato” risolva tutti i nostri problemi. Dobbiamo risvegliarci e renderci conto che la “mano invisibile” è invisibile perché non esiste – o, se esiste, è dedita a servire, invisibilmente, i ricchi.
Nell’attuale sistema economico, i teorici non ci hanno mai offerto, per la disoccupazione, soluzioni migliori della promozione di una crescita economica grazie a investimenti nella realizzazione di infrastrutture o di programmi governativi in grado di creare posti di lavoro, affiancati da iniziative assistenziali per alleviare la sofferenza dei bisognosi. Queste misure politiche possono costituire soluzioni parziali al problema, ma non vanno a toccare la vera questione di fondo.
Ovviamente, quando ci sono persone che stanno male perché sono disoccupate, l’aiuto governativo è necessario e importante ma, subito dopo, la responsabilità molto più grave della società (e dello stato che la rappresenta) è aiutare le persone a uscire dalla condizione di dipendenza dall’assistenza pubblica non appena possibile. La dipendenza sminuisce gli esseri umani. La nostra missione su questo pianeta è farne un posto migliore per tutti, non tollerare l’esistenza di una sottoclasse senza quella libertà e quell’indipendenza che rendono la vita veramente degna di essere vissuta.
Abbiamo la tecnologia e la metodologia economica necessarie per porre fine alla piaga della disoccupazione. Quello che ci manca sono un quadro generale e la volontà.
Consigli di lettura
Un mondo a tre zeri. Come eliminare definitivamente povertà, disoccupazione e inquinamento
A dieci anni dall’inizio di una crisi che non è mai davvero finita, è arrivato il momento di ammettere che gli ingranaggi del capitalismo sono difettosi. Certo, l’economia non si è affatto fermata. Ma alla sua crescita corrisponde una concentrazione sempre più pronunciata della ricchezza nelle mani di pochi. La povertà aumenta in tutti i paesi del mondo, la disoccupazione emargina i giovani e la produzione industriale fuori controllo distrugge l’ambiente. Tuttavia, secondo Muhammad Yunus, un nuovo modello economico esiste già e costituisce la risposta all’economia dell’interesse personale e della diseguaglianza. Da quando Yunus ha cominciato ad articolare l’idea di una nuova forma di capitalismo con lo strumento del microcredito e l’esperienza della Grameen Bank, migliaia di organizzazioni non profit in giro per il mondo l’hanno adottata. E hanno introdotto l’energia in milioni di case bengalesi, hanno trasformato migliaia di giovani disoccupati in imprenditori, hanno finanziato imprese gestite da donne negli Stati Uniti, e hanno portato mobilità, protezione e molti altri servizi nelle zone più povere della Francia. Yunus dimostra che eliminare le diseguaglianze create da un capitalismo sfrenato con le risorse della vita di tutti i giorni è possibile. La strategia è semplice. Si tratta di riconoscere l’inganno del capitalismo classico, secondo il quale la natura umana è egoista e orientata anzitutto all’interesse personale, e di prendere parte a un nuovo sistema economico fondato su una visione più realistica, che riconosca nell’altruismo e nella generosità forze altrettanto fondamentali e potenti.